Il viaggio della rubrica “Tutto lo Stadio”, nata dal desiderio di aiutare i nostri soci, e tutti i tifosi viola, ad entrare in contatto con le varie realtà del tifo, anche e soprattutto quelle lontane da Firenze, oggi ci conduce per la prima volta oltreoceano, ai piedi di Beverly Hills, nella vivacissima comunità viola di Los Angeles, in compagnia del presidente Paolo Odierna.
Ciao Paolo… Intanto lasciaci dire che siamo veramente orgogliosi del vostro lavoro a così tanti chilometri di distanza. Siete un nuovo Viola Club, come è nata questa idea e quanto è importante la proprietà americana per Club come il vostro?
«Il nostro Viola Club nasce dall’essere di Firenze, vivere all’estero e tifare per la Fiorentina. Io ed il mio socio in Affari, Lorenzo Lisi, siamo i fautori di questo Club e vi posso dire che non siamo gli unici a tifare viola qui a Los Angeles. Nel club ci sono anche americani o italo-americani. Da quando la proprietà è a stelle e strisce, la fiorentina è più conosciuta qui e stiamo lavorando per avere un nostro stand viola al next-expo del 2023, la più grande fiera italiana di Los Angeles.
Qui da noi il marchio della Viola ha ancora più presa grazie alla presenza del L.A. Lakers, la squadra di basket di Kobe Bryant, che ne condivide i colori».
Quindi avete una comunity molto eterogenea…
«Sì esatto, noi fondatori siamo tre italiani, ma il calcio qui è molto in espansione e Firenze è molto famosa, quindi accogliamo anche tanti americani che per la prima volta si avvicinano al mondo del calcio, e quindi alla Fiorentina. Non siamo ancora un numero preciso, è una crescita esponenziale».
Nonostante la distanza, riuscite a raggiungere il Franchi ogni tanto, oppure seguite solo a distanza?
«Viaggiamo tutti per lavoro, cerchiamo di fare soste a Firenze quando possibile, anche solo per una rapida visita ai campini. Cerchiamo di venire almeno una o due volte l’anno. Nel 90% dei casi ci ritroviamo qui a Los Angeles con soci ed amici per seguire le partite, c’è molto entusiasmo, tanto da seguire le partite anche quando qui è notte o mattina presto (quando giochiamo alle 15, qui da noi sono le 7 del mattino). Il nostro scopo è far conoscere ai locali la cultura fiorentina, a partire dal vernacolo fiorentino… abbiamo degli ottimi studenti… [ride, ndr]
Con la nuova stagione abbiamo in programma varie attività pubbliche divertenti per cercare di propagandare ancora di più la nostra passione».
Una valutazione sulla stagione che si è appena conclusa?
«Siamo orgogliosi del ritorno in Europa dopo tanti anni di gastriti… [ride, ndr]
Pensavamo che la squadra fosse da metà classifica, invece siamo riusciti ad alzare un po’ l’asticella e speriamo di riuscire a continuare questa crescita nell’immediato futuro. Abbiamo brontolato molto per certe partite, specie nel finale di stagione, come penso tutti anche a Firenze, ma dato il risultato finale ci riteniamo soddisfatti rispetto alle predizioni di inizio campionato. Non vediamo l’ora che il progetto del Viola Park sia portato a compimento e siamo fiduciosi per il futuro».
Avete un messaggio per tutti i tifosi viola, per sancire la fondazione del vostro Viola Club?
«Il nostro Club è un messaggio di puro amore verso Firenze in Viola. Un modo di tenere un legame più vivo con la magica Fiorentina. Noi immigrati abbiamo cambiato vita, città, cambiamo automobili, cambiamo case e a volte mogli… ma la fede nella Fiorentina, anche se ci fa veramente perdere le staffe, non possiamo cambiarla… non c’è verso! Eppure ci fa star male, specie negli ultimi anni, ci fa soffrire fino al punto di spegnere la tv e di dire basta, ma questo basta dura fino alla partita successiva, poi tutto si dimentica e si riparte come nulla fosse…
Ai tifosi dico solo che Firenze è famosa in tutto il mondo e merita una squadra di altissimo livello. Nelle nostre vite abbiamo visto vincere poco, ma sia io che Lorenzo eravamo allo stadio dopo la finale di Bergamo, fino alle 4 del mattino, insieme a un mare di tifosi ad aspettare la squadra al rientro.
Insomma, Firenze ha il giglio Rosso e il cuore Viola… tutto il resto è noia!».
Intervista di Francesco Cerreti