di LORENZO MAGINI – 40° puntata
tratto dall’originale stampato nel n° 4 Anno V di Alé Fiorentina del Dicembre 1969
(Nell’edizione originale la puntata è stata pubblicata con il numero 38)
La fine di un ciclo glorioso
Via Lojacono… arriva Antoninho
Anche Carniglia a fine campionato riceve il benservito.
Lo staff dirigenziale non trova di meglio che far ricadere la colpa degli insuccessi sulla testa dell’allenatore. E’ il modo più spiccio, più pratico, e anche più popolare, per nascondere le proprie deficienze e le proprie responsabilità. Carniglia aveva avuto senza dubbio le sue colpe, aveva dimostrato più di una lacuna, ma non era il solo responsabile dell’ultimo insuccesso. Se il traguardo della conquista dello scudetto non era stato più raggiunto, molto era dovuto anche al logoramento della classe dirigente. Proiettata d’improvviso al vertice dei valori nazionali ed entrata nel giro delle grandi squadre europee, condizionata dalle sue limitate possibilità finanziarie derivanti da incassi insufficienti, la società viola, nonostante gli sforzi e i tentativi di rinnovamento effettuati, non era riuscita a rinforzare adeguatamente la squadra, né a trovare accettabili soluzioni di ricambio all’inevitabile usura dei magnifici atleti del 55-56.
Di questi, in tre anni, se n’erano andati Julinho, Magnini, Cervato, Rosetta, Virgili, Prini. I loro sostituti, eccezion fatta per Hamrin e Lojacono, non si erano davvero mostrati all’altezza del compito loro affidato. E così, mentre le grandi squadre del nord si potenziavano sul mercato internazionale coi Sivori, con gli Charles, con gli Angelillo, coi Lindskog, coi Maschio, ecc., la Fiorentina aveva dovuto accontentarsi, talvolta per necessità talaltra per insipienza, dei giovani, sia pure promettenti, scovati sul mercato nazionale. I Robotti, i Castelletti, i Petris, gli Azzali, non avevano purtroppo dato i risultati sperati. I tre secondi posti consecutivi conquistati erano stati la logica e la più corrispondente conclusione dell’effettivo valore della squadra. Pretendere di più non si poteva.
A questo punto però l’intelaiatura della squadra si sfascia ancor di più. Lojacono viene ceduto alla Roma, Gratton al Napoli, Segato all’Udinese.
Vestono invece la maglia viola Da Costa, entrato nello scambio con Lojacono, Milan dall’Udinese, cui si dà in conguaglio appunto Segato (!), Micheli dalla Spal, scambio con Azzali più milioni, Marchesi dall’Atalanta, Veneranda dalla Sangiorgese. Contemporaneamente si cerca affannosamente l’oriundo sul mercato sudamericano. Ne vien fuori una girandola di nomi: Bazzani, Restivo, Desiderio, Frugiuele, Morrone. Si crede addirittura di poter scoprire un nuovo Montuori nel diciassettenne Rinaldini solo perché anche questo, come Miguel, è stato segnalato da Padre Volpi; per fortuna, dopo una bella vacanza in Italia di poco più di un mese, dovrà tornarsene in patria per il veto posto dalla federazione argentina, essendo Rinaldini inferiore ai 21 anni. La scelta infine cadrà su un certo Antonio Angeli, detto Antoninho, ventunenne centravanti del Botafogo di Ribeirao Preto (da non confondere con ben più famosa squadra del Botafogo di S. Paolo del Brasile). Lo si preferisce a Morrone, che poi fra due anni, verrà acquistato per la modica cifra di 200 milioni!

Czeizler-Hidegkuti
A sostituire Carniglia si richiama Czeizler, Altro dimostrazione d’insipienza dirigenziale. Ad un uomo cacciato l’anno prima dopo un campionato esaltante anche se sfortunato, viene dato il compito di ricostruire una squadra sfasciata da vendite scriteriate. Abituato ai grandi giocatori, Czeizler capisce i propri limiti. Non è un forgiatore di giovani, ma accetta lo stesso. Propone però alla società viola l’ingaggio di Hidegkuti, già famoso in Ungheria come allenatore della M.T.K.: sarà lui a forgiare la nuova Fiorentina.

