di LORENZO MAGINI – 37° puntata
tratto dall’originale stampato nel n° 1 Anno V di Alé Fiorentina del Settembre 1969
(Nell’edizione originale la puntata è stata pubblicata con il numero 36)
ANCORA SECONDI
Arrivano Loiacono e Robotti
Terminato il campionato, alla fine di giugno la Fiorentina partiva per una tournée nell’Europa Orientale. Tre erano gli incontri da disputare: contro il Levski di Bucarest e contro la Squadra dell’Esercito e la Dynamo di Mosca.
A questa tournée non prendevano parte né Rosetta, ancora sofferente per il lungo infortunio subito a metà campionato, né Julinho, già partito per il Brasile, né Virgili, infortunatosi seriamente nell’ultimo allenamento prima della tournée.
La Fiorentina vinceva a Bucarest battendo il Levski per 1 a 0, e successivamente, in Russia, otteneva un pareggio contro la Dynamo (1-1) e perdeva nettamente, in condizioni di evidente inferiorità – priva com’era di Montuori influenzato e con Gratton e Segato febbricitanti, – contro lo Spartak (4-1) che, all’ultimo momento, i dirigenti sovietici avevano imposto alla squadra viola, in sostituzione della Squadra dell’Esercito, in quel momento nettamente deludente in campionato. Nel frattempo i dirigenti viola procedevano al riscatto dal Vicenza di Loiacono e all’acquisto dalla Juventus del terzino Robotti per una cifra aggirantesi sui cinquanta milioni.

Sul primo specialmente si appuntavano le speranze di tutti per la riconquista di quello scudetto che dalle maglie viola era passato su quelle rossonere del Milan.
Torna o non torna?
L’euforia del nuovo acquisto veniva però seriamente turbata dalle notizie che di giorno in giorno rimbalzavano sulla stampa dal Brasile. Da S. Paolo infatti Julinho faceva sapere che non sarebbe tornato in Italia. Come pretesto, inizialmente adduceva lo stato di salute della madre; in seguito dichiarava invece che il suo rifiuto era dovuto a una divergenza coi dirigenti viola circa il rinnovo del contratto: al contratto sottopostogli da Befani – 50 milioni per due anni – Julinho ne contrapponeva uno con validità di un anno e un ingaggio di 20 milioni. Telefonate a getto continuo s’intrecciavano fra S. Paulo e lo Stadio Comunale. Quando infine tutto sembrava accomodato, Julinho ancora una volta faceva marcia indietro trincerandosi questa volta dietro il paravento di non meglio identificabili ragioni famigliari.
In questo tira e molla se n’era andato tutto il mese di luglio. Ai primi di agosto la squadra si trasferiva a Camaldoli per la preparazione al campionato senza che la questione Julinho fosse stata risolta. I tifosi erano sulle spine.
Bernardini in Brasile
A questo punto Befani decideva di prendere il toro per le corna e decideva l’invio di Bernardini a S. Paolo. Anche perché, proprio in quei giorni, la Juventus, già al completo con la quota stranieri per l’ingaggio di Charles e Sivori, sembrava intenzionata a cedere l’ala destra Hamrin, lo svedese da lei acquistato fin dal gennaio scorso. Bernardini tornava dal Brasile senza Julinho; dichiarava alla stampa che il rifiuto del brasiliano a tornare a Firenze era dovuto a cause squisitamente e gelosamente familiari e lo dava come addirittura definitivo. Non tutti credettero a Bernardini. Il fatto che Befani, dopo il ritorno dell’allenatore, lasciasse cadere con una certa noncuranza l’acquisto di Hamrin e si dimostrasse tanto tranquillo, aveva fatto sorgere in molti il sospetto che tutto, in un prossimo futuro, si sarebbe accomodato.
L’addio di Rosetta
Nella quiete di Camaldoli intanto, la Fiorentina, affidata a Ferrero, che Bernardini aveva voluto vicino a sé come allenatore in seconda e preparatore atletico, iniziava la sua preparazione. Mancavano fra gli atleti viola Virgili e Rosetta. Se la mancanza del primo era soltanto dovuta alle circostanze, quella di Rosetta era pur troppo definitiva. Dopo nove anni di permanenza nelle file viola, Rosetta lasciava definitivamente la Fiorentina. Befani, in riconoscimento di quanto l’atleta aveva dato per l’affermazione dei colori viola, della sua serietà e correttezza esemplare, gli aveva concesso la lista gratuita. L’anziano centromediano che in maglia viola aveva ottenuto le sue più grandi soddisfazioni, passava a difendere i colori del Verona assurto quell’anno alla serie A.
I primi incontri precampionato si risolvevano per la squadra viola in altrettanti rovesci. Nella partita col Milan a S. Siro la squadra veniva travolta per 4 a 0; per 4 a 1 in quella disputata al Comunale contro lo Spartak di Mosca, sceso a Firenze a restituire la visita fatta in terra sovietica dalla squadra viola.

