È la nostra storia

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È LA NOSTRA STORIA

QUATTRO INCONTRI DEDICATI A UNA GRANDE PASSIONE

Sabato 29 agosto 2026 la Fiorentina compirà 100 anni giocando davanti al proprio pubblico.

È questo il traguardo che abbiamo davanti quando parliamo della nostra storia.

Una storia che nessun testimone, da solo, può più raccontare e che dobbiamo conoscere a fondo.

Le generazioni che si sono succedute nella passione viola, avevano, fino a non molto tempo fa, i racconti di quello che era successo (“te lo dico io come l’andò quell’anno”) direttamente in casa o giù di lì. Oggi non è più così, il passato va studiato per capire veramente come eravamo.

L’Albo d’Oro, il palmarés raccontano una parte molto limitata di questa grande vicenda. La vita di una squadra di calcio non si esaurisce nel suo bilancio sportivo, nei successi e negli insuccessi, nei giocatori che ne hanno indossato la maglia.

Per questo il Museo Fiorentina organizza un ciclo d’incontri, un breve corso sulla nostra storia.

Una storia che appartiene a tutti gli appassionati gigliati e che a loro va restituita.

Questi incontri servono anche a capire il modo giusto per parlare della nostra storia. Servono a far venire voglia di organizzarne di nuovi, anche nei Viola Club

Cent’anni sono tanti, più di una vita, normalmente. Per questo partiamo da qui, da come la nostra storia è iniziata e da come è arrivata nella élite del calcio. Per dare un’idea delle tante cose di cui parleremo in questi incontri che si terranno tutti i martedì di marzo (dalle 17.30 alle 19.30) al circolo Rondinella del Torrino.

Cominciava così

La Fiorentina nasce quando il gioco del calcio, in Italia, diventa maturo. La Carta di Viareggio (2 agosto 1926) cambia profondamente l’organizzazione delle competizioni ed inizia la marcia verso il campionato a girone unico: la serie A 1929-30. Era finito, anche per la nostra città, il tempo dei club che si disputavano il predominio cittadino, senza riuscire ad inserirsi nel massimo livello calcistico.

La Fiorentina nasce per raggiungere un grande obiettivo: portare la squadra di Firenze a sfidare i giganti del football. L’ambizione a lottare contro i più forti, è questo il primo importante concetto da capire della nostra storia.

Vengono fuse le sezioni calcio delle Palestra Ginnastica Fiorentina Libertas e del Club Sportivo nella costituenda Associazione Fiorentina del Calcio – questo il nome iniziale che, nell’ottobre del 1944 al momento della ricostituzione della società dopo la Liberazione, diventerà Associazione Calcio Fiorentina.

La maglia non può essere che bianco-rossa. Questi sono i colori della città; bianche erano le maglie del Club e rosse quelle della Libertas. Il giglio rosso non può mancare. Lo stadio sarà quello della Libertas, in via Bellini, ma già si parla di costruirne uno nuovo. Anche il titolo sportivo viene ereditato dalla Libertas e consente la partecipazione al campionato di Prima Divisione, il 2° livello del calcio italiano dell’epoca. Le vincitrici dei gironi di Prima Divisione vengono promosse in Divisione Nazionale. La Fiorentina, per due anni, non riesce a vincere il proprio girone; ciò nonostante è ammessa, nel 1928-29, al campionato di “assestamento”, organizzato in due gironi nazionali: dopo numerose modifiche si stabilì che le prime nove di ogni girone costituiranno la serie A, le altre sette la serie B, assieme a quattro neo promosse dalla Prima Divisione.

La Fiorentina arrivò ultima nel proprio girone, mostrandosi non in grado di competere. Pagava l’inesperienza, il passato calcisticamente artigianale dei propri dirigenti, le tante teste che popolavano il club dopo la fusione tra i due sodalizi cittadini.

Il marchese Luigi Ridolfi aveva voluto fortemente la nascita della Fiorentina e ne era stato, obbligatoriamente, anche per il suo ruolo politico nel fascismo fiorentino, il primo presidente. Ridolfi era diventato Commissario Straordinario della Fiorentina all’inizio del 1928, dopo un tentativo di illecito sportivo che aveva coinvolto alcuni dirigenti della società biancorossa (Savoia-Fiorentina disputata a Torre Annunziata l’11 dicembre 1927).