Impedimenti burocratici sollevati dal Comitato per lo Sport Ungherese sembrano mandare all’aria questo progetto. Czeizler però è convinto di riuscire nell’intento. Nel frattempo prende lui in mano la squadra, profondamente rinnovata nei ranghi. Amalgamarla, darle una fisionomia, si rivela subito un compito arduo. A renderlo ancor più difficile contribuisce il disaccordo di diversi giocatori con la società per i reingaggi. La situazione dirigenziale è caotica. «Gli sportivi – scrive Giordano Goggioli – sono più irritati che stupiti dal fatto che la «grande» Fiorentina si appresti ad affrontare i suoi impegni agonistici nelle condizioni d’inquadratura attuali… e mentre il povero Czeizler non sa che pesci pigliare i dirigenti viola si bisticciano fra loro. Un avvio davvero brillante per la Fiorentina 60-61! È ciò che si temeva, ma non in questa misura. Il consiglio della società dovrebbe pensarci su. Ma non domani. Subito. Con urgenza. E speriamo che si sia in tempo per salvare qualcosa di sufficiente a far disputare alla Fiorentina un dignitoso torneo.»
Mentre s’intensificano i contatti coi vari mediatori in Italia e all’estero per l’acquisto dell’oriundo salvatore della patria, la squadra disputa a S. Siro, il 19 settembre, la finale di Coppa Italia con la Juventus. Nonostante l’impegno profuso, soccombe nei tempi supplementari, causa un’autorete di Marchesi, non riuscendo ad approfittare dell’espulsione di Sivori, reo di aver scagliato, in un gesto di rabbia, il pallone contro l’arbitro.
Due notizie però risollevano il morale: l’acquisto dell’oriundo e la concessione del nulla osta ad Hidegkuti da parte del Comitato per lo Sport Ungherese. Il campionato sembra cominciare sotto una buona stella!
Successi in casa, batoste fuori.
Tocca al Lecco, la matricola nerazzurra, ad inaugurare il campionato allo stadio comunale. La vittoria conseguita dai viola è sostanziosa nel punteggio ma deludente sul piano di gioco, considerata anche la pochezza dell’avversario. Quel 4 a 0 non illude nessuno: a ben altri spettacoli il pubblico fiorentino si era abituato! E a Genova, contro la Sampdoria, lo scetticismo dimostrato di fronte alla prima vittoria interna trova la sua piena conferma. Il crollo dei viola è pauroso: una squadra smarrita, slegata, inesistente sul piano atletico, tecnico, tattico. Negative del tutto le prove di Da Costa, di Micheli, di Marchesi; sfasati Montuori e Hamrin.
Neppure il 4 a 0 ottenuto contro il Bari fa intravedere un barlume di speranza. La delusione è profonda e generale: solo il messia d’oltre Oceano può render fiducia e speranza.
L’arrivo di Antoninho…
Puntuale questo messia scende dal treno alla stazione di S. Maria Nuova il 10 di ottobre. La stampa, nascondendo però tra le righe una sottile ironia, lo presenta come un fenomeno, come un goleador senza pari. A conferma di questo si cita un record di 6 gol messi a segno in una partita disputata contro il Guarany di Campinas.
Nessuna meraviglia quindi se tre giorni dopo, alla prima uscita del decantato fuoriclasse contro l’Empoli, chiamato ad allenare la squadra viola, circa 10.000 persone affluiscono sugli spalti del comunale. L’atteso messia si rivela di una nullità sconcertante. Critiche feroci vengono rivolte all’operato dei dirigenti. Czeizler cerca di attutirle sostenendo che il brasiliano ha molto bisogno di lavorare e di ambientarsi, ma che delle doti ne ha. Una maniera come un’altra per dire che di lui si poteva anche fare a meno.
Con gli effettivi a disposizione, dopo un mediocre pareggio conseguito a Padova, Czeizler porta la squadra ad una scintillante vittoria sulla Juventus. Di colpo rinasce l’entusiasmo, e dal crucifige si passa immediatamente all’osanna. Si crede di aver ritrovato d’incanto la grande squadra. Ma c’è ancora chi ha la testa sulle spalle. «Un po’ di cautela non guasta – scrive Goggioli – nemmeno in mezzo alla più legittima soddisfazione: magari per non sottoporre la squadra, che continua ad aver bisogno di sereno sostegno, ad una estenuante doccia scozzese di «evviva» e di «abbasso».