Per il campionato, che si sarebbe iniziato la domenica dopo, questi risultati erano un vero campanello d’allarme. Otto gol in due partite! Da più parti si cominciava a rimpiangere Rosetta.
A complicare le cose, oltre all’impossibilità di poter schierare Virgili, al quale solo da pochi giorni era stato tolto il gesso, nella settimana antecedente all’inizio del campionato s’infortunava Prini e prendeva l’asiatica Orzan.
Ad Alessandria Bernardini era dunque costretto a schierare al centro della mediana il giovane Biagi e a schierare alle due ali Bizzarri e Taccola; formava il trio centrale d’attacco con Gratton Loiacono e Montuori e a terzino, al posto di Magnini apparso notevolmente in ritardo di preparazione nelle partite precampionato, schierava Robotti.
Ma proprio al suo esordio in campionato Robotti s’infortunava seriamente in uno scontro con l’ala alessandrina Vitali, e doveva essere ricoverato d’urgenza all’ospedale ove gli venivano applicati nove punti di sutura al cuoio capelluto. Ridotta in dieci, la Fiorentina veniva sconfitta per 1 a 0 in una partita «giocata – come scriveva Pegolotti – fra ciechi che fanno alle legnate».
Per la partita con la Sampdoria, Magnini riprendeva il suo posto, e Orzan, ormai guarito, tornava al centro della mediana. Nell’intento di presidiare ancor di più la difesa, Bernardini spostava Gratton all’ala sinistra, inserendo fra Loiacono e Montuori Taccola. Accorgimenti inutili: a mala pena si raggiungeva il pareggio con una stangata di Cervato su punizione. A Bologna invece, come per incanto, contro una squadra che nelle prime due partite sembrava esser diventata, con l’innesto dell’iugoslavo Vukas e dell’argentino Maschio, una macchina da gol (5!), la Fiorentina ritrovava l’estro delle grandi giornate battendo nettamente i rossoblu. Un risultato inaspettato e incredibile ma ineccepibile.
Torna Julinho
La vittoria di Bologna aveva riaperto il cuore alle speranze. A consolidarle giungeva improvvisa la notizia che Julinho sarebbe tornato in settimana a Firenze. Com’era stato possibile? Semplice. Gli affari famigliari del brasiliano erano stati sistemati da Befani… a Firenze.
Il 25 settembre oltre cinquemila tifosi impazziti accoglievano Julinho alla stazione di S. Maria Novella e la domenica successiva gli sportivi fiorentini lo rivedevano immediatamente in campo contro l’Udinese.
Con l’innesto di Julinho, mentre il pubblico aveva riacquistato la certezza di poter lottare con successo contro la Juventus, anche la squadra sembrava aver ritrovato lo smalto necessario per riagguantare la squadra bianconera che, forte dei suoi Sivori e Charles, veleggiava imbattuta in testa alla classifica avendo già messo a segno 8 gol in 4 partite!
Senonché la solita fatal Vicenza veniva a gettare sugli entusiasmi rinati una doccia gelida. Secca la sconfitta subita al Menti, deludente la prestazione. Se attenuanti potevano esserci per il risultato – assenza di Sarti, due pali colpiti, una leggera contusione riportata da Julinho – nessuno poteva essercene per il gioco messo in vetrina, sconclusionato e farraginoso. Una rimonta della squadra sembrava sempre più problematica.
Invece, la vittoria conseguita a Genova contro i derelitti grifoni, naviganti in coda alla classifica con un solo punto e ben 15 gol subiti in cinque partite, dava inizio ad una serie di otto partite senza sconfitta: vittoriose le partite con Roma, Napoli, Torino, Verona (a Verona) e Juventus; conclusesi con un pareggio quelle con Lazio e Spal (a Roma e a Ferrara) e quella con l’Inter (a Firenze).
Fra queste da segnalare quelle con la Roma e col Napoli per due fatti singolari e quella con la Juventus per il crollo avvenuto allo Stadio Comunale.

Lo stoicismo di Magnini e il pianto di Miguel.
La partita con la Roma metteva in viva luce le doti di irriducibile lottatore di Magnini; quella col Napoli la personalità ultrasensibile di Montuori.
Contro la Roma Magnini, strappatosi all’inizio della ripresa e schierato all’ala zoppicante, diventava l’artefice della vittoria viola siglando il primo gol con un colpo di testa in tuffo a corpo morto su una difettosa respinta di Panetti e mettendo poi sul piede di Montuori il pallone del secondo. Nel trionfo della smagliante vittoria sul Napoli s’inseriva invece il desolato pianto di Montuori. Questi, a fine partita, veniva fatto oggetto da parte del pubblico di ripetuti fischi perché ritenuto reo di non aver voluto infierire sulla squadra partenopea sbagliando a bella posta due facili occasioni da gol. Miguel amareggiato e sconvolto abbandonava il terreno di gioco piangendo a dirotto.