Alla fine del disastroso campionato 1928-29 Ridolfi aveva assunto su di se tutte le responsabilità di gestione della società. Si era convinto che unendo due debolezze non fosse possibile costruire una forza. La fusione tra Libertas e Club Sportivo non poteva regalare niente di diverso dai deludenti risultati che avevano caratterizzato i due sodalizi e che avevano segnato i primissimi anni della Fiorentina. Bisognava costruire un’altra storia, con un’identità precisa, con l’adozione di un nuovo colore sociale (il viola, nel settembre 1929) e una linea di comando snella e precisa, affidata a lui che sceglieva direttamente i suoi collaboratori.

È il passaggio fondamentale della nostra storia. La comprensione della necessità di un nuovo inizio. Allestire una squadra competitiva, una nuova identità, un proprio colore, inconfondibile: il viola. Mantenendo il giglio rosso sul petto.

Comincia qui, nei fatti, la storia che ha portato la Fiorentina ad essere una delle maggiori protagoniste della serie A e … del calcio europeo. Nel campionato 1929-30 la Fiorentina costruì finalmente una propria intelaiatura di squadra ed arrivò quarta in serie B. L’anno successivo, in linea con il programma stabilito, vinse il torneo e conquistò la serie A.

Ridolfi sostenne un’imponente campagna acquisti per rendere competitiva la squadra anche nel massimo campionato. Arrivarono Giuseppe Bigogno, Antonio Bonesini, Antonio Busini, Lorenzo Gazzari, il nazionale Alfredo Pitto, Gastone Prendato e i due uruguayani l’“artillero” Pedro Petrone, campione olimpionico e del mondo, e il difensore Guido Laino – che tornò a Montevideo già nel gennaio 1932. Petrone, tanto per provare a rendere l’idea, oggi sarebbe definito un’icona globale del football. E in campo non tradì, diventando, con il bolognese Schiavio, capocannoniere del campionato 1931-32. La squadra venne affidata ad un grande allenatore: Hermann Felsner, già vincitore di due scudetti con il Bologna.

Per salutare adeguatamente la serie A, nel settembre 1931 venne inaugurato il nuovo, straordinario, impianto di gioco progettato e realizzato dall’ingegnere Pier Luigi Nervi. All’epoca, lo stadio di Firenze, capolavoro dell’architettura razionalista, divenne un modello da imitare.

Il sogno di Ridolfi era portare la squadra viola a competere per la vittoria dello scudetto, ma la Fiorentina scontava una debolezza economica strutturale rispetto alle avversarie.

La Juventus, che aveva cominciato il grande ciclo dei cinque scudetti consecutivi (dal 1930-31 al 1934-35), era guidata dal maggiore industriale italiano, Edoardo Agnelli, proprietario della FIAT.

I bianconeri univano i due colori in voga all’epoca: il bianco dei telefoni, lo status symbol della ricchezza del tempo che caratterizzò il cinema italiano degli anni Trenta, e il nero della camicia, la divisa del fascismo. Grazie alla forza economica della FIAT la Juventus costruì uno squadrone saccheggiando i club della provincia italiana (Barale, Bertolini e Giovanni Ferrari dall’Alessandria; i fratelli Giovanni e Mario Varglien dalla Fiumana; Caligaris dal Casale; Rosetta e Depetrini dalla Pro Vercelli; Munerati e Crotti dal Novara; Vecchina dal Padova, Mosca dalla Biellese) e facendo razzia di giocatori argentini (Raimundo Orsi, Luis Monti, Renato Cesarini, Juan Maglio: tutti giocatori che avevano indossato la maglia della nazionale Argentina, così come aveva fatto Pedro “Ministrinho” Sernagiotto con il Brasile), chiamati “italiani rientrati” (nel dopoguerra furono chiamati oriundi). La Juventus vinceva con la sua forza economica, in pieno accordo con il regime, con un uso massiccio del professionismo e degli stranieri, proprio gli elementi vietati dalla Carta di Viareggio che aveva regolato e modernizzato il calcio italiano.

L’Ambrosiana-Inter aveva alla sua guida l’imprenditore Ferdinando Pozzani, mentre il Bologna aveva una natura diversa. La squadra felsinea era stata tecnicamente assorbita da “Bologna Sportiva”, una grande società costituita da Leandro Arpinati (presidente della FIGC dall’agosto 1926 all’aprile 1933), capace di attirare una massa consistente di risorse economiche.

Massimo Cervelli – Vice Presidente Museo Fiorentina

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