Un anno vissuto splendidamente

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Sfogliando casualmente una pubblicazione del 1992 di uno di quei preti che mi sono sempre piaciuti tanto, pratici di Topolino e di oratori in cui si è formata la meglio gioventù calcistica, tra un De Sisti ed un Pesaola, l’occhio mi è caduto su un’intervista a Chiappella, indimenticabile protagonista del primo scudetto e da allenatore della Fiorentina yè yè 1965-67.

Io che ho avuto l’abbonamento in Maratona dal 1961 e la mia prima partita ufficiale un 2 a 2 con la Lazio nella primavera del 1960, per chi ha voglia di approfondire si legga su Alé Fiorentina i quattro capitoli degli scudetti perduti dei viola, ricordo anche il Beppe giuocatore. Ebbene, all’inizio alla domanda su quale sia stata l’annata più fortunata di tutta la sua carriera calcistica, dopo aver premesso icasticamente che come giuocatore non è che si divertisse molto perché faticavo sempre come un negro, cito testualmente, parla di soddisfazione immensa relativamente all’anno 1966. Non posso che confermare il giudizio del nostro Beppone: fu davvero un anno eccezionale, di una purezza calcistica che soltanto quella Fiorentina felice poteva esprimere.

La stagione calcistica precedente si era chiusa con la consegna ad Alberto Orlando del Caltex Sportsman, trofeo d’oro di 1 milione di lire. Con i suoi diciassette goal in trentadue partite è stato il più forte goleador di serie A e il primo calciatore di scuola italiana che abbia conquistato questo ambito premio, così recita il commentatore mentre sullo schermo del servizio CIAC, rintracciabile nel fantastico Archivio della LUCE, compaiono Orlando e Kurt già capitano ed un inedito Lelio Lagorio, fresco Sindaco di Firenze non ancora quarantenne, che consegna la colonnina di stile corinzio, alta circa 40 cm con una coroncina d’alloro alla sommità. Quanto oro ci fosse non sappiamo,

Orlando verrà ceduto al Torino e quella cifra da cannoniere rimarrà un unicum nella sua carriera che declinò. Lagorio invece dopo essere succeduto a La Pira a febbraio non supererà il 19 novembre dello stesso anno, sarà il primo Presidente della Regione Toscana, Ministro a più riprese ed europarlamentare, soprattutto un socialista riformista di grande statura istituzionale.

Fu un campionato strano. Hamrin mise a segno soltanto 8 reti, mai così poche in viola

  • pagò probabilmente il prezzo dello spazio di Orlando – tante quante quelle di Maschio. Di quest’ultimo i goal contro la Juventus in una plumbea giornata autunnale di pioggia e vento, quello in una bellissima vittoria contro il Bologna la domenica successiva, di Maraschi il momentaneo pareggio petroniano, e la esaltante doppietta in rimonta contro l’Inter e contro la Roma di De Sisti. Ci levammo qualche soddisfazione e Maschio giganteggiò per la classe con cui trattava il pallone e per l’incisività con cui si proponeva al tiro in porta.

Un angelo dalla faccia sporca gentiluomo, secondo una vulgata storica attendibile, che starà soltanto tre anni a Firenze ma che lascia in noi tifosi d’antan, tutti casa scuola e Fiorentina, un ricordo indelebile. Chissà se l’averlo avuto qualche anno prima al tempo di Hidegkuti non avrebbe cambiato il corso delle cose, un fuoriclasse come Dino Sani, che al posto di Greaves nel 1962 fu determinante, ma con più attitudine al goal.

La Fiorentina nella sua meravigliosa storia ha contato campioni assoluti ma sempre sfalsati nel tempo, quando per sconfiggere le strapotenze nordiste ci sarebbe stato bisogno di metterli in campo insieme. La geopolitica calcistica non ce lo ha mai consentito. Pensate solo per un momento a Batistuta e Baggio insieme e non è fantacalcio.

Maschio dette il suo piccolo contributo anche all’inizio di questo 1965-66, a Catania in campionato e nei primi due turni di quel vittorioso cammino di Coppa Italia, con due goal, rispettivamente al Genoa ed al Palermo, prima di passare nelle retrovie di quella squadra giovane ed esuberante che ci condurrà verso lo scudetto.

Si respirava un’aria nuova, elettrizzante, con Nello Baglioni Presidente. Nacquero ufficialmente i viola club ed uscì Alé Fiorentina, sotto la vigile conduzione di Alfredo Manoelli, suntuosa ed attenta alla qualità dell’informazione. Si percepiva la volontà di stare al passo coi tempi.

Michelle dei Beatles compare nell’album Rubber Soul e l’anno prima i Rolling Stones hanno fatto uscire Tell me, la cui versione italiana Quel che ti ho dato lancerà l’Equipe 84; Alberto Sordi esordisce come regista con Fumo di Londra, la musica di Piero Piccioni e la voce di Julie Rogers (ed anche di Mina), oltre a Fiona Lewis, bellezza iconica della swinging London dei Mods, sbaragliano i critici. I nostri capelli intanto si stanno allungando, i baffi spioventi verranno dopo con Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band.

Si affacciano Brugnera, ah quella doppietta a Bologna mi si strozzò in gola, Chiarugi e Ferrante, Merlo si rivelerà a dicembre, prima a Coverciano in una partita di allenamento contro la nazionale e poi a Milano contro l’Internazionale; io lo vedrò giuocare contro il Napoli di Canè, che ciccò per nostra fortuna un pallone solo davanti ad Albertosi, Juliano, Altafini, Sivori e Bean in una domenica prenatalizia, il nostro stadio fitto di tifosi partenopei che mal digerimmo, e da allora per più di dieci anni non ci lasceremo mai.

La vera sorpresa che ci illuse fu però in quell’inizio di stagione Paolo Nuti che aveva esordito l’anno prima, qualcosa di più di una promessa, un investimento da centroattacco titolare, 5 reti all’inizio di cui una tripletta in casa con la Sampdoria e 2 con il Palermo in Coppa Italia. Poi più niente. La statistica precisa che disputerà 20 partite quell’anno in campionato, l’impressione è che fossero meno, comunque la squadra si riorganizzerà progressivamente con Brugnera alla Hidegkuti, centroavanti arretrato si diceva allora, per un finale di campionato esaltante, coronato dalla Coppa Italia e dalla Mitropa Cup.

È di quell’anno la più bella partita della mia vita e chi se l’è persa peggio per lui, perché non ne rivedrà mai un’altra eguale. Felicità allo stato puro, quella di un ragazzo del Campo di Marte di 15 anni chino sui libri del Michelangelo ché sa di non poter fallire, a cui quel pomeriggio del 9 febbraio di tanti anni fa i viola regalano una gioia irraggiungibile, una vittoria al 90º contro la prepotente Inter di Herrera firmata da Uccellino. Un’altalena di emozioni a rischio cardiaco nell’ultimo quarto d’ora, dal goal regolare annullato a Brugnera fino alla respinta di Castelletti sulla linea di porta. Da anni sto cercando dei filmati della partita, mi consola la copia del settimanale Programma Viola custodita gelosamente che dedicò un peana a quell’evento con la foto in prima pagina del mucchio dei nostri su Kurt dopo il goal. È una fotografia che vale una vita. Merlo che al limite del pianto per la gioia sommerge Uccellino con i calzettoni abbassati, mentre Pirovano lo stringe in un abbraccio riconoscente e Rogora sta arrivando con la faccia stravolta quasi incredulo. Un raccattapalle di cui ho un vago ricordo e forse Pallino Raveggi completano il quadro, ma non è così. Sullo sfondo la grigia macchia umana dei tifosi viola ad un occhio esercitato come il mio non può nascondere l’esultanza inimmaginabile per chi non c’era, sono tutti in piedi e si stanno abbracciando in un’orgia dionisiaca. All’esterno dopo la partita si assisterà a scene incredibili per il calcio ammaestrato di oggi che sconfinano quasi nella rivolta sociale.

Non mi rassegno. Recentemente nel bellissimo film biografico sull’Uccellino dalla piume viola di Massimo Cervelli e Marco Vichi, la cui visione renderei obbligatoria in tutte le scuole toscane, ho isolato una istantanea che coglie Kurt mentre fa valere le sue ragioni davanti al Sig. Varazzani di Parma, impettito con il braccio alzato ad annullare il goal, regolare ripeto, di Brugnera

Ricordo distintamente la ribellione che ci pervase e che rischiò di precipitare quando Eupalla sembrò punirci con il goal che seguì di Jair, un’altra volta la Fortuna si volgeva contro di noi.

COPPA ITALIA 1965/66

Firenze, 9 febbraio 1966 – semifinale

Fiorentina – Inter 2-1

Fiorentina: Albertosi, Rogora, Castelletti, Pirovano, Ferrante, Guarnacci, Hamrin, Merlo, Brugnera, De Sisti, Morrone. Allenatore: Chiappella

Inter: Sarti, Landini, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, A. Mazzola, Peirò, Suarez, Domenghini. Allenatore: Helenio Herrera

Reti: 75’ Jair, 76’ Brugnera, 90’ Hamrin

Arbitro: Varazzani di Parma

Note: I gol: al 75’ azione Bedin-Mazzola, Albertosi cerca di intervenire ma manca il pallone che giunge sui piedi di Jair pronto a deviare in rete, palla a centro, lancio di Brugnera per Hamrin che rimette al centro dove Brugnera tira al volo e realizza il gol dell’immediato pareggio; al 90’ Castelletti serve Hamrin che in dribbling supera Peirò (dirottato a terzino sinistro a causa dell’infortunio accorso a Facchetti ad inizio ripresa) e Picchi e tira in rete alla destra di Sarti che nulla può fare.

