Storia dell’A.C. Fiorentina

Condividi sui social

di LORENZO MAGINI – 41° puntata

tratto dall’originale stampato nel n° 5 Anno V di Alé Fiorentina del Gennaio 1970

(Nell’edizione originale la puntata è stata pubblicata con il numero 39)

Uno scudetto buttato al vento

Il successore di Befani

Uno scudetto, quattro secondi posti consecutivi, il definitivo inserimento della società e della squadra nella élite del calcio nazionale e internazionale: questi i traguardi raggiunti da Befani e dal suo consiglio. Un’eredità gloriosa che nessuno, dieci anni prima, avrebbe neppure lontanamente immaginato! Trovare un sostituto capace di fare altrettanto non era cosa facile. Dopo un mese di consultazioni e di trattative questo finalmente fu varato. Presidente Enrico Longinotti e vice presidente Ugolino Ugolini, questo consiglio si componeva altresì, dei consiglieri Siliani, Alfredo e Marcello Masi, Sorbi, Sergio Ristori, Palmieri e Fiani. Uomini nuovi, animati da grande passione ed entusiasmo, privi purtroppo di quella esperienza, che, sempre necessaria in ogni campo dell’attività umana, in quello specifico della giungla del calcio, è addirittura indispensabile, conditio sine qua non.

Longinotti, uomo onesto e cristallino, altrettanto onestamente ammetteva di aver ben poche volte presenziato ad una partita di calcio. A lui, industriale di vecchia data, titolare di una ditta tra le più apprezzate per serietà, abituato alla quadratura dei bilanci e quindi ad una oculata amministrazione, quel mondo del calcio, decisamente orientato ormai verso il caos dell’allegra finanza e dei debiti astronomici, dovette all’inizio apparirgli come irreale. Con l’andar del tempo anche lui però si allineerà col modo di pensare e di agire imperante in quel mondo, e ne farà un’amarissima, personale esperienza.

Coppa delle Coppe e Coppa Italia.

La gestione Longinotti cominciava sotto i migliori auspici. Prima ancora che finisse il campionato precedente, nel mese di maggio, si disputavano le due partite di finale per l’assegnazione della I Coppa delle Coppe contro la squadra scozzese dei Rangers di Glasgow. L’una e l’altra si concludevano con una vittoria dei viola, scesi in campo ambedue le volte con questa formazione: Albertosi, Robotti, Castelletti, Gonfiantini, Orzan, Rimbaldo, Hamrin, Micheli, Da Costa, Milan, Petris. Due a zero (2 gol di Milan) il risultato di Glasgow, due a uno (gol di Hamrin, Milan e Scout) quello di Firenze.

A questo successo si aggiungeva pochi giorni dopo la conquista della seconda Coppa Italia, ottenuta con la vittoria in finale sulla Lazio sempre al Comunale di Firenze. Dalla prima affermazione viola in questa competizione (giugno 1940) erano passati ben 21 anni! A raccogliere gli applausi dei tifosi esultanti, sia nella finale della Coppa delle Coppe sia in quella di Coppa Italia, insieme a tutta la squadra si schierava per l’ultima volta al centro del campo Enrico Befani. Anche questi due successi infatti facevano parte di quella eredità lasciata ai suoi successori.

I nuovi acquisti.

Passato l’eco delle due ultime affermazioni il nuovo consiglio si metteva subito all’opera per potenziare la squadra in vista del prossimo campionato. La febbre degli oriundi e degli stranieri aveva ripreso un po’ tutte le società italiane. Nuovi nomi si affacciano alla ribalta del campionato italiano. Seguendo l’esempio di Charles, vengono in cerca di sole gli albionici Greaves, Baker, Law, Hitchens; dalla Germania «calano a valle», direbbe il Carducci, Koelbe e Szymaniak; dalla Jugoslavia Boskov, Vaselinovic, Kostic, Kaloperovic; dalla Svezia Jonsson e Borjensson; dalla Danimarca Nielsen, Mortensen, Christensen; dalla Spagna Suarez e Santisteban; dal di là dell’oceano Sani, Sormani e Clerici: un caleidoscopio vivente di razze, una babele di linguaggi, tutti quanti attratti dal favoloso eldorado italiano. Anche la Fiorentina si accaparra lo straniero. È lo svedese Torbion Jonsson Mortensen, Christensen; dalla Spagna Suarez e Santisteban; dal di là dell’oceano Sani, Sormani e Clerici: un caleidoscopio vivente di razze, una babele di linguaggi, tutti quanti attratti dal favoloso eldorado italiano.