Il crollo dello Stadio…
Proprio nel giorno della vittoria più tenacemente inseguita e caparbiamente voluta, vittoria che rimetteva in corsa i viola per lo scudetto — con questa venivano a trovarsi ad un solo punto dalla capolista Juventus – si verificava allo stadio un gravissimo incidente. Al 20′ del secondo tempo una quindicina di metri della balaustra della maratona cedeva di schianto sotto il peso della folla, e una gran massa di spettatori volava nello spazio antistante la rete di recinzione del campo. Cento feriti, di cui tre gravi, e strascichi giudiziari a non finire — protrattisi fino al 1967 – erano le conseguenze di questo pauroso crollo.
… e quello della squadra.
Quando tutto lasciava prevedere una lotta serrata con la Juventus, la squadra subiva invece una serie di disavventure, declinando paurosamente nel rendimento e nei risultati.
Ritrovato Virgili, che già nella partita amichevole disputata col Levski il primo di dicembre (1 a 1) era tornato a schierarsi con i compagni e che in campionato aveva debuttato a Ferrara, la Fiorentina subiva la perdita di Cervato per una distorsione al ginocchio, che il giocatore si procurava nell’incontro internazionale col Portogallo, disputato nel dicembre a San Siro prima di Natale.

La domenica successiva a questo incontro, sullo stesso terreno di S. Siro, perdeva e – per obbiettività – anche in maniera piuttosto antipatica (si rifiutava infatti di continuare la partita prendendo a pretesto la nebbia, soltanto dopo però che Magnini aveva fallito il calcio di rigore che poteva, se realizzato, ricondurre l’incontro su un binario di parità). In seguito, non andava oltre il pareggio con l’Atalanta, ultima in classifica, al Comunale, e cedeva nettamente a Padova contro la squadra di Rocco, rivelazione dell’anno, pur essendo andata in vantaggio per prima col solito Virgili, che dopo il suo rientro in squadra, in cinque partite aveva messo a segno già quattro gol.

Critiche a Bernardini e anticipata assunzione di Czeizler.
Le critiche a Bernardini, in precedenza solo larvatamente espresse, più frequenti e circostanziate cominciarono ad apparire sulla stampa. Si rimproverava al tecnico Il gioco troppo aperto, quasi scriteriato, della squadra, determinate preferenze verso alcuni giocatori considerati inamovibili nonostante le prestazioni opache ripetutamente fornite, mancanza di polso ed eccessiva signorilità.

Si veniva così a creare un notevole stato di disagio fra il tecnico e i dirigenti. A questo punto Bernardini, toccato specialmente dalle critiche riguardanti il gioco, dopo aver pareggiato in casa con l’Alessandria e perso nettamente a Genova con la Sampdoria, nonostante la vittoria interna col Bologna, nella trasferta di Udine schierava la squadra secondo i più rigidi principi del catenaccio, passando così da un estremo ad un altro.

Il fatto suscitò scalpore. A questo punto Befani, dopo un colloquio con lo stesso Bernardini, rendeva noto alla stampa che il tecnico viola avrebbe lasciato la Fiorentina a fine campionato, e che nel prossimo la squadra sarebbe stata affidata a Czeizler.
Il campionato procedeva comunque per la squadra viola senza infamia e senza lode fino alle ultime giornate. Vittorie interne si alternavano con regolari sconfitte esterne, talvolta alternate con qualche striminzito pareggio tra i quali s’inseriva l’isolata vittoria esterna sull’Inter: l’ultima delle quattro vittorie ottenute in trasferta in questo campionato.
Si ravvivava invece nel finale quando, sconfitto il Napoli (secondo in classifica) a Udine (7 a 0!) nella terz’ultima giornata, la Fiorentina s’affiancava al Padova al secondo posto. Questa, pur distanziando i viola nella penultima giornata (vittoria dei patavini sul Bologna, pareggio dei viola a Bergamo), si vedeva bruciata sul filo del traguardo proprio nello scontro diretto fra le due squadre nell’ultima giornata.
Sei reti finivano nella rete di Pin in un susseguirsi entusiasmante e pirotecnico di azioni che rendeva ancor più amara la bocca ai quarantamila fiorentini accorsi sugli spalti del Comunale a dare l’addio a Bernardini e Julinho, e curiosi di vedere all’opera colui che nel campionato successivo avrebbe preso il posto del grande Julio: Kurt Hamrin.
Sotto la guida di Bernardini e la regia di Julio Botelho la Fiorentina aveva raggiunto i suoi traguardi più luminosi: uno scudetto, una finale della Coppa dei Campioni, due secondi posti. Di prepotenza e definitivamente aveva lasciato il ruolo di provinciale per inserirsi tra le big del calcio italiano.
Con Julinho la squadra viola aveva rinverdito la tradizione delle grandi ali. Inimitabile e imprendibile, padrone come nessuno nel controllo della palla, sagace distributore delle proprie forze quanto lucidissimo coordinatore di gioco: senza dubbio il più grande dei giocatori brasiliani visti in Italia. Con Bernardini la squadra aveva invece trovato un gioco che dava una svolta alle concezioni tattiche allora imperanti. Quel gioco, che imitato dai brasiliani nella coppa Rimet del ’58 in Svezia avrebbe permesso loro di conquistarla con una certa facilità.
Terminava così, col loro addio, il più fulgido periodo della squadra viola. Diversi anni sarebbero occorsi prima che si ripetesse.