Quel giorno indimenticabile però eravamo più forti del destino e di tutti gli dei dell’Olimpo ed Ettore non sarebbe caduto davanti alle mura amiche. Palla al centro e Brugnera su cross di Hamrin dopo una fuga irresistibile e lo stesso con uno scavetto a beffare l’amico Sarti fecero trionfare Dike, aprendoci la strada alla terza Coppa Italia. Una finale angosciosa peraltro con un Catanzaro coriaceo, liberati dall’incubo dei rigori soltanto alla fine dei supplementari dal rigore, doppio palo e palla in rete, ineccepibile per la clamorosa mano di Sardei.

Ero naturalmente in Maratona con il babbo quel pomeriggio ed anche lui, così pudico e misurato nel trattenere le emozioni, ne uscì travolto. Era il bell’inverno tra il II ed il III centro sinistra di Aldo Moro, quadripartito DC, PSI, PSDI e PRI, Saragat era Presidente della Repubblica per la soddisfazione di mio padre fervente saragattiano fino dal ritorno dalla guerra, dove aveva fatto la Resistenza con i partigiani serbi come racconta nel suo Diario di Guerra, ricco di dettagli politici ed etnografici scritto in presa diretta che ha avuto l’onore delle pagine nazionali.

Il PCI aveva appena tenuto il suo XI congresso caratterizzato grosso modo dalla dialettica Amendola-Ingrao, Togliatti era scomparso da un anno e mezzo, l’unificazione socialista alimentava le aspettative del riformismo ed il Sessantotto albeggiava.

Ha ragione Chiappella, fu una stagione di immensa soddisfazione, con un finale di campionato scoppiettante a partire dalla vittoria per 4-0 a Napoli, come sei anni prima ma con una squadra più giovane e brillante. Pirovano terzino destro a spingere, Bertini ormai mediano col 4 e Merlo con l’8, Chiarugi con l’11 sulle spalle. Uccellino inamovibile.

Voglio tuttavia ricordare a maggior merito di Chiappella, il cui esonero alla vigilia di Natale del 1967 mi rimarrà incomprensibile se non per i risultati di quella squadra pretesa, non senza ragione, da scudetto, l’ottimo parco giuocatori, alcuni dei quali titolari ad inizio campionato dovranno cedere il posto all’inarrestabile vitalità giovanile. Nomi che comunque faranno la storia di quell’anno, come il grande Sergio Castelletti, il funambolico Juan Carlos Morrone ed Egidio Guarnacci, quanto mi piaceva, tanto affidabile quanto silenzioso; allora per mia fortuna non c’erano i social media e la privacy era reale non invocata furbescamente quando fa comodo. Tutti e tre presenti in quella storica semifinale. E Marchesi, Gonfiantini, due protagonisti del quinquennio 1960-65, Nuti e Maschio già citati, Marcello Diomedi, il portiere Paolicchi che beccò due reti nel finale di quella dolorosa sconfitta autunnale a Bologna e che disputò entrambe le partite della Coppa dell’Europa Centrale, la leggendaria Mitropa, insieme ad un giovane Roberto Vieri da Prato esordiente nella finalissima contro lo Jednota Trenčín, suo il tiro deviato in goal da Brugnera.

L’anno dopo la cavalcata post-alluvione spezzata immeritatamente in casa dall’Inter, arriveremo quinti con gli stessi punti dell’anno prima, ma, Boranga caso a parte, Giampietro Vitali, Lenzi e Cosma non saranno all’altezza delle attese e tutto sommato verrà sentito come un campionato modesto. Del resto la questione della rosa, intesa come parco di giuocatori di livello intercambiabili, è stata una costante del cammino viola, da subito dopo il primo scudetto fino al 2015-16 di Paulo Sousa, in un intreccio imperscrutabile per il tifoso viola come per gli altri, tra errori e non competitività finanziaria della società e geopolitica. Quell’anno fece eccezione. Ma questa è un’altra storia. La visione di quell’abbraccio a Kurt di una gioia pura come il nostro amore viola renderà per sempre lieve il sonno di noi ragazzi del Campo di Marte.

Gianni Bonini – Viola Club Franco Nannotti

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