Le frasi scomparse

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LE FRASI (SCOMPARSE) DEL TIFOSO ALLO STADIO

Tutto cambia, è inevitabile e, forse, giusto. Questo accade anche nel calcio e in particolare nel lessico del tifoso. A Firenze alcune frasi tipiche dei tifosi sugli spalti, erano sono tramandate da generazioni, anche per il ripresentarsi costante delle situazioni che le generavano. Molte di queste riguardavano i tifosi di Maratona. Da alcuni, soprattutto in Curva Fiesole, definita con tono dispregiativo “Maratona bianconera”, per voler sottolineare il “tiepido” modo di partecipare alla partita, il settore può essere invece paragonato ai “loggioni” dei teatri lirici Chi sceglie questa gradinata lo fa quasi sempre dopo una lunga militanza in curva ed è perciò un tifoso accesissimo, al pari degli ultras. Non è un imborghesimento che porta al cambio di settore, ma la voglia di vedere meglio la partita, o di portare i figli ancora piccoli in un settore più tranquillo. Certo questa scelta comporta un aumento del costo di biglietti e abbonamenti, ma non si parla di cifre da ricchi. E in quanto alla genuinità del tifo, molto spesso anche chi avrebbe la possibilità di “migliorare” ancora, rimane seduto su questa parte dell’amato cemento proprio per non doversi sentire “imbrigliato” da una compostezza maggiormente presente nei settori di tribuna. Insomma è un tifoso competente e appassionato quello che siede sotto la torre, e la struttura di questa parte dello stadio favorivano alcune delle esclamazioni che seguono, affiancate da altre più ubiquitarie! Di tutte queste la maggior parte si sono estinte ma altre, come detto, resistono…..

A SEDERE!!! (EH…….OH…….)

Era la frase tipica dello spettatore di Maratona prima “di Italia 90” ma è una esclamazione che, seppur meno frequentemente, risuona ancora oggi. I lavori di ristrutturazione fatti prima del mondiale disputato in Italia hanno snaturato l’amato cemento inserendovi sedili di plastica. Questi, riducendo lo spazio, rendono impossibile raggiungere il proprio posto senza pestare i piedi agli spettatori seduti nella propria fila e scalciare quelli della fila di sotto: ma, come da regolamento, tutti a sedere! Prima però, quando i posti non erano numerati, gruppi di furbacchioni ritardatari si piazzavano in piedi appoggiati alle balaustre impedendo la visuale alla prima fila del settore.

Questa protestava, subito sostenuta dalla seconda, dalla terza e così via. I furbi si giustificavano sostenendo di aver pagato “…’ibbiglietto”, ma gli altri replicavano di essere arrivati “…..’un par d’ore prima”. All’improvviso i più distanti dalla discussione si ergevano a giudici insindacabili, risolvendo la questione con un perentorio “Ehhh!…Ohhhh! A sedereeee!” che non ammetteva repliche. Se tuttavia queste arrivavano, arrivavano come risposta anche cartacce (in genere pagine de “La Gazzetta” appallottolate), bicchierini di plastica del “Caffè Borghetti” ( vuoti ma ad alto potere macchiante), avanzi di panini alla mortadella, il tutto sospinto da una valanga di offese che non mancavano di descrivere in modo colorito le virtù amatorie di mogli, mamme e fidanzate dei malcapitati e maleducati spettatori . Che a questo punto, in genere, si rintuzzavano accovacciati davanti alla balaustra sbirciando il campo da sopra la medesima e bofonchiando le ultime giustificazioni . Poi venne “Italia 90”…

Fino ad Italia 90 gli spettatori allo stadio potevano esserci 50-60000 presenze. C’erano vere e proprie muraglie umane e un gruppo di “furbastri” ritardatari in piedi alle balaustre poteva costringere ad alzarsi migliaia di spettatori

EHHH, ALLORAAA! CODEST’OMBRELLO!!!!!!