… e quello di Hidegkuti.
Nel frattempo arriva a Firenze Nandor Hidegkuti, che insieme a Czeizler, parte con la squadra per la doppia trasferta nel sud. Immediatamente sembra che la squadra cominci a parlare un nuovo linguaggio. Al Cibali le sfugge per un nonnulla la vittoria ma dimostra di aver ritrovato un gioco ed un volto; a Napoli, la sospensione dell’incontro per impraticabilità di campo la trova ancora sullo 0 a 0; ritornata al Comunale, con un nuovo 4 a 0 batte la Lazio di Fulvio Bernardini; a Torino, sebbene ridotta in nove per la espulsione di Montuori in seguito ad un diverbio con Ferrini e per uno strappo subito da Micheli, riesce a rimanere imbattuta contro i granata, dando prova di carattere e di volontà; di nuovo al Comunale, piega l’Udinese più che nettamente nonostante la mancanza dello squalificato Montuori, sostituito da Petris nel ruolo di mezzala col conseguente debutto all’ala sinistra di Benetti.
All’improvviso, il caos. Quattro sconfitte consecutive nell’arco di 22 giorni: a Ferrara contro la Spal, a Napoli nella partita di ricupero, a Firenze contro il Vicenza il giorno di Natale, a S. Siro contro il Milan il primo dell’anno! Tutte senza attenuante alcuna.
A S. Siro debuttava Antoninho. Occasione peggiore per il debutto i dirigenti viola non potevano sceglierla; si risolveva infatti in un boomerang senza uguali. Due anni prima la Fiorentina aveva rinunciato all’acquisto di Altafini perché il consiglio non era stato concorde nella decisione. A S. Siro si metteva di fronte l’asso scartato e la nullità ingaggiata. Non era tanto l’amarezza del risultato a intingere la penna di Goggioli nell’inchiostro della più feroce polemica, quanto il confronto fra i due. «L’immagine di un Antoninho esordiente che spalanca gli occhi in una fanciullesca meraviglia di fronte allo spettacolo per lui assolutamente inconsueto della neve è troppo distante dall’immagine del trionfatore Altafini, in maglia rosso nera anziché viola perché a suo tempo l’acquisto di «Mazzola» suscitò qualche dissenso in seno al consiglio della Fiorentina, perché oggi non si ridiscuta tutto della società, della squadra, dei dirigenti, dei tecnici». Le parole di Goggioli facevano prendere cappello a Befani, che nell’assemblea dei soci sosteneva la validità di quanto aveva fatto fino allora nelle campagne acquisti e vendite, dicendosi disposto a ripeterlo se avesse dovuto effettuare le scelte che gli si erano presentate. Era questa la dimostrazione più chiara che l’attuale consiglio della società era giunto agli estremi. Quando si arriva alla politica dello struzzo, che per non vedere caccia la testa sottoterra, la fine è vicina!

Lo Bello ” Il mattatore”.
Ad attutire le polemiche societarie capitava a proposito… Lo Bello. Molti sono stati gli arbitri che sono passati alla storia arbitrando al Comunale di Firenze: Caironi, Galeati, Campanati, Bertoglio, ecc. …; questa volta toccava a Lo Bello. Entrato nell’Olimpo degli arbitri di serie A proprio al Comunale di Firenze arbitrando Fiorentina-Lazio del 27 maggio 1956, la partita cioè che consacrava il trionfo della squadra viola nel campionato 55-56 in una fantasmagorica coreografia di variopinti costumi cinquecenteschi, di luccicanti armature, rullare di tamburi e suoni argentini di chiarine, ancora al Comunale l’arbitro siciliano entrava di prepotenza nel Walhalla degli intrepidi eroi della domenica.
Era di turno a Firenze l’Inter di Helenio Herrera, al primo anno della sua carriera in Italia. La Fiorentina era andata in vantaggio all’8′ della ripresa con un gol di Da Costa. Un’Inter fiacca, senza carica alcuna, sembrava ormai rassegnata alla sconfitta.

