Le stagioni del nostro amore – parte seconda

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Le stagioni del nostro amore

(parte seconda)

Pubblichiamo la seconda parte dell’articolo Le stagioni del nostro amore: la prima parte è uscita nel numero 37 di Giugno 2025.

 

Guardo Il treno di Lenin, anno 1988, soggetto Damiano Damiani ed Enzo Bettizza, Rai Due canale dicevasi ad egemonia socialista (Presidente e Direttore Generale Rai Tv rispettivamente Enrico Manca e Biagio Agnes), interpreti principali Ben Kingsley, Leslie Caron, Paolo Bonacelli (un eccezionale Zinov’ev), l’icona femminile Dominique Sanda, e mi sorprende la lettura puntuale e positiva in chiave storica della rivoluzione d’ottobre. Il Muro di Berlino sarebbe crollato l’anno dopo.

Oggi impazzano le finzioni che di storico hanno ben poco, melodrammatiche, da non confondere col melodramma che ha imposto la lingua italiana nel mondo, e woke, fatte di santini e di buoni e cattivi che banalizzano la complessità sociale.

La sentenza Bosman (1995) che ha affrancato i calciatori dalla schiavitù delle società per trasformarli in professionisti, come amano autodefinirsi, è stata l’equivalente dell’entrata della Cina nel WTO, World Trade Organization, (2001). Le SpA calcistiche come gli Stati-nazione, pedine interdipendenti dei grandi fondi globali che fanno del mercato dei capitali l’arena del loro grande giuoco: si chiama mercatismo. In barba alle passioni identitarie delle moltitudini il cosiddetto effetto wow punta a prevalere sulla partita, il gesto fissato da TikTok mette all’angolo tramite l’appendice cibernetica dello smartphone la Domenica Sportiva. La postura ironica del grande Adriano Panatta è ormai la difesa ultima vana del portiere di Goal, la poesia di Umberto Saba che imparavamo a scuola.

Siamo dei romantici, restiamo legati alle storie familiari, ai Lari e Penati, al quartiere che ci ha visti crescere, non ci pieghiamo alla logica di Nomadland. Le maglie del Barça e della Roma, che ho visto aggirarsi nei dintorni del Bar Marisa le attribuiamo all’overturismo.

Il Calcio si è fatto cosmopolita, euro-sudamericano lo è sempre stato ma si partiva dalle identità nazionali. Altre aree metropolitane demograficamente vitali si impongono come Napoli, una capitale del Mediterraneo non dimentichiamolo, coi suoi presunti seicentomila alla festa-scudetto, buttando sul piatto della bilancia il maggiore peso politico e sociale.

Firenze, ci ha rassicurato Franco Cardini, è una capitale del mondo. Peggio per Salah, ho scritto, se preferisce l’oro della perfida Albione alle nostre colline salvate dal Piano Detti, nonostante il Palazzo di Giustizia non onori lo skyline. Ho viaggiato dieci anni fa in aereo verso Il Cairo insieme a Salah, non potevo resistere a chiedergli la fotografia di rito, lui campione gentilissimo si è reso disponibile, ancora era viola.

Gianni Bonini e Mohamed Salah

Il Cairo è una megalopoli misericordiosa e compassionevole, un popolo millenario che si porta con grande dignità, una classe dirigente di prim’ordine e l’Università di al-Azhar. Non può tuttavia darti d’acchito quell’istinto naturale del bello alimentato dall’armonia di tanti capolavori in uno spazio così ristretto che la rendono essa stessa un capolavoro. Firenze è un miracolo urbanistico, a cui il Poggi ha regalato un respiro moderno. La Città per antonomasia ebbe a definirla Tadeus Kantor.

Il tifoso viola si nutre di orgoglio storico, e la Fiorentina a partire dal Marchese Ridolfi è la leggenda della squadra che sfida la superstizione del colore viola che dicevano in teatro non portasse bene. Mentre nel teatro calcistico nazionale il dopoguerra ci arricchisce di riconoscimenti e di campioni assoluti, possiamo riempire più formazioni ideali, insieme ad una straordinaria stagione politica.

Da La Pira ad Ettore Bernabei, nume tutelare Amintore Fanfani, la Città sul monte si ritaglia un rinnovato ruolo di prestigio internazionale. Ho annotato che in Rai Tv si parlava fiorentino. Operano Oriana Fallaci e Fioretta Mazzei. Bernard Berenson a ITatti ed Harold Acton a La Pietra. La dialettica a sinistra produce figure istituzionali come Mariotti e Lagorio, Fabiani e Bartolini. L’Università eccelle, Eugenio Garin tra i tanti. La Casa del popolo Buonarroti in piazza dei Ciompi un laboratorio di cultura popolare. Ad Elia Dalla Costa succedono Florit e Giovanni Benelli, è un episcopato importante. La Nuova Pignone un modello di lotte operaie e di quell’economia mista pubblico-privata motore del Boom. Poi arriveranno Gassman in via Santa Maria, Edoardo e Orazio Costa, Ronconi, l’avanguardia dell’arte al Forte Belvedere ed al Pecci. Con Prato diverrà la terzaprovincia industrializzata d’Italia.