Variante della frase precedente, definitivamente mandata in pensione dalla legge sulla sicurezza negli stadi, che vieta l’introduzione nell’impianto appunto degli ombrelli. Forse non tutti sanno che fino agli anni ’70 le cerate che oggi vediamo diffusissime in tutti i settori scoperti dello stadio rappresentavano una rarità. Si trattava di oggetti professionali posseduti solo da cacciatori e pescatori, mentre la maggior parte delle persone aveva semplicemente un impermeabile, che quindi (per riparare a dovere) doveva essere utilizzato insieme ad un ombrello. Prima della partita nessun problema, ma al fischio d’inizio tutti invitavano quelli della fila sotto ad abbassarlo per restituire una visibilità accettabile. I poveretti si ingobbivano e tenevano più basso l’oggetto della discussione col risultato che lo stesso sgocciolava sui piedi dei vicini che lo spostavano bruscamente accompagnando il gesto con un “O un’tullovedi che tu m’inzuppi!” che non lasciava scampo. Al tapino non restava che risollevare l’ombrello suscitando la reazione sdegnata dello spettatore situato nella fila superiore che passava dalle parole ai fatti “schiacciando” il parapioggia sulla testa del proprietario. Che a questo punto, nelle maggioranza dei casi, scendeva borbottando sotto le gradinate in attesa che spiovesse.

Le cerate e i k-way non c’erano, gli ombrelli si ed erano permessi: la lotta per la visuale era assicurata!

EH OHHHHHH! CON CODESTO TAMBURLANO!!!!

E’ la variante della frase precedente che veniva indirizzata a chi, non si sa quanto per ingenuità, quanto per menefreghismo o addirittura per provocazione, portava allo stadio quegli enormi parapioggia di tela verde conosciuti come “ombrelli da pastori”. E infatti non era raro che alcuni apostrofassero il proprietario con il meno frequente ma molto pittoresco “Ehhhhhh! Che ti si bagnano le pehore!!!!! Chiudi qui’ catafalco!!!!”

I micidiali ombrelli da pastore, nella versione classica e mimetica. L’apertura di uno di questi micidiali parapioggia toglieva la visuale ad almeno una decina di spettatori e il litigio era la regola

STRONCAPETTINI- ( Vaja… ; Daretta… ).

Tipico riferimento ad individuo colpito, più o meno precocemente, da una devastante calvizie. Raramente, vista l’età media piuttosto bassa degli atleti in campo, può comunque essere riferito ai giocatori avversari. Oggi poi la frase è caduta in disuso data la diffusa abitudine dei giocatori “in difficoltà” di rasarsi a zero, ma in passato non mancavano comunque gli esempi anche celebri, come Pierino Fanna l’onesto Galbiati l’inesauribile Lombardo o, in tempi più recenti, BigMac Maccarone.

Figurina Panini di Pietro Fanna stagione 1984-85. Il calciatore rasato non andava ancora di moda, e le poche “pelate” suscitavano battute pungenti

Molto più frequentemente comunque il destinatario della frase era un guardalinee (dal popolo spesso definito “segnalinee” o in modo ancora più dispregiativo, “badalinee”). Il termine era perciò preferito al meno elegante (e più pericoloso ai fini della squalifica del campo) lancio di bottigliette, ogniqualvolta il suddetto rappresentante della terna arbitrale sbagliava ad assegnare una rimessa laterale, non segnalava un fuorigioco di un giocatore avversario ai più ( o per lo meno ai tifosi viola, che è poi quello che conta) apparso evidente,

o quando non richiamava l’attenzione dell’arbitro su un fallo ai danni di un nostro beniamino. Qualora invece il disgraziato fermi una splendida azione dei viola per un off-side inesistente, appariva più appropriato invitarlo a riporre la bandierina alzata in luogo meno esposto alle intemperie) (Ehhh! Ohhhh!…codesta bandierina…). Poi il VAR ha eliminato tutto…

PALAGI ( VA AI’…_ )

Tipica allocuzione domenicale che si rifà al nome del più celebre istituto ortopedico fiorentino del passato, posto sul viale dei Colli e intitolato appunto a Piero Palagi. Essendo questo il luogo dove ( spesso solamente nell’immaginario popolare ) si eseguivano i più svariati e miracolosi interventi di chirurgia ortopedica, il destinatario della frase veniva invitato a recarsi presso il prestigioso nosocomio a farsi…….. raddrizzare i piedi ! Tale invito era perciò rivolto in modo appropriato al “terzinaccio” di turno che svirgolava l’ennesimo cross a rientrare, ma anche al centravanti che “sparava alle stelle” da comoda posizione. Oggi quasi nessuno conosce l’ancora attivo presidio sanitario col nome Palagi.