27 maggio 1961. La 1° Coppa delle Coppe consegnata al capitano Orzan al termine del secondo incontro vittorioso coi Rangers di Glasgow (2-1). Al centro l’ex presidente Befani.

Anche la Fiorentina si accaparra lo straniero. È lo svedese Torbion Jonsson prelevato però dalla squadra spagnola del Real Betis di Siviglia. Un acquisto che ben presto si tramuterà in cessione per far posto al turco Can Bartù, che rinverdirà nei fiorentini il ricordo dell’altro turco Lefter, venuto all’ombra del Cupolone dieci anni prima.

Dalla Sampdoria, che l’aveva prelevato dal Padova ma che poi aveva optato per l’altro centravanti Brighenti, veniva acquistato Aurelio Milani — un acquisto che sembrerà nelle prime partite non corrispondere alla cifra sborsata, ma che poi, trasformato letteralmente dalla mano di Hidegkuti, si rivelerà come il migliore di tutta la campagna acquisti; dal Catania veniva acquistato il mediano Ferretti, considerato come la rivelazione del campionato precedente.

Inizio incerto.

Il campionato s’iniziava a Venezia con una vittoria che definirla fortunosa sarebbe un eufemismo dei più castigati. L’unico gol che decideva infatti questa vittoria veniva segnato da Dell’Angelo col «con cui si siede» e del tutto inavvertitamente! I commenti a questa partita, che non tralasciavano di mettere in risalto l’irresistibilità (!) di questo gol, erano intonati ad un nero pessimismo. Per ammorbidire la loro causticità si cercò di chiamare in causa l’assenza di Petris che, per disaccordi sul premio di reingaggio, si era allontanato da Firenze durante il mese di Agosto, ricorrendo addirittura alla Lega. La situazione di Petris veniva risolta nella settimana successiva alla partita di Venezia, tornato a Firenze il triestino si metteva a disposizione di Hidegkuti. Anche contro la Sampdoria però la squadra deludeva. Improvvisamente però, rientrato in squadra Petris, giungeva la vittoria sui rossoblù bolognesi a Bologna. Con due gol di Hamrin e uno messo a segno da Petris, i viola davano il primo grosso dispiacere a Bernardini, passato in questo campionato ad allenare la squadra bolognese dopo che l’anno prima era stato cacciato via dalla Lazio e sostituito con Carver (!).

I tre nuovi acquisti per il campionato 1961-62. Da sinistra a destra: Johsson, Milani, Ferretti.

L’euforia del successo sul Bologna dileguava però il mercoledì successivo nell’incontro casalingo col Lanerossi Vicenza, giocato alla luce dei riflettori. Era una imperdonabile leggerezza di Sarti a decretare la sconfitta dei viola. Spintosi fino al limite della propria area di rigore per seguire meglio l’arrembaggio dei suoi compagni alla porta di Bazzoni, si lasciava sorprendere da un tiro a parabola di Fusaro scagliato in avanti a puro scopo di alleggerimento. Alla sconfitta interna faceva seguito la domenica dopo quella più clamorosa di S. Siro ad opera dell’Inter. Gli uomini di Helenio Herrera, già entrato di prepotenza a titoli di scatola sulle pagine sportive della penisola per il braccio di ferro sostenuto con Angelillo e il susseguente allontanamento dell’argentino dalle file nerazzurre, facevano tutto da sé: di Corso, Suarez e Hitchens (2) i gol finiti nella rete di Sarti; di Picchi, quello finito nella rete di Buffon.

