Prosegue il nostro viaggio alla scoperta dei Viola Club sparsi per l’Italia e il mondo, e quest’oggi, in occasione del numero di ottobre di Alé Fiorentina, siamo volati dall’altra parte dell’Oceano Atlantico: abbiamo avuto il piacere di parlare con Alessandro Sisto, presidente del Viola Club New York e delegato dell’Associazione Centro Coordinamento Viola Club per il Nord America.
Quando, e da quale intento, nasce il Viola Club New York?
«La storia del nostro Viola Club comincia nel 1990. È il 14 dicembre e l’idea di fondare un fan club della Fiorentina nasce grazie a Gino Gullace Raugei, a quel tempo corrispondente della rivista “Oggi” e ardente tifoso. Sicuramente siamo stati mossi dalla grande passione. All’epoca ero a Firenze, e nel 1990 mi godevo la Viola dal Franchi, ma ti posso dire che quando ci si allontana da casa si cerca di ritagliarci o di creare una piccola versione della nostra città. Dal momento che Firenze è anche la Fiorentina, amo immaginare che sia stato così anche per i fondatori del VC».
Quanti soci contate oggi?
«Quando il Viola Club è stato costituito erano circa una ventina, oggi siamo circa 78 soci».
Qual è stata la tua prima partita della Fiorentina allo stadio? Da dove nasce la tua passione?
«La prima partita che ho visto è stata un Fiorentina-Torino, in curva ferrovia, con il nonno che per me era il “Nonno Dino”. Avevo poco più di dieci anni ed entrare per la prima volta in uno stadio mi face innamorare di quel luogo, di quella maglia, di quei suoni e di quel “casino” che tutt’ora è rimasto invariato e che porto sempre con me. Mi ricordo poco della partita ma essendo gemellati con la prima squadra di Torino ricordo un bel clima di festa».
Come portate avanti, da così lontano, il vostro essere tifosi?
«Non è facile tifare da lontano, anche se oggi con tutte le radio online e le app riusciamo a seguirla abbastanza bene… anche se mi manca molto lo stadio e gli amici della curva. Purtroppo non abbiamo una sede fissa e ci appoggiamo sempre a un locale che ci tiene una stanza solo per noi per goderci la partita. Non è facile in quanto qui a New York i locali cambiano ad una velocità spaventosa e in questi anni che sono presidente la vera sfida è stata quella di trovare un posto nostro o quasi che ci faccia stare insieme per tifare la Viola. Abbiamo ad oggi un piccolo network di ristoratori amici che ci ospitano (quando in Italia giochiamo di sera), per cui riusciamo a mantenere viva la nostra identità di gruppo e club».
Ogni quanto riuscite a tornare a Firenze?
«Bene o male a girare tutti o quasi riusciamo a tornare a Firenze una volta l’anno. Questa volta sono riuscito a fare un salto allo stadio, e ne sono davvero felice anche perché, avendo un figlio di otto anni che gioca a calcio, per me è fondamentale farlo appassionare alla città e alla squadra. Credimi, all’estero non è facile, con tutti gli squadroni che ci sono: Real, Barça, Liverpool… le “distrazioni” per un bambino sono dietro l’angolo. A Firenze invece, quando vai a scuola, hai la maggioranza se non tutti gli amici che tifano viola e ci si fa forza a vicenda; qui no, quindi devi essere te babbo a trasmettere questa passione. Meno male che qui ci ricordano ancora grazie a Batigol e la Champions dell’era Prandelli, altrimenti sarebbe parecchio dura».
C’è un aneddoto che ha coinvolto te e il tuo Viola Club che vuoi raccontarci?
«Un momento che ricordo con simpatia fu il ventesimo anniversario del Viola Club, quando invitammo Christian Riganò… Che personaggio! Dopo appena dieci minuti gli volevamo tutti bene come a un fratello, e lui sembrava uno di noi e non un ospite: ricordo che dopo poco che era con noi mi dava delle “zuppe” tipo quelle che si danno tra amici… fantastico! L’anno dopo ero a Firenze, all’uscita dello stadio, mi sento chiamare “Oh Alessandro!”… era lui, stupendo! (ne approfitto per fare un caro saluto a Christian… ti s’aspetta!)».
Venendo all’attualità, invece, che giudizio ti stai facendo sulla squadra di quest’anno?
«Ero uno di quelli che pensava fermamente che la squadra fosse più forte dello scorso anno, acquisti fatti in tempo e tutti pronti (o quasi)… Tuttavia, devo essere sincero, ho paura che quest’anno il gruppo non si sia solidificato a livello di spogliatoio, infortuni a parte che comunque così tanti pesano. Credo che qualche difficoltà là davanti ci sia, ma forse più a livello di integrazione caratteriale, e quindi di gruppo, che altro».
Per quanto riguarda il percorso in Conference League che sensazioni hai?
«Ho notato che in Conference il livello è molto basso, mi auguro di non vedere più partite come quella di Istanbul».
Arrivati a oltre tre anni di gestione Commisso, che idea ti sei fatto?
«Per quanto riguarda il presidente devo dire che la disponibilità iniziale con noi tifosi mi ha colpito in maniera positiva, ed è quello che ogni presidente di un club si augura per i propri soci, ovvero far incontrare squadra e tifosi. Per quanto riguarda il presente, aspetto ancora un bel colpo di mercato che non sia calcolato a livello di budget ma che sia dettato dal cuore, con un po’ di pazzia e irrazionalità che tanto farebbero bene. Credo che dentro ogni fiorentino ci sia più o meno sviluppato un piccolo “Davide”, proprio come quelli che si vedono davanti al Palazzo della Signoria, al Piazzale o al Museo dell’Accademia. Ci piace contrastare, combattere e sfidare i più forti, e anche se i forti poi rimarranno tali a noi non importa perché la nostra forza è data dal fatto che a noi comunque piace sfidarli. Be’, quell’impulso irrazionale di metterci davanti ai giganti mi piacerebbe vederlo in un bell’acquisto».
Un consiglio e un saluto da New York a tutti i tifosi che ci leggono?
«A tutti i tifosi viola a giro per il mondo dico di non mollare, e di affiancarsi a un club o addirittura di crearne uno, anche con pochi soci: ho conosciuto delle persone fantastiche, tifosi viola qui a New York, a cui voglio molto bene e alle quali sono molto legato che mai avrei immaginato di incontrare se non mi fossi avvicinato al Viola Club. Un saluto e un abbraccio a tutti… A presto!».
Giacomo Cialdi – Direttore Alé Fiorentina