La targa del prestigioso Istituto ortopedico intitolato a Piero Palagi, situata all’ingresso del Viale dei Colli

ALLA PALA!!!

Elegante e misurato invito ad abbandonare una vita poco concreta o addirittura immeritatamente comoda, per dedicarsi ad un lavoro fisico finalmente di una certa entità e perciò nobilitante. L’invito viene correttamente rivolto, in genere all’intera squadra, specialmente durante certe noiose e nauseanti partite di fine stagione. Il primo caldo e il sole splendente che caratterizzano tale periodo hanno suggerito il più moderno ma meno incisivo “tutti al mare, tutti al mare….”. Non infrequente comunque che la frase sia rivolta alla squadra, quando la stessa sta già da tempo deludendo in campionato, al termine della solita gara senza nerbo magari risoltasi in una sconfitta interna.

E’ comunque in genere urlo prodotto da uno o più spettatori singolarmente. Infatti, per ragioni di metrica e musicalità, quando una curva deve inviare lo stesso tipo di messaggio attraverso un coro, eccola intonare “A LAVORAAARE! ANDATE A LAVORAREEE!”. Ciò avviene in genere dopo che fino a quel momento i tifosi hanno provato ad incitare i propri beniamini anche più intensamente del solito, per tentare inutilmente di farli uscire dall’improduttivo torpore tecnico-atletico.

DU’ CHOHE……

Tranquilli non è sanscrito e nemmeno un codice per agenti segreti: e’ semplicemente la trascrizione della celebre difficoltà che hanno i fiorentini nel nominare la Coca-Cola. Non a caso chi vuole ironizzare nei confronti di coloro che, abitando nella città del giglio, appena si sente risponde alla domanda “Di dove sei?” “Di Firenze” si butta immancabilmente nel classico “Ah ho capito….mi da una cohahola holla hannuccia?” . Tra l’altro sbagliano la pronuncia. Ma torniamo allo stadio e ad una serie di figure immutabili: Il birraio/bibitaio e il gelataio. Da sempre prima della partita e nell’intervallo un piccolo gruppo di persone con una giacchetta bianca (ora l’abbigliamento è più informale) e cassetta al collo risale i gradoni della Maratona richiamando l’attenzione con un mantra di grande efficacia nei confronti degli spettatori: “COCAARANCAITABIRRESEMINOCCIOLINECARAMELLE…..”

Non sempre si riesce a raggiungere fisicamente il compratore per porgergli quanto acquistato e riceverne il dovuto , anzi quasi mai. E allora vengono coinvolti gli altri spettatori che, formando una catena umana passano la bibita all’assetato e ritornano i soldi al bibitaio (se c’è resto però qualcuno buba!). Da notare che i più burloni modificano la cantilena con una variante finale: “COCAARANCIATABIRRESEMINOCCIOLINE CARAMELLEBOMBEAMANO….” che rischia di mettere in allarme i funzionari del GOS eventualmente privi d umorismo. La variante invernale è molto meno colorita e più essenziale limitandosi al semplice “PONCECAFFE’BORGHETTI……”. Una piccola parentesi su quest’ultimo prodotto che è diventato un simbolo del partecipare alla partita che unisce i tifosi di tutta Italia: ottimo irrinunciabile, ma se fate un rapporto tra prezzo e quantità solo il Sassicaia o un Brunello d’annata costano di più. Ma torniamo ai venditori di bibite: negli ultimi anni sono ragazzi che cambiano con una certa frequenza di anno in anno ma prima c’era più continuità e uno dei bibitari è salito sui i gradoni per almeno 40 anni. In caso di pioggia lo stesso personale posa le pesanti cassette e si fionda a proporre il rimedio gridando: “IMPERMEABILI!!!!”: Che non sono altro che lenzuolini di cellophane con maniche e cappuccio che nessuno è mai riuscito a ripiegare in modo decente dopo l’uso. C’è una bibita che val la pena di ricordare perché poi scomparsa, ma che fino agli anni 70 dava origine ad un curioso equivoco. Si tratta di “Billy” una bibita al gusto di arancio confezionata in un “brik” di cartone al quale era abbinata una cannuccia di plastica. I ragazzi della curva, presso i quali la bevanda ebbe un periodo di discreto successo, richiamavano l’attenzione del venditore gridandogli “BILLAIOOOOO! OH BILLAIOOO!”. L’aneddotica vuole che gli spettatori che non conoscevano la bibita pensassero si trattasse da individuo affetto dalla cosiddetta “erre moscia” che cercava di richiamare l’attenzione di un birraio!