A questo punto Hidegkuti, che aveva iniziato il campionato affiancato ancora da Chiappella, chiedeva alla società la piena autonomia. Gli veniva concessa all’istante e Chiappella passava ad allenare la squadra riserve.

L’esplosione di Milani.

 Esplodeva Milani. A farne le spese era il diciannovenne Zoff, al suo debutto nella massima divisione a guardia della rete dell’Udinese. Cinque reti finivano alle sue spalle. Sembrava iniziare un nuovo momento. A Catania però nuova sconfitta. Di questa, i viola si rifacevano immediatamente andando a vincere alla Favorita di Palermo una partita che terminava con il lancio di numerose bottiglie in campo, una delle quali spaccava il cuoio capelluto dell’Arbitro Genel mentre si avviava al sottopassaggio, diretto verso gli spogliatoi. Nella partita di Palermo si aveva la definitiva promozione in prima squadra di Gonfiantini. Orzan, cui gli anni cominciavano a pesare, passava definitivamente al più giovane e promettente centromediano quella maglia col numero cinque, ricevuta in consegna da Rosetta e da Cervato, Quel Cervato, che la domenica successiva ritornava sul campo dei suoi primi successi, questa volta con la maglia biancazzurra della Spal, cui era stato ceduto dalla Juventus alla fine del campionato precedente. Ma anche per Cervato gli anni erano passati e nulla poteva la sua generosità e la sua classe contro gli scatenati viola: cinque reti finivano nella rete di Maietti.

Due traverse nel giro di un minuto impedivano alla squadra di conseguire un’ulteriore vittoria al Martelli di Mantova. Cominciava comunque a delinearsi il nuovo volto e la nuova impostazione di Hidegkuti. La squadra aveva cominciato a marciare speditamente senza timori reverenziali per nessuno, conscia delle sue possibilità, animata da un grande slancio. A darne la conferma era proprio la partita successiva col Milan al Comunale.

29 ottobre 1961. La formazione del clamoroso successo sul Milan. In piedi: Dell’Angelo, Milan, Malatrasi, Marchesi, Milani, Rimbaldo; accosciati: Petris, Hamrin, Sarti, Robotti, Gonfiantini.

Un risultato sensazionale (5 a 2) ottenuto con una girandola ubriacante di azioni a ritmo impressionante, con tre gol nei primi 15 minuti di gioco (Hamrin e Milani due volte). Un Milani scatenato, completamente diverso da quello delle prime partite, potente nel tiro, pronto allo scambio, imbattibile nel gioco di testa: il centravanti che i fiorentini sognavano da anni.

Più difficile del previsto si rivelava invece la successiva partita con la Roma di Carniglia, Loiacono, Manfredini e Angelillo, sempre al Comunale. Ed era ancora Milani con un gol da manuale (stop col petto di un cross dalla destra e tiro al volo di rara potenza) a cavare le castagne dal fuoco per i viola. La settimana successiva la Fiorentina affrontava ben tre partite: a Torino con la Juventus, a Vienna col Rapid nel quadro della Coppa delle Coppe, a Padova. Pareggio a Torino, successo clamoroso a Vienna (6 a 2 con tre gol di Milani e uno ciascuno di Hamrin Dell’Angelo e Jonsson), altro successo In campionato a Padova, la squadra era alla decima partita consecutiva senza sconfitte.

Piero Gonfiantini. Sarà Hideghuti a valorizzarlo e a promuoverlo definitivamente titolare della maglia n. 5. 29 ottobre 1961 – Fiorentina-Milan 5-2. Il primo gol di Hamrin (fuori quadro) e il gol di Greaves su rigore.

