È la nostra storia – parte 2

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Nello scorso numero avevamo presentato il ciclo di 4 incontri (tutti i martedì di marzo) organizzato al circolo della Rondinella con la collaborazione, fra gli altri, di Alé Fiorentina.

L’obiettivo era quello di cominciare fin da ora a preparare i cento anni della Fiorentina (29 agosto 2026). Abbiamo trovato grande attenzione e tanta competenza: esiste un pubblico attento ed appassionato alla storia viola. È il primo risultato. Il secondo è che la nostra storia può essere raccontata e compresa, almeno nelle sue linee essenziali, con un linguaggio popolare. Gli incontri hanno dato anche indicazioni precise su quelli che sono i periodi meno conosciuti e su quelli (i dieci anni dei Pontello; i 12 di Cecchi Gori) più vissuti e su cui costruire occasioni di confronto coinvolgendo anche protagonisti diretti (dirigenti, calciatori, tifosi, tecnici e critici).

Eravamo arrivati, su Alé Fiorentina, all’inizio degli anni Trenta e continuiamo a dare una sintesi dei temi trattati.

Nel 1931-32 la Fiorentina affrontò la serie A con lo stadio nuovo e i primi campioni con la maglia viola, su tutti Pedro Petrone un icona del calcio di allora. Petrone, dopo aver strabiliato nel suo primo campionato, fu autore di una rocambolesca fuga nel marzo del 1933: notte tempo lasciò Firenze per rientrare a Montevideo, a seguito di una serie di litigi con l’allenatore Felsner.

Luigi Ridolfi, i’ babbo della Fiorentina, seppe reagire a questo duro colpo e proseguì il suo ambizioso programma portando la Fiorentina a lottare per lo scudetto.

Il campionato 1934-35 vide i gigliati conquistare per la prima volta nella loro storia il titolo, platonico, di Campioni d’inverno. A causa degli infortuni, a partire da quello di Morselli, aggravati dalla penuria di riserve di qualità e dalla mancanza di abitudine a lottare per il titolo, la Fiorentina arrivò terza e conquistò, per la prima volta, la partecipazione alla Coppa dell’Europa Centrale (Mitropa) 1935.

Quella stagione rappresentò, in serie A, il punto più alto della Fiorentina anteguerra. Il sogno di Ridolfi si scontrò con una debolezza economica strutturale, un gap finanziario incolmabile nei confronti delle avversarie. Negli anni successivi fallirono tutti i tentativi per rafforzare economicamente la società, compreso il tentativo della Società Anonima Associazione Fiorentina del Calcio costituita nel luglio del 1933. La squadra riuscì a resistere in serie A solo grazie alla politica del piede di casa (il torneo Primi calci per selezionare i migliori ragazzi under 16 era stato inaugurato dalla Fiorentina nel 1932 e la caratterizzò, fin da allora, come la squadra dei giovani). Nel campionato 1937-38 il piede di casa non fu sufficiente ad evitare la retrocessione. Ridolfi contrasse nuovi debiti e l’anno successivo tornammo nella massima divisione, grazie all’acquisto di giocatori esperti e di giovani di valore assoluto come Romeo Menti e il portiere Griffanti.

Fu un anno difficilissimo. La salvezza venne conquistata grazie al miglior quoziente reti a parità di punti. Nel finale di stagione la Fiorentina, guidata, dal mese di gennaio, da un suo ex giocatore, Giuseppe Galluzzi, conquistò il suo primo trofeo: la Coppa Italia 1939-40.

I viola furono, assieme al Genoa, la prima squadra italiana ad usare il sistema, chiamato WM per la disposizione dei giocatori in campo: i tre difensori in linea (la fine della M) il quadrilatero di centrocampo con due giocatori più bassi (la testa della M) e due più alti (la fine della W) e i tre attaccanti (la testa della W).

La Fiorentina, alla sospensione del calcio dopo il campionato 1942-43, è una realtà significativa del calcio italiano, e riscuote l’unanime riconoscimento di essere il miglior vivaio nazionale.