«Quand’ecco di colpo, al 28′, entrare in scena col cipiglio del mattatore, un omino di tutti i giorni che una volta la settimana sogna di essere ora Gengis-Khan, ora Napoleone, ora Federigo il Grande. Dà una rimescolatina alle carte e, hop là, il gioco è fatto» (la prosa, inconfondibile, è di Beppe Pegolotti). Su un calcio d’angolo battuto da Bicicli, Petris tratteneva per la maglia Bolchi. Un fallo che spesso si vede e che gli arbitri di solito lasciano correre. Lo Bello invece, indice teso, si avvia sul dischetto del rigore. Parapiglia, discussioni. Rincorsa di Lindskog: gol! L’inter ha pareggiato. Il rospo però è rimasto in gola a Petris. Quattro minuti dopo lo stesso Petris, dopo che la difesa viola aveva già stroncato un’azione interista respingendo al centro campo, abbraccia Angelillo e chiamando l’arbitro gli grida: «Fischi un altro rigore!». Immediata la risposta di Lo Bello: «Lo accontento subito; lei esca dal campo e io faccio battere il calcio di rigore». Succedeva il finimondo. Befani si precipitava In campo intenzionato a ritirare la … squadra dal terreno di gioco e veniva a diverbio con l’arbitro, il quale senza tanti complimenti gl’imponeva di lasciare il terreno di gioco seduta stante. Pubblico imbestialito e reti che fortunatamente sostengono l’urto della folla. Lindskog, incaricato del tiro, a bella posta o per errore — difficile saperlo – lo calciava fuori. La partita poteva così finire regolarmente. Solo dopo un lungo assedio l’arbitro poteva lasciare lo stadio, e sotto buona scorta essere accompagnato a prendere il treno alla stazione di S. Giovanni Valdarno.

Evitata per un soffio la squalifica del campo, anche la partita successiva col Bologna aveva luogo al Comunale. La squadra viola ne usciva vittoriosa e si apprestava a disputare le due trasferte consecutive di Bergamo e di Roma. La pesante sconfitta di Bergamo decideva Czeizler a lasciare tutto nelle mani di Hidegkuti, al quale la società affiancava, come allenatore in seconda, Beppe Chiappella. Unico responsabile, l’ungherese impostava immediatamente la squadra secondo i suoi criteri, ed a Roma, contro la Roma, presentava una formazione disposta con Orzan nel ruolo di libero e Malatrasi in quello di stopper. Difesa contratta e contropiede, con Da Costa in posizione intermedia tra difesa e punte col compito di lanciare ora Hamrin ora Petris ora Milan.
Immediatamente se ne vedono i risultati. Alla vittoria conseguita all’Olimpico fa subito seguito quella conquistata sul terreno del Lecco, su un campo che resisteva da ben 30 partite e sul quale squadre come Milan, Juventus e Roma a mala pena erano riuscite a restare imbattute. La partita con la Roma doveva essere purtroppo l’ultima giocata da Montuori in maglia viola. Infortunatosi a un ginocchio, starà fermo tre mesi. Quando riprenderà, una pallonata in faccia stroncherà per sempre la sua carriera.
Se facile riusciva il gioco in contropiede nelle partite esterne, non altrettanto valida si dimostrava la nuova impostazione nelle partite interne. A fatica veniva superata la Sampdoria; e dopo il pareggio conseguito a Bari, con Gonfiantini debuttante al posto di Orzan ed Albertosi in porta, anche la vittoria interna sul Padova lasciava l’amaro in bocca.