Can Bartù

Con la riapertura delle liste di novembre non soddisfatta del rendimento di Jonsson, la Fiorentina cercava sul mercato straniero il suo sostituto. Nomi illustri, ne furono fatti tanti (Seeler, Seminario, Restivo, addirittura Garrincha), ma alla fine giungeva a Firenze il quasi sconosciuto Can Bartù, mezz’ala destra del Ferhenbace, 23 volte titolare della nazionale turca. Jonsson che in primo tempo doveva andare alla Spal, veniva ceduto alla Roma.

Can Bartù, la mezzala destra della squadra turca del Ferhenbace, al suo primo allenamento in maglia viola.

Il turco debutta contro il Torino. Suscita lusinghieri consensi e viene atteso con fiducia ai prossimi impegni. Visto il rendimento della squadra ci si attendeva dalla stessa un girone di ritorno incandescente e molto si sperava in questo turco dal tocco di palla delizioso, tecnicamente validissimo: con un po’ di grinta, senza dubbio un grosso giocatore. Il girone di andata si concludeva col pareggio di Bergamo. Campione d’inverno si laureava l’Inter di Herrera, ma la Fiorentina con la sua rimonta si era portata a soli quattro punti dalla capolista.

12 novembre 1961. Fiorentina-Roma 1 a 1. La disperazione di Sarti battuto da Manfredini (fuori quadro) riprendendo una respinta su calcio di punizione tirato da Lojacono.

Al comando della classifica.

Contro il Venezia al Comunale faceva il suo debutto in questo campionato Albertosi. La vittoria conseguita, questa volta non prestava il fianco né a ironici commenti né a critiche. I due gol che battevano Magnanini erano davvero irresistibili! Vincendo a Genova con la Sampdoria, la Fiorentina si portava a soli due punti dall’Inter, battuta a S. Siro dalla Roma con un gol di Manfredini; e in seguito al pareggio conseguito dai nerazzurri a Torino col Torino e alla concomitante vittoria dei viola sul Bologna, il distacco si riduceva ad un solo punto. In testa alla classifica quattro squadre per uno scudetto: Inter, Fiorentina, Milan, Roma, rispettivamente con 30, 29 28, 27 punti!

A Vicenza però, la tradizionale battuta d’arresto per i viola, sia pure, questa volta contenuta nei limiti di un pareggio. Di questa ne approfittava l’Inter che vittoriosa sul Mantova a S. Siro, si riportava a due punti, e il Milan che, vince a Udine, raggiungeva al secondo posto i viola.

Il Suarez dei poveri

Perdendo clamorosamente al Comunale di Firenze l’Inter perdeva anche quella certezza nel successo finale che il suo allenatore aveva sempre manifestato apertamente.  Trascinata da un Dell’Angelo spettacolare che annullava letteralmente Suarez tanto da far coniare a Pegolotti quel titolo che poi Dell’Angelo tante volte si sentirà ripetere – «il Suarez dei poveri cancella dal campo il Suarez dei nababbi” – con un Milani scattante ed acrobatico, vera spina nel dispositivo difensivo avversario, autore di tre gol spettacolosi, con un Bartù per nulla inferiore ai pur blasonati avversari e un Hamrin disperazione del giovanissimo Facchetti. La Fiorentina travolgeva i nerazzurri con l’identico punteggio subito a S. Siro nel girone di andata e si apparigliava a loro in testa alla classifica insieme al Milan. Milano contro Firenze: un duello già verificatosi per l’addietro e che ancora una volta si sarebbe concluso a favore del nord.

21 gennaio 1962. Fiorentina-Inter 4-1. Uno dei tre gol messi a segno da Milani sul quale vanamente si è portato il giovanissimo Facchetti.

Nelle giornate successive si avevano continui mutamenti in testa alla classifica. Vittoriosi tutte e tre nella domenica successiva, rispettivamente a Udine i viola, a S. Siro sul Padova i nerazzurri, a Genova con la Sampdoria i rossoneri, le posizioni mutavano al turno successivo in conseguenza della sconfitta del Milan nel derby e del pareggio imposto dal Catania alla Fiorentina a Firenze. Sconfitta l’Inter a Ferrara era la Fiorentina a restare in testa da sola, avendo vinto sul Palermo, mentre il Milan riagganciava i cugini con la vittoria interna sul Venezia. Il pareggio di Ferrara, agguantato con fatica dai viola con un rigore messo a segno da Marchesi, permetteva al Milan di apparigliare la Fiorentina in testa e di giocarsi con questa il primato nell’incontro diretto che si sarebbe disputato a S. Siro due domeniche dopo.

