Bilancio di un Mondiale che non ci appartiene

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Si è finalmente conclusa la kermesse mondiale più instagrammata di sempre e si sono spente le luci di Doha sulla operazione finanziaria e mediatica che ha consacrato il calcio come strumento di propaganda.

Cominciamo da qui: consentire un mondiale in pieno inverno in un paese in cui l’inverno non esiste, bloccare i campionati nazionali per due mesi e far giocare le nazionali in stadi climatizzati per fronteggiare il calore del deserto è già di per sé una insulsaggine. Alla luce poi degli scandali del Qatargate che hanno travolto il Parlamento Europeo, si capisce meglio come Platini, Blatter e Sarkozy abbiano potuto compiere questa scelta infelice, con i buoni auspici di Infantino.

Al di là della polemica sui diritti civili violati costantemente da l Paese organizzatore (Stramaccioni in proposito ha forse conosciuto Panzieri se non in occasione formale probabilmente in forma privata), rimangono di questo mondiale le immagini della nazionale iraniana che non canta l’inno e quella della nazionale tedesca che si chiude la bocca. Immagini in perfetto stile politicamente corretto, che salvano la coscienza di chi le fa e di chi le guarda senza produrre alcun risultato concreto né in Iran, dove si continua a morire nella quasi totale indifferenza, né in Qatar, dove giustamente lo sceicco Tamim Al Thani ha rivendicato il suo potere assoluto sull’evento rivestendo il suo giocatore Messi (è anche proprietario del Paris Saint-Germain) con il bischt, la tunica che rappresenta benessere e legalità e che vuole nemmeno troppo velatamente sottolineare come il giocatore, il calcio e l’evento mondiale appartengono all’emiro che li ha profumatamente pagati.

Tralasciando le migliaia di spettatori pagati per assistere alle gare nei nuovi faraonici stadi costruiti appositamente per il Mondiale (sul cui riutilizzo la preoccupazione sulla fine del Franchi in caso di abbondono della Fiorentina è roba da ragazzi), tutti gli eventi si sono svolti nell’assoluto disprezzo delle persone normali. Corsie di accesso per ricconi che entrano in auto nello stadio e percorsi chilometrici a piedi in pieno deserto con code chilometriche per entrare allo stadio per chi non rientra nel gotha finanziario dell’emirato; infrastrutture colossali costruite in tempi record con costi elevatissimi anche in termini di vite umane, realizzate per costruire relazioni economiche e business con l’Occidente, nella convinzione (sicuramente loro) di poter comprare qualunque cosa.

E poi c’è l’aspetto sportivo: vedere uscire in successione Belgio, Spagna, Danimarca, Germania e Portogallo, con le lacrime di Cristiano Ronaldo e tanti saluti a Lukaku, alle furie rosse, alla favola di Eriksen, al Brasile super favorito, a Harry Kane che stropiccia la presunzione coloniale di re Carlo III e che accomuna tutti in un classico coro da stadio: TUTTI A CASA OLE’!

Infine le immagini che più ci sono piaciute di questo mondiale che non è il nostro: la favola del Marocco che per la prima volta nella storia accede alle semifinali e conquista un quarto posto storico, con Amrabat protagonista su cui sono già partiti i convenzionali rumors di una sua cessione obbligata.

E poi l’irriverenza argentina nei confronti dell’Olanda, protestante e arrogante, con Messi in prima fila a calzare i toni di un perfetto gaucho, unico esempio di un calcio sanguigno, passionale e valoriale (il nostro) che Infantino, la FIFA e la UEFA hanno pervicacemente combattuto fino a renderlo un residuo passatista e non gradito (ma non per noi).

E per concludere l’apoteosi argentina in finale, contro una Francia Mbappè dipendente, con Macron che paternalisticamente consola un irritato Mbappè che vorrebbe mandarlo a quel paese e con Deschamps ed i tanti gobbi transalpini che quasi non credono ai loro occhi. Una vera gioia per tutti noi.

Anche perché è la fine della farsa. Ora si ricomincia a parlare di Fiorentina: e Castrovilli, al suo esordio col Lugano, ha già cominciato a farci sognare.

Fabio Fallai – Viola Club Franco Nannotti

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