Sconfitta nettamente a Torino dalla Juventus, la Fiorentina ripresentava Antoninho contro il Catania al Comunale: la prima partita interna giocata dal brasiliano. Nonostante la vittoria, Antoninho dimostrava senza possibilità di appello tutta la sua mediocrità, che sconfinava poi nella nullità assoluta nella susseguente partita interna col Napoli, terminata sullo 0-0 al Comunale. Durante la settimana tra la partita col Napoli e quella con la Lazio si disputava al Comunale la prima partita di semifinale della Coppa delle Coppe tra Fiorentina e Dinamo di Zagabria, La Fiorentina partecipava a questa competizione perché la Juventus, vincitrice sia del Campionato che della Coppa Italia, aveva optato per la Coppa dei Campioni. Nel quadro di questa competizione la Fiorentina aveva superato brillantemente i quarti di finale eliminando la squadra svizzera del Lucerna con un 3 a 0 a Lucerna e un 6 a 2 a Firenze. Stessa sorte tocca alla Dinamo rimandata in quel di Zagabria con tre reti nel sacco, messe a segno da Antoninho (!) Da Costa e Lazzotti. Antoninho si ripete contro la Lazio all’Olimpico segnando il gol viola e sferrando il tiro sul quale Pagni interviene malamente e procura l’autorete che segna la sconfitta dei biancocelesti. Sarà l’unico gol segnato in campionato da colui che al pubblico fiorentino si era tentato gabellare, in occasione dell’acquisto, come un goleador senza rivali!
Pugni e schiaffi tra i soci viola presenti in tribuna durante la partita col Torino (0 a 0) e strascichi di querele a non finire. La fine del consiglio Befani è ormai segnata.
Dopo il pareggio conseguito a Udine, la Fiorentina si recava a Zagabria per il retour match con la Dinamo, Vi soccombe per 2 a 1, ma conquista il diritto a disputare la finale per il miglior quoziente reti ottenuto nelle due partite,
Debâcle desolante contro la Spal al Comunale. «Bisogna ricominciare tutto da capo – scriveva Goggioli dopo questa partita. Ma con modestia, consapevoli della responsabilità di una completa crisi e, soprattutto, rinunciando una volta per sempre alla bacchetta dei maghi o, meglio, alla cipigliosa e inutile sicumera dei dittatori, destinati alla sconfitta, che non sarebbe nulla se non colpisse anche chi dei dittatori è stato o ha dovuto essere involontariamente la vittima. Nel caso in esame, la squadra della Fiorentina la squadra di Firenze, vogliamo dire, non di questo o di quello pur meritevole o mago che sia».
Addio Miguel!
Dopo la partita con la Spal, Hidegkuti, volendo collaudare definitivamente il ginocchio di Montuori, ormai ristabilito, schierava il giocatore nella partita infrasettimanale del torneo cadetti contro il Perugia. Al 6′ della ripresa colpito in pieno viso da una pallonata violentissima Miguel cadeva esanime a terra. Rialzatosi dopo alcuni secondi usciva dal campo barcollante, in stato di quasi incoscienza. Ripresosi negli spogliatoi, sembrava che tutto dovesse finir lì. Purtroppo invece la lesione interna di alcuni nervi troncava per sempre la carriera di questo generoso e cavalleresco giocatore, facendo temere addirittura per la sua stessa vita. Con lui spariva dalla scena del calcio italiano il più italiano degli oriundi, il giocatore più leale, più applaudito negli stadi d’Italia. Un giocatore che in maniera somma ha onorato la sua professione e il cui ricordo ancora oggi vive nella memoria di tutti gli italiani. Questo succedeva il 19 aprile. Dieci giorni dopo spariva dalla scena anche Befani e il suo consiglio. Bocciato nella votazione chiesta per l’inserimento nello statuto di un nuovo articolo voluto dalla Lega a salvaguardia dei bilanci delle Società calcistiche già paurosamente deficitari, Befani, insieme a tutto il suo consiglio, dopo dieci anni, passava la mano. Con la scomparsa di Montuori e di Befani si concludeva il periodo d’oro della storia della società viola. A loro è legata la conquista del primo scudetto. Protagonista l’uno e artefice l’altro di gloriosi momenti della squadra, scomparivano dalla scena lasciando l’uno il rimpianto che merita la generosità, l’altro il rispetto che merita la sagacia.
La squadra continuava il suo campionato dimostrando ancora qualche impennata d’orgoglio con la vittoria sul Milan e i pareggi esterni con Inter e Bologna. Tutto terminava però nel più desolante squallore con le ultime due sconfitte interne ad opera dell’Atalanta e della Roma.
Settima in classifica, preceduta da Juventus, Milan, Inter, Sampdoria, Roma, Padova, la Fiorentina scompariva dai quartieri alti della classifica e dei valori nazionali. Un ciclo glorioso si era definitivamente concluso!
Continua nel prossimo numero…
Le foto sono tratte dall’Archivio Polidori