Ricordando Giulio

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Afflitto da un presente avaro di illusioni e da un incombente futuro gravido di incertezze, una squadra da ricostruire non solo nella sua fisionomia tecnica ma anche nello spirito dopo la terza finale persa in dodici mesi, un nuovo giovane allenatore con soli due campionati di serie A alle spalle oltre tutto in provincia, una dirigenza la cui capacità è tutt’ora da testare orfana com’è di una personalità accentratrice come è stata quella di Joe Barone, le sempre ricorrenti voci di cessione della società, ed ancora i lavori di ristrutturazione dello stadio, iniziati se pur senza un’adeguata copertura finanziaria e chissà come e quando finiti ma che di sicuro peseranno tanto sul piano economico che su quello sportivo, per non parlare della diatriba sempre sull’affare stadio tra Fiorentina e l’Amministrazione Comunale destinata ad avvelenare il clima intorno alla squadra, al tifoso viola, soprattutto se come noi di ultrasessantennale militanza, succede di lasciarsi andare alla rimembranza per cercare conforto in un passato che può consegnarci vivaddio degli anni di vera e propria gloria come quelli della Fiorentina del ‘56 tenendo viva la fiamma della speranza di tornare un giorno grandi come uno dei cori più cantati dalla curva Fiesole con granitica fede dà per scontato.

Icona massima di quella ineguagliata Fiorentina e di quella straordinaria stagione è senz’alcun dubbio Julio Bothelo in arte (è proprio il caso di dirlo) Julinho, “Giulio” per i fiorentini, di cui tra l’altro in questo mese di luglio ricorre il novantacinquesimo anniversario della nascita (29 luglio 1929).

Arrivato nell’estate del 1955 dal Portoguesa di San Paolo, voluto fortemente da Bernardini che lo aveva apprezzato ai mondiali del 1954 in Svizzera nei quali si era affermato come miglior ala destra del torneo nonostante l’eliminazione della verdeoro ai quarti ad opera della grande Ungheria di quegli anni, insieme all’allora sconosciuto Montuori consentì quel salto tecnico soprattutto del reparto offensivo, già perfettamente strutturata infatti la difesa e la linea mediana con il paziente lavoro di costruzione fatto dalla società negli anni precedenti, che portò nello stesso campionato 1955-56 al trionfale primo scudetto nel quale “Giulio” fu protagonista indiscusso con una serie di prestazioni straordinarie.

Lo stesso Bernardini successivamente di lui ebbe a dire: “un’ala può arrivare a Julinho, non oltre”.

Rocambolesco il suo tesseramento come oriundo per il quale fu dichiarata una genealogia che lo faceva discendere da certo Bottelli, lucchese, che poi a cose fatte si scoprì essere un prete con conseguente procedimento a carico della Fiorentina per alterazione di stato civile.

Longilineo, baffetti alla Errol Flynn, sguardo intenso inclinato alla malinconia, comportamenti irreprensibili tanto in campo che fuori, secondo una corrente di pensiero che tutt’oggi conta tanti seguaci, è stato il più forte giocatore ad aver indossato la maglia viola.

Classe cristallina e tecnica eccelsa, ottima tenuta della fascia destra del campo anche per le naturali doti atletiche, superiore senso tattico – sono passate alla storia le sue finte e controfinte – contende al carioca Garrincha il primato di questa specialità, così come i suoi precisi e radenti traversoni a filo d’erba che al tempo fecero la fortuna di Pecos Bill Virgili per la sua insopprimibile vocazione a rifinire per i compagni e a non concludere individualmente, cosa di cui sarebbe stato capacissimo anche perché dotato di un ottimo tiro.

E qui non si può non ricordare l’aneddoto, in realtà ormai storia, delle due partite col Vicenza nel campionato dello scudetto dove “Giulio” fu affrontato dal terzino Pavinato.