Una pubblicità del succo d’arancia “Billy”, bevanda che ebbe un breve ma ruggente successo negli anni ottanta

Capitolo decisamente a parte quello dei gelatai. Negli anni cinquanta sono un piccolo esercito con giacca bianca e cappellino dello stesso colore. Vendono soprattutto cassatine, dapprima marca “Avios” poi “Sammontana” e vengono definiti “volantini”. Per qualcuno questo nome deriva dal fatto che, a differenza delle bibite, il gelato può essere lanciato verso il cliente e cioè fatto volare, ma altri sostengono che il nomignolo derivasse dall’idea ottica che davano mentre erano in attività. Soprattutto da certi settori li vedevi muoversi velocemente, salire e scendere continuamente i gradoni fermandosi solo un istante magari inginocchiati per non ridurre la visuale per poi ripartire: un continuo movimento che da lontano poteva ricordare volantini bianchi spostati dal vento.

Sia come sia il gelato si è continuato a vendere anche negli anni successivi magari con un listino più completo: CONICASSATINEBOMBONIEREEEEEEEE!!!!!!!!!!!!era il ritornello che segnava più di ogni altra cosa l’arrivo della stagione estiva

Una curiosa interpretazione dell’annuncio riferita ai prodotti Sammontana, prevedeva che gli stessi fosse offerta come “Il gelato della mammaaaa!” In questo modo il gelataio anticipava e faceva propria la risposta che spesso veniva data dai più spiritosi e sboccati al grido di “Gelato Sammontanaaaaaa!”.

Un squadra di gelatai posa al gran completo in immacolata divisa bianca

TIRAAAAA!!!! TIRAAAAAA!!!!

E’ l’invocazione rivolta al giocatore che si pensa sia in grado di tirare in porta dalla distanza e segnare un goal. Il problema è che l’invito viene fatto in qualche caso quando ancora il giocatore è distante anni luce dalla porta avversaria, a volte poco dopo la metà campo. Ma il partito del “TIRAAA!!!” non sente ragioni: “Si traccheggia….siamo leziosi….per segnare bisogna tirare!” Nella ultime stagioni poi, che ha fatto fa del possesso palla il principale credo tecnico, l’invocazione è diventata contagiosa. Perciò: “Tiraaaaa! Tiraaaaa!” urla una buona parte dei tifosi dopo il quarto -quinto passaggio nei dintorni dell’area di rigore avversaria. Ma a parte che dagli spalti la visuale è migliore e tutto è più facile, gli urlatori se ne sono dovuti fare via via una ragione: quello del fraseggio incessante in attesa dell’uno-due decisivo (che quasi mai arriva) è il marchio di fabbrica del calcio di Vincenzo Italiano.

DALLAAAA!!!! DALLAAAA!!!!!