Questo rinascimento che attualizza la percezione di sé del tifoso viola non esiste più. Firenze ha perduto smalto come del resto il policentrismo italico che il CENSIS di De Rita vedeva alla sorgente del Made in Italy e che stava alla base delle fortune del calcio di provincia. Della civiltà che la innervava resta intatto il paesaggiomuseo unico al mondo che ne sostiene il brand, il che non è poco, popolato di b&b, il che non è confortante. Il fashion da sogno rischia di trasformarsi in un incubo per i tanti lavoratori dipendenti ed i terzisti. È un fatto, non un invito alla Curva Fiesole a smettere i panni di Farinata degli Uberti

In mancanza di Befani, Longinotti, Baglini, Ugolini, ci metto pure Melloni e Martellini, Pontello, Cecchi Gori, sono arrivati i Della Valle ed alla fine per grazia ricevuta Commisso. Della tanta declamata imprenditoria fiorentina, delle famiglie avite, nemmeno l’ombra della storia

La sinossi origina un’inevitabile ricaduta nella geopolitica del Football e non potrebbe essere diversamente. Daniele Pradè dice una semplice verità quando colloca il nostro ruolo nel mercato di seconda fascia, motivandola col fatto che il monte ingaggi non può superare il 70% dei ricavi.

Per vincere bisogna spendere, è il mantra dei media che tengono in piedi il sistema durante le brevi vacanze del calcio giuocato coperte da un calciomercato invadente e senza pudore. Troppo facile. Ma nessuna squadra è la FED che batte moneta sulla base degli accordi di Bretton Woods che consegnarono agli USA vincitori il governo mondiale del dollaro. Per stare nelle regole e per sforarle bisogna essere potenze societarie, con tanto di stadio, bacino di utenza, clientela e share televisivi all’altezza, almeno su scala europea. Eppure siamo stati a Madrid con Leo Horn, a Glasgow con Pintado, a Monaco di Baviera con Ovrebo.

È la legge del più forte. Procuratevi il libro sulla Grande Fiorentina 1955-1960 di Fabrizio Borghini con le lucide testimonianze in questo senso dei protagonisti. L’abbiamo pagata nell’affaire Cecchi Gori col fallimento, un segno premonitore del XXI secolo che sembriamo non avere colto.

Mi sarei aspettato una capacità critica adeguata da parte dell’opinione pubblica sulla questione decisiva dello stadio, sulla gestione per lo meno confusa da parte di Palazzo Vecchio e non solo. Non vedo striscioni né lenzuolate. Monicelli ne avrebbe fatto un set di Amici miei. A Commisso che era partito con grande entusiasmo e concretezza, non si può attribuire colpa alcuna se inizieremo, speriamo di non finirla, la prossima stagione al Mapei di Reggio Emilia. Con i soldi di Rocco si poteva ridisegnare il Campo di Marte, l’area è diventata un patchwork, letteralmente lavoro con le toppe. Si chiama urbanistica contrattata.

La Fiorentina è una società sana, ben organizzata ed il suo management sa quello che fa. Il Viola Park è stato un salto di qualità. La gru agli Uffizi è stata rimossa dopo quasi 20 anni.

Il Calcio è una partita difficilissima, l’ultima rimasta a gestione popolare, anche se sempre più inevitabilmente finanziarizzata.

Palladino, che non mi ha mai convinto, è stato un errore. I calciatori li sceglie la società che tira fuori i soldi e tratta col mondo scaltro e spietato dei procuratori, all’allenatore il compito di farli rendere al meglio.

Stefano Pioli mi piace. Smarchiamoci dal becerume che ristagna nei social media e piantiamola con la squadra sotto la Curva. Non perdiamo lo stile tagliente ma elegante che è stato il tratto distintivo universalmente riconosciuto della fiorentinità.

I nostri tifosi che fanno i tifosi e non i clienti e che ormai dopo una sconfitta non inseguono più nessuno nel Viale dei Mille, hanno peraltro diritto a sognare. Altra cosa è instaurare un dialogo che sia capace di parlare alla gente. I servizi giornalistici del Belpaese sono lo specchio della Nazionale, un mortorio. Lasciamo perdere le scuole calcio, gli oratori formavano degli uomini con i loro pregi e difetti. Dobbiamo riscoprire la felicità di raccontare. Brera, Ciotti, De Cesari, il nostro Pegolotti, sembrano passati invano. Sandro Picchi è un maestro. No, non è la BBC era il ritornello di Arbore-Boncompagni, si può fare meglio.

All’inizio della prossima stagione, a settembre, uscirà La Bibbia del Calcio Italiano, la prima pubblicazione completa e, insieme, dal vivace taglio giornalistico su quasi un secolo del nostro massimo campionato. Un migliaio di pagine con i resoconti di tutti i tornei che si sono svolti dal 1926 a oggi e tutte le schede dei calciatori che hanno giuocato anche una sola partita in Divisione Nazionale o in serie A. Con Francesco Salvi, il magnifico curatore, la presenteremo in anteprima a Firenze. Sarà l’occasione per sviluppare il tema della bellezza e della valenza civile di quell’enorme mondo che è stato, è e forse sarà il calcio italiano.

Intanto guardatevi questi due filmati relativi alla vittoriosa e storica trasferta di Kiev:

https://www.youtube.com/watch?v=Mpk4ryv55ro

https://www.firenzeviