Quelle dolci amare finali azzurre

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E’ finita senza gloria l’avventura araba della Fiorentina in Supercoppa.

La squadra ha affrontato il Napoli senza Nico Gonzalez, il suo giocatore più talentuoso e incisivo. Bloccato da un nuovo infortunio, l’argentino è stato infatti costretto a mordere il freno e a rinunciare all’occasione di provare a vincere il suo primo trofeo in maglia viola. Una sorte simile, sebbene decisamente più amara, gli era toccata nel 2022, quando, alla vigilia dei campionati del mondo, alcuni guai muscolari gli impedirono di partire per il Qatar, dove i suoi connazionali riuscirono poi ad alzare al cielo la più ambita delle coppe.

Alla finale tra Francia e Argentina, Nico assistette dalla tribuna gioendo per la sua patria e per i suoi compagni; tuttavia è chiaro che il non aver avuto la possibilità di scendere in campo rappresenti per lui una beffa, un rimpianto che gli resterà per sempre e che lo accomuna a un altro grande – e ancora più forte e amato – numero 10 viola. Stiamo parlando ovviamente di Giancarlo Antognoni e di quell’indimenticabile mundial dell’82, di quella storica finale tra Italia e Germania Ovest che Antonio dovette forzatamente saltare a causa di un piccolo ma stramaledetto infortunio.

Giancarlo, spinto da Bearzot, ci provò fino all’ultimo momento ma, con quel taglio sul collo del piede rimediato in semifinale, era impossibile calzare le scarpette, impossibile combattere la partita della vita.

Sono passati più di quarant’anni anni; eppure quella storia fa ancora male. Tutti gli italiani, specialmente quelli di una certa età, si esaltano quando rivedono le immagini di quella magica serata madrilena, ma chi ha vissuto con passione la Fiorentina di quel tempo non riesce a godersela: vedere gli azzurri correre sudati con la coppa in mano e scorgere tra loro Giancarlo in borghese, con lo sguardo un po’ smarrito e i capelli composti, stringe lo stomaco.

Sarebbe toccato al nostro Antonio, vicecapitano di quella Nazionale, calciare il rigore al posto di Cabrini, e sarebbe stata per lui l’occasione perfetta per rifarsi di quel gol ingiustamente annullatogli pochi giorni prima contro il Brasile, in quella che è considerata la partita azzurra più epica degli ultimi cinquant’anni anni. “Rossi, Rossi, Rossi, Antognoni”, questa è la verità, la poesia che non possiamo recitare…

Ma va bene anche così. Julinho, Hamrin, Passarella, Baggio e Batistuta popolano ancora i nostri sogni, ma se Giancarlo, bello e sfortunato come un eroe dell’Antica Grecia, rappresenta qualcosa di più, è proprio perché ha combattuto ogni avversità. E forse è esattamente per questo motivo che, quel giorno di novembre, quando sembrava che il fato avesse deciso che doveva morire con la maglia viola addosso, gli dèi invidiosi non lo accolsero sull’Olimpo e lo rimandarono sopra l’erba del Comunale.

Storie di tanti anni fa… Di un campionato memorabile, di un sogno scudetto cullato per mesi e soffocato in un caldo pomeriggio di Sardegna, all’ultimo istante, per volere dei poteri forti.

Il centravanti di quella bella Fiorentina era Francesco Graziani. Anche lui partì per la Spagna e anche lui, come Giancarlo, dovette piegarsi sotto i colpi di un destino beffardo che lo costrinse ad abbandonare la finale dopo soltanto sette minuti di gioco, per un infortunio alla spalla.

Erano ben cinque i “fiorentini” di quella di spedizione. Oltre ad Antognoni e Graziani, c’erano il portiere Giovanni Galli, il tornante Daniele Massaro e lo stopper Pietro Vierchowod. Quest’ultimo partì per la Spagna come riserva, ma con la consapevolezza di essere – tra i difensori panchinari – la prima scelta di Bearzot. Sarebbe infatti dovuto toccare a lui avvicendare Collovati durante la gara contro il Brasile, ma un infortunio occorsogli pochi giorni prima spianò la strada all’ottimo Bergomi, che ebbe poi modo di sostituire Antognoni in finale. La sfida contro i tedeschi, come Pietro e Giancarlo, la guardò dalla “tribuna” pure Massaro; eppure anche lui avrebbe potuto disputare quella memorabile partita.