Durante l’occupazione tedesca, iniziata nel settembre 1943, dopo qualche tentativo di proseguire l’attività la Fiorentina si sciolse e i suoi calciatori andarono a giocare il campionato di guerra del nord Italia.

Ottavio Baccani, il factotum viola, recuperò tutto il materiale e trasferì la sede nella sua abitazione di via Paoletti, organizzando, anche nella primavera 1944, il torneo Primi calci.

Dopo la Liberazione dell’11 agosto 1944, in accordo con il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale e il Comune di Firenze, la Fiorentina, grazie a Baccani e Arrigo Paganelli, a cui venne affidata la riorganizzazione delle attività sportive, ripartì. Ridolfi, rimasto in Puglia, rinunciò ad ogni diritto sui giocatori. Venne costituita l’Associazione Calcio Fiorentina, con una base associativa fatta dai sostenitori che ne diventarono soci, che continuò l’attività della precedente Associazione Fiorentina del Calcio. La prima competizione disputata fu il campionato toscano 1945, vinto dai viola nella finale contro il Livorno (quell’anno Pro Livorno), disputata a Santa Croce sull’Arno.

Negli anni del dopoguerra la vita della Fiorentina fu faticosa. Le presidenze non si consolidavano (Paganelli, Cassi, Allori) e i risultati non arrivavano. Nel campionato 1946-47 successe di tutto, compresa l’invasione di campo contro il Genoa e l’intervento della polizia con gli idranti sulla pista dell’atletica e gli spari per disperdere il pubblico. La salvezza arrivò all’ultima giornata, quasi insperata.

Il presidente della rifondazione fu Carlo Antonini, che dette un’organizzazione alla società, chiamando a dirigerla il “maestro” Ugolini, con Luigi Ferrero allenatore. Ferrero, che aveva vinto due scudetti con il Grande Torino, dette un’impostazione tecnica e tattica che portò la Fiorentina a ridosso delle prime posizioni. Fu lui a costruire il blocco difensivo (inserendo prima Rosetta, poi Cervato, quindi Chiappella e infine Magnini) alla base dei grandi successi viola.

La vigilia di Natale del 1951 cambiò radicalmente la storia viola: fu eletto presidente Enrico Befani, industriale pratese, e con lui il nuovo Consiglio, fatto di tifosi, ma facoltosi… molto facoltosi. Per la prima volta la Fiorentina aveva risorse per insidiare i grandi club.

Le aspettative erano enormi, ma la costruzione della grande squadra andò per le lunghe. Nell’estate del 1952 la cessione di Pandolfini, il campione di casa, scatenò una vera e propria battaglia, condotta a colpi di seggiole in assemblea, tra i soci. E nessuno si accorge dell’acquisto di Segato.

Befani subì un grave colpo di popolarità, ma dopo pochi mesi, con la scelta di Bernardini alla guida della squadra per sostituire Renzo Magli, impresse la svolta giusta.

Enrico Befani e Luigi Ridolfi

La grande Fiorentina fu il frutto di una doppia innovazione: organizzativa, curata in ogni dettaglio da Luciano Giachetti assunto da Befani come direttore; tecnica, assecondando le idee del calcio moderno proposto dal Dottor Bernardini. L’effetto combinato di queste due innovazioni portò alla costruzione di una squadra capolavoro.

La prova generale avvenne nel campionato 1953-54. Siamo Campioni d’inverno, assieme a Inter e Juventus. Alla 21a giornata la Fiorentina è in testa da sola. Diciotto partite consecutive senza sconfitte e poi lo scivolone, in casa, contro il Bologna: siamo in vantaggio, ma perdiamo 3-1! I giocatori si smontarono, la squadra crollò e arrivò terza. Ma tutti, Befani, Giachetti, il Consiglio, Bernardini, i tifosi, avevano capito: possiamo vincere lo scudetto.

Dobbiamo sistemare l’attacco e l’anno dopo viene acquistato un ragazzone friulano, Beppe Virgili, centrattacco. Segna, ma da solo non basta e il quinto posto finale genera grosse polemiche. La società è cresciuta, Befani ormai “sapeva scegliere, sapeva spendere, sapeva organizzare” e il direttore Giachetti non sbagliava un colpo. Bernardini andò in Brasile a prendere l’attaccante che voleva: Julinho. L’ala destra fece innamorare tutti e dal Cile arrivò anche Montuori argentino col babbo di Sorrento. Oriundo, si diceva allora. In porta un ragazzino che non sbagliava mai la posizione. Nacque così la filastrocca tricolore: Sarti; Magnini, Cervato; Chiappella, Rosetta, Segato; Julinho, Gratton, Virgili, Montuori, Prini e gli altri campioni d’Italia, Toros, Bartoli, Carpanesi, Mazza, Scaramucci, Bizzarri, e Orzan, il dodicesimo titolare, futuro capitano viola.

Il primo scudetto non si scorda mai. Dodici punti di vantaggio sulla seconda, quando i punti per la vittoria erano due, non tre! A pochi minuti dalla fine dell’ultima partita l’arbitro Jonni ci fece perdere il record dei record: finire il campionato senza sconfitte.

E il bandierone viola fu issato da Mario Fantechi sulla torre d’Arnolfo…

Erano tutti convinti che fosse tornato il Grande Torino: quella squadra avrebbe dominato per altri quattro-cinque anni. Non andò così. Juve e Milan si rinforzarono e i nostri giocatori furono stremati dalla Nazionale che si tinse di viola, arrivando a schierare nove giocatori su undici!

Si giocava più di quello che s’era abituati a fare. E arrivarono infortuni, tanti infortuni.

La Fiorentina si aggiudicò la Coppa Grasshoppers, un torneo internazionale lunghissimo (durò 5 anni dal 1952 al 1957) che anticipava le coppe europee e fu la prima italiana a giocare la finale di Coppa dei Campioni, a Madrid il 30 maggio 1957, davanti a oltre 120 mila spettatori e al dittatore Franco. Il Real aveva già vinto la prima edizione della Coppa, ma gli rendemmo la vita difficile. La partita non la decisero Di Stefano o Puskas. La decise l’arbitro olandese Horn che, a venti minuti dalla fine, sullo 0-0, assegnò un rigore ai padroni di casa per un fallo avvenuto fuori area.

Allo scudetto seguirono quattro secondi posti consecutivi. Finisce il ciclo Bernardini (a cui venivano imputati i due secondi posti dopo lo scudetto).

Nel campionato 1958-59, con l’ungherese Czeizler alla guida tecnica della squadra, la Fiorentina è travolgente: segna 95 reti in 34 partite, grazie ad un attacco mitraglia: Hamrin, Montuori, Lojacono… Una marcia inarrestabile rovinata dalla sconfitta interna con la Spal (1-2, dopo il vantaggio iniziale) e dallo scontro diretto con il Milan … nuovamente secondi!

L’anno dopo venne ingaggiato Luis Carniglia, vincitore di due Coppe dei Campioni con il Real Madrid, ma il risultato non cambiò: ancora secondi!

Ai soci ed ai sostenitori viola arrivare secondi non bastava più: era un insuccesso!

Via anche Carniglia, tornò Czeizler, con il compito di favorire il trasferimento e l’ambientamento di Hidegkuti sulla panchina viola. All’epoca l’Ungheria era nella cortina di ferro costituita dai paesi socialisti dell’Europa Orientale ed il trasferimento di sportivi in Occidente era praticamente impossibile. Nandor Hidegkuti era una delle maggiori glorie calcistiche del paese, protagonista della squadra d’oro degli anni Cinquanta, impersonando un ruolo nuovo, quello del centravanti arretrato, portandolo alla ribalta internazionale.

Il 1960-61 divenne, necessariamente, un campionato di transizione, ma la stagione si concluse con un doppio successo: vittoria della prima edizione della Coppa delle Coppe e della Coppa Italia.

Due successi che arrivarono durante il passaggio di consegne da Befani, sfiduciato per i secondi posti, ad un altro Enrico, Longinotti industriale del ferro in cui si ripongono tante speranze.

Massimo Cervelli – commissione storia Museo Fiorentina

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