Buon giocatore, tanto che nel ’64 si laureò campione d’Italia col Bologna di Bernardini nel famoso spareggio di Roma con l’Inter di Herrera, nel post partita dell’incontro di andata giocato a Vicenza nel quale “Giulio” non fu brillante, ogni tanto succedeva anche a lui, se ne uscì con i giornalisti con la malaugurata espressione: “Tutto qui Julinho?”.

Mal gliene incolse perché nella partita di ritorno “Giulio”, che non aveva dimenticato l’improvvida uscita del terzino, sottopose il povero Pavinato ad una vera e propria umiliazione ubriacandolo con le sue serpentine, rallentando la sua azione dopo averlo superato per essere ancora affrontato e di nuovo mandarlo a vuoto con le sue finte e controfinte usate a guisa di muleta come il torero nell’arena per matare il toro, nel delirio dello stadio.

Fu l’allenatore del Vicenza Bela Guttmann, sì proprio l’artefice della centenaria maledizione di cui sono ancora vittime i lusitani del Benfica, a chiedere al collega Bernardini di intervenire per far desistere Julinho.

Fiorentina- Vicenza 2-0 – 25/03/1956 – Julinho ubriaca gli avversari

E ci viene in mente una notissima foto che ritrae “Giulio” che sta per attaccare il campo recuperando la linea di corsa dopo la “sterzata” di una finta che ha mandato a vuoto addirittura due difensori, Pavinato disorientato e proteso verso il nulla, l’altro comicamente con le natiche a terra.

Gioca tre campionati nella Fiorentina dal 1955 al 1958, il terzo grazie alle insistenze di Bernardini e Befani perché nell’estate del 1957 “Giulio” sembrava deciso a restarsene definitivamente in Brasile non tanto per “saudade” come si è raccontato ma piuttosto per stare vicino alla famiglia dopo la morte del padre, mettendo a referto complessivamente 98 presenze (89 in campionato) e 23 gol (22 in campionato), oltre ovviamente ad un imprecisato ma sicuramente cospicuo numero di assist.

Siamo venuti al mondo qualche settimana dopo la rapina subita nella finale di Coppa dei Campioni del Santiago Bernabeu del 30 maggio 1957, ancora oggi la più amara delle finali perdute, ma ciò nonostante abbiamo avuto comunque la fortuna di vedere dal vivo il grande Julinho, un flash da un lontano passato ma che è bastato a impressionare per sempre la memoria.

L’occasione è il Città di Firenze del giugno del 1963, torneo quadrangolare in notturna che si tenne per poche edizioni, e non ancora in prima elementare siamo col babbo allo stadio per Botafogo-Palmeiras la prima delle due semifinali; l’altra vedrà impegnata la Fiorentina contro gli jugoslavi del Vojvodina di Novi Sad e saranno i viola a vincere 6 a 2 con tripletta di Hamrin.

Non c’era per noi soltanto l’effetto dello stadio illuminato, del pubblico entusiasta che gremiva ogni settore del Comunale, dei colori delle maglie veri e propri traccianti sul campo delle magiche evoluzioni dei calciatori, perché, sia pur nella limitata e vaga consapevolezza dei bambini, ci attraversava comunque anche allora la percezione di assistere ad un evento eccezionale, a una parata di straordinari campioni: nei biancoverdi del Palmeiras il sempre viola eroe del primo scudetto Julinho, Djalma Santos, Vavà, autore quella sera della doppietta che suggellò il 2-1 a favore del Palmeiras; nei bianconeri del Botafogo Nilton Santos, Mario Zagallo, il mitico Mané Garrincha ed il giovane Amarildo, come Garrincha e gli altri fresco campione del mondo col Brasile di Cile 1962 e prossimo a trasferirsi in Italia al Milan, Amarildo che qualche anno dopo avrebbe scritto un bel capitolo di storia proprio nella Fiorentina.

E vengono i brividi a pensare che in una stessa sera ci sia stato dato di veder giocare insieme giganti come Julinho, Garrincha ed Hamrin, forse le tre più grandi ali destre della storia del calcio, almeno di quello antecedente alla rivoluzione olandese, il calcio dei ruoli come noi li abbiamo imparati, quello dei terzini, dei mediani, delle mezzeali, del centravanti, delle ali destre e delle ali sinistre appunto.

Le cronache ci dicono che in quel 1963 il quadrangolare Città di Firenze fu vinto proprio dal Palmeiras di Julinho che qualche sera dopo si impose sulla Fiorentina per 3 a 1, per i viola gol di Humberto Maschio.

Alla fine del campionato 1957-58 non fu davvero possibile trattenere oltre “Giulio”, ma la società, con una felicissima intuizione, riuscì a sostituirlo con un campione della stessa cifra destinato a lasciare una traccia ancora più profonda, ma questa è un’altra storia.

Tornò a San Paolo, la sua città natale, giocando appunto nel Palmeiras per ben nove altre stagioni, con 266 presenze e 77 gol, conquistando tre campionati paulisti e ritirandosi nel 1967 a 38 anni.

Fu richiamato anche nella Selecao nella quale giocò diverse partite, l’ultima delle quali nel 1965 a 36 anni, ma non partecipò ai mondiali del 1958 in Svezia, i primi vinti dalla verdeoro nei quali rifulse per la prima volta la stella di Pelé, volendo rispettare autoescludendosi la linea del selezionatore Vicente Feola, contrario alla convocazione dei calciatori che giocavano all’estero ma che per lui era pur disposto a fare un’eccezione, a riprova ulteriore della serietà e correttezza dell’uomo.

Scelta la sua che sicuramente anticipò la consacrazione dell’astro nascente Garrincha che in quei mondiali forse non avrebbe avuto lo stesso spazio.

Nonostante la lontananza mantenne sempre vivo il legame, assolutamente ricambiato, con la Fiorentina e la città.

Ce lo ricordiamo infatti in più di una circostanza allo stadio, la sua presenza annunciata dallo speaker, salutare in piedi dalla tribuna il pubblico con una compostezza piena di dignità, ancora circondato dall’identico affetto che i tifosi gli manifestavano per le sue magiche giocate in quell’irripetibile triennio come se il tempo non fosse passato.

Ma il tempo ahinoi passa ed arrivò anche quel sabato 11 gennaio 2003 quando in città si diffuse la notizia della sua morte nella sua San Paolo.

Si seppe che prima di morire “Giulio” aveva dato disposizione affinché sul feretro insieme alle bandiere di Portoguesa e Palmeiras fosse posta anche quella della Fiorentina.

Era la stagione della C2 successiva al fallimento, quella della ricostruzione, della Florentia Viola e della nuova proprietà Della Valle, e la domenica al Franchi si giocava la prima di ritorno con la Sangiovannese.

La dirigenza della Florentia Viola, nel timore che una commemorazione del campione potesse stabilire una continuità tra la nuova società e la società fallita dando un’arma ai creditori per aggredire il nuovo soggetto, con una decisione sicuramente eccessiva e non giustificata che sconcertò non solo i tifosi ma tutta la cittadinanza, per la quale Julinho rappresentava una autentica gloria della storia fiorentina, verità che nessuno avrebbe avuto l’ardire di mettere in dubbio, ritenne di dover ignorare il fatto evitando qualsiasi manifestazione che andasse ad onorare la memoria del campione brasiliano, dalla fascia nera al braccio in segno di lutto al minuto di silenzio.

Peccato, un’omissione imperdonabile della società di allora ed anche delle istituzioni cittadine, una grave mancanza di rispetto che il grande Julinho non meritava.

Ma nulla poté impedire il manifestarsi di tributi estemporanei (si ricorda uno striscione della curva Fiesole con scritto “Ciao 7Bello”) e di una partecipazione spontanea da parte di chi in quel pomeriggio di gennaio si trovava sugli spalti del Franchi che siamo sicuri avranno comunque riempito il cuore del grande “Giulio”, strappandogli un sorriso, stretto, come le sue memorabili serpentine.

Marco Pieri – Viola Club Franco Nannotti

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