La storia è dimenticata ma, alla vigilia del mondiale, Bearzot stava pensando di affidare proprio a Daniele una maglia da mediano titolare e, in questa veste, lo provò durante una partita di allenamento contro lo Sporting Braga, pochi giorni prima del debutto contro la Polonia. I calciatori azzurri, a parte il motivato Massaro, non vollero però correre rischi e giocarono con il freno a mano tirato; inevitabilmente ne uscì una prestazione scialba che piacque poco alla stampa e ancor di meno allo stesso Daniele, che manifestò pubblicamente il suo disappunto per lo scarso impegno dei compagni. Furono brevi ed educate parole, ma bastarono per segnare la sua avventura spagnola, da quel momento priva di aspettative personali.

Quattro anni più tardi, nel mondiale successivo, pure lo stratosferico libero viola Daniel Alberto Passarella baciò la coppa senza aver sudato. Il Caudillo partì per il Messico con la sua Argentina, ma alcuni problemi fisici non gli consentirono di disputare nessuna partita.

La stessa cosa era successa ad Enrico Albertosi che, nel 1968, dopo l’ennesimo bel campionato tra le file della Fiorentina, e dopo aver giocato da titolare le gare di qualificazione del campionato europeo, dovette, a causa di un infortunio, cedere la maglia numero 1 a Zoff, che disputò al posto suo sia la semifinale contro l’URSS sia la doppia finale contro la Jugoslavia.

Ma la maledizione degli ambasciatori viola in azzurro non si esaurisce qua e ha radici ben più lontane. Il primo a ingoiare il fiele di una finalissima non giocata fu Mario Pizziolo ai mondiali del 1934. Il centromediano della Fiorentina, dopo l’esordio azzurro contro gli USA, fu confermato nell’undici che doveva affrontare la Spagna a Firenze in occasione dei quarti di finale. La sfida fu una battaglia memorabile ma Pizziolo, la cui carriera, al pari di quella di Antognoni fu costellata da pesanti infortuni, non poté combatterla appieno a causa di fallaccio commesso ai suoi danni dopo un quarto d’ora di gioco. Mario fu colpito duramente al ginocchio destro, ma per non lasciare la squadra in dieci (il regolamento non consentiva sostituzioni) strinse i denti e restò in campo sino alla fine dei tempi supplementari. La decisione gli fu fatale; il giorno seguente, mentre le due formazioni tornarono al Berta per ripetere la sfida precedente terminata in parità, Pizziolo venne portato in ospedale.

Il suo mondiale terminò così… Mario saltò sia la semifinale contro l’Austria sia la finale contro la temibile Cecoslovacchia e, dopo il trionfo azzurro, non ebbe nemmeno la legittima soddisfazione di essere invitato a Roma, in occasione della cerimonia organizzata dal governo per celebrare i campioni del mondo. I compagni di squadra e il CT Pozzo, a lui legatissimo, si batterono per fagli avere la medaglia d’oro che spetta agli undici scesi in campo nella finalissima, ma Pizziolo non ottenne nessun riconoscimento.

Soltanto nella primavera del 1986, a distanza di oltre mezzo secolo da quell’infortunio, Pizziolo, sostenuto da una campagna lanciata da La Nazione, scrisse al presidente della FIGC Franco Carraro rivendicando ciò che gli era stato negato. La pratica non viaggiò spedita ma giunse comunque a una felice conclusione. Nel 1988, la federazione guidata da Antonio Matarrese riconobbe infatti le proprie colpe e, per il tramite del presidente della Fiorentina Renzo Righetti, prima di una sfida tra i viola e il Goteborg, consegnò a Mario Pizziolo la sua medaglia d’oro di campione del mondo.

Filippo Luti

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