Nella terra dei guelfi e ghibellini non è sorprendente che a chi urla invitando il proprio giocatore a tirare si contrapponga chi invece vorrebbe che il pallone fosse passato ad un compagno. In realtà nella maggioranza dei casi l’urlo è rivolto ai dribblomani o presunti tali, i cui estremi temporali (giusto per dare un’idea potrebbero essere considerati Chiarugi e Cerci. Anche in questo caso il popolo tifoso dimostra una certa insipienza, in parte giustificata dall’impazienza. Chi parte in dribbling spesso è obbligato dalla traiettoria imposta al pallone e dal pressing avversario a cercare di “scartare” (anche questo termine del passato!) un’altra o più volte. Comunque son sottigliezze: “ Dallaaaaa!!!!” continuerà a risuonare nei secoli. Magari con le due sue varianti più boccaccesche e colorite ma non meno efficaci: “FAI COME LA TU’ SORELLA: DALLAAAA!!!!!” o anche “DALLAAAA!!!! COME DICEVANO ALLA TU MAMMA!!!!!” . Leggere volgarità, che continuano a sfidare (sempre più raramente) il politicamente corretto…“CHEEEEEE S’HAAAA PROVARE A FARE UN GO’!!!”

Da questa nostra carrellata rimangono volutamente fuori i cori da stadio, ma questa frase fa eccezione perché , nonostante ai più giovani possa sembrare strano, ci accompagna da almeno 40 anni. Risuona in genere dopo una ventina di minuti del secondo tempo di partite lente e noiose, prive di vere occasione da goal. E’ ovviamente dedicata soprattutto a edizioni della Fiorentina poco prolifiche. C’è però un fatto a dimostrazione di quanto sia imprevedibile il calcio. Avviene il 20 ottobre 2013, e va in scena al Franchi la madre di tutte le partite, Fiorentina-Juventus. La squadra viola è sotto di due goal e soprattutto sembra impotente, incapace di rimettere almeno in gioco il match. Sale allora dalla Fiesole l’invito disperato: “Cheee s’ha provare a fare un go!”. Se sia stato un caso o se anche il coro abbia contribuito al ribaltamento di partita e risultato resterà un mistero ma come sia andata a finire lo sanno tutti.

Pepito Rossi sembra voler convincere gli increduli: ha appena segnato il terzo goal ala Juventus!

Insomma “Cheee s’ha provàreee……..” è’ una frase/cantilena che esprime bene la genialità del tifoso fiorentino, che ha in questo senso raggiunto apici inimmaginabili. Per chiudere con due esempi di questo genio, che racchiudano epoche tra loro lontane come non citare lo striscione “VOI COMASCHI NOI COLLE FEMMINE”, esposto durante un Como-Fiorentina del……. e il forse insuperabile “IL PALLONE E’ QUELLO GIALLO, IL PALLONE E’ QUELLO GIALLOOOOOO!!!” indirizzato ai disorientati giocatori interisti che, quella sera del 17 febbraio 2013, sconfitti per 4 a 1 e sovrastati nel gioco, il pallone, non lo videro mai.

UN SI SEGNA NEMMENO COLLE MANI

(variante: “STASERA UN SEGNANO NEMMENO COLLE MANI”)
Affermazione che risuona spesso nella fase avanzata di una partita considerata dal tifoso “stregata”. A renderla tale concorrono numerosi fattori, tra i quali la presenza di un portiere miracoloso e che nella convinzione dei tifosi era stato fino a quella partita modesto. Ma naturalmente il motivo principale è rappresentato dalla superiorità totale sugli eventi della Dea Bendata, che si oppone sotto forma di pali interni “che novanta volte su cento vanno poi dentro!!! Se l’era la Juve poi!!!”, o di zolle che deviano la traiettoria, o di salvataggi sulla linea che hanno del’incredibile. Insomma “lo sculo” degli autori toscani! Un esempio di questo tipo di partita lo si ritrova facilmente nella gara interna con il Pescara della stagione 2012-2013 quando, soprattutto nel primo tempo, il “bimbo” Perin parò anche le mosche che gli svolazzavano davanti agli occhi

ICCHE’ TU CIHAI DA FARE IL SUGO?