Nel frattempo la Fiorentina se n’andava in Cecoslovacchia a disputarvi i quarti di finale contro la Dinamo di Zilina (sconfitta viola per 3 a 2, Dell’Angelo l’autore dei due gol); si ripresentava al comunale contro il Mantova sconfiggendolo per uno a zero, e il mercoledì prima dell’incontro decisivo col Milan incontrava di nuovo i cecoslovacchi dello Zilina battendoli per due a zero (Hamrin e Petris), e conquistando così il passaggio alle semifinali dato il quoziente reti migliore di quello dei cecoslovacchi.

  1. Siro fatale

Da venti giornate la Fiorentina non perdeva. A S. Siro però subiva la più clamorosa e deprimente sconfitta con lo stesso risultato imposto ai rossoneri a Firenze. Si ripeteva così la stessa coincidenza verificatasi con l’Inter: 4 a 1 a S. Siro e 4 a 1 a Firenze l’Inter, 5 a 2 a Firenze 5 a 2 a S. Siro il Milan. Sul banco degli accusati per questa sconfitta Sarti e Petris. Il primo, apparso addirittura nel mondo delle nuvole in occasione dei primi due gol e specialmente sul primo messo a segno da Rivera dopo soli tre minuti di gioco; il secondo, perché per ben tre volte nel giro di otto minuti, aveva mancato il gol, solo davanti a Ghezzi.

La sconfitta lasciava il segno. Crollava tutto quel castello di speranze e di sogni e in 90′ si dissolvevano al vento gli sforzi intensi di tutto un campionato. Lo si vedeva a Roma, dove anche i giallorossi battevano la squadra viola con un gol – il primo messo a segno nella sua carriera in serie A – del diciannovenne De Sisti. Il Milan intanto volava verso la conquista del suo ottavo scudetto andando a vincere clamorosamente a Torino con la Juventus (4 a 1), che poi, la domenica successiva, sia pure in maniera molto meno pesante, veniva battuta anche dai viola al Comunale. A questo punto la Fiorentina decideva di dedicare tutte le sue forze alla competizione della Coppa delle Coppe pur tenendo sempre di vista il campionato. L’Uipest di Budapest, avversario in semifinale, veniva battuto a Firenze con due gol di Hamrin e a Budapest con un gol di Bartù; in campionato, alla vittoria sul Padova seguiva quella sul Torino a Torino. Quando però la Lega dava partita vinta al Milan che si era rifiutato di giocare sul campo dell’Atalanta con gli spettatori sistemati ai bordi del campo, visti inutili tutti gli sforzi, la squadra disarmava. Perdeva sia a Lecco contro una squadra già condannata alla retrocessione, sia a Firenze nell’ultimo incontro contro l’Atalanta; anche il secondo posto in classifica svaniva a favore dell’Inter.

Alla sua prima esperienza il consiglio Longinotti aveva avuto a portata di mano la conquista dello scudetto mancandola d’un soffio. Col materiale a sua disposizione Hidegkuti aveva creato un piccolo capolavoro d’impostazione tattica e tecnica. La mancanza purtroppo di riserve valide, da potere avvicendare al momento opportuno, gli aveva negato la soddisfazione di centrare il bersaglio. Nonostante tutto si era rivelato come uno dei più preparati e più seri allenatori stranieri scesi in Italia, degno continuatore di quella tradizione danubiana che più di trent’anni prima aveva dato un volto ben preciso al nostro calcio.

Lorenzo Magini

Continua nel prossimo numero

Le foto sono tratte dall’Archivio Polidori

Leggi altri articoli
Torna in alto