Facile identificare l’ambientazione nella quale questa frase viene pronunciata: il risultato della partita è in bilico, e il match è stato avvincente e palpitante. Mancano si è no dieci decisivi minuti, ma qualcuno non può aspettare: si alza e fa alzare a sua volta mezza fila di spettatori bofonchianti. Ma il tapino non va via spedito, no: inciampa, tira qualche calcio negli stinchi o appioppa qualche pestone, e rallenta per chiedere inutilmente scusa. Mentre passa costringe decine di spettatori ad allungare il collo per seguire le azioni, e appena prima che qualcuno si arrabbi sul serio arriva sdrammatizzante la frase “Eh, da retta!! ma icche’ tuccihai da fare i’sugo?!?! (variante con lo stesso significato: “Ma che tu cihai da chiudere le papere?!?”, mentre se il fastidioso individuo provoca il trambusto nei primi minuti della partita per essere arrivato in ritardo, non è infrequente che qualcuno lo apostrofi con un efficace “Eh si vien prima maremma hane! Che ciavehi da rigovernare!?!”)

ADDUMINUTI DALLA FINE!!! (s’è preso i’go…….)

Tipica espressione di incredulo sconforto che coglie il tifoso gigliato quando la sua amata squadra subisce il goal del pareggio, o della sconfitta, nei minuti finali. Il rilievo cronometrico raramente corrisponde realmente all’88°, ma vuol solo rendere l’idea della atrocità della beffa perpetrata dal destino. Infatti una rete subita ad una decina di minuti dalla fine dell’incontro lascerebbe una seppur esile speranza di replica. Così come un goal preso esattamente al novantesimo (o all’ultimo minuto di recupero) o lascia annichiliti e perciò incapaci di intendere e volere, oppure ha il sapore della sentenza inevitabile. Invece quei “due” minuti finali, reali o idealizzati, rappresentano una inutile sofferenza, lunghi secondi durante i quali restare sbigottiti. Dapprima, negli istanti immediatamente successivi alla segnatura, ad osservare ansiosamente arbitro e guardalinee nella speranza di cogliere un gesto che faccia sperare nell’annullamento della rete. Poi, durante l’ultimo giro di lancetta, ad osservare l’esultanza della tifoseria avversaria e i vigorosi rilanci in tribuna e i finti infortuni dei giocatori ospiti. L’unica magra consolazione è pensare che tanta sofferenza servirà in parte ad espiare la colpa commessa quando, a parti invertite e cioè in occasione di un goal viola decisivo segnato negli ultimi minuti, ci siamo rivolti agli avversari e, comprendendone il dramma sportivo, per esprimere solidarietà abbiamo offerto il civilissimo….. gesto dell’ombrello!!Tra le centinaia di episodi di questo tipo, uno tra quelli avvenuti allo Stadio Franchi rimane memorabile. E’ il 15 aprile 2000 e la Fiorentina, in lotta per un piazzamento UEFA incontra la Lazio in piena corsa per il titolo. La partita è sentitissima e dalla capitale i tifosi biancazzurri sono arrivati a migliaia. Alcune centinaia cercano di entrare senza biglietto me scoppiano incidenti. Batistuta sblocca il risultato al 25° ma al 27° Nevdev al 31° Boksic ribaltano il risultato. Al 9° della ripresa Chiesa ristabilisce la parità e la partita arriva con questo risultato al 44° quando viene assegnato un rigore alla Lazio. Sotto un uragano di fischi Mihajlovic porta avanti i biancocelesti. Sembra finita ma un minuto dopo, con un siluro su punizione dal limite, Bati fissa il risultato sul 3 a 3. Sugli spalti esplode il finimondo e Valeria Cecchi Gori, madre di Vittorio, sempre controllata, irreprensibile ed elegante (tanto da essere appellata normalmente “Donna Valeria”) si lascia andare a quello che diventerà probabilmente il più celebre gesto dell’ombrello mai visto a Firenze.

La compianta Valeria Cecchi Gori ha dimostrato che la passione e i suoi eccessi sono democratici e non si fermano davanti a persone ricche, eleganti, e normalmente controllate.

(Tratto e modificato da “Fiorentina Curiosità e aneddoti”; Pagnini Editore, Firenze 2015)

Alessandro Coppini – Viola Club Franco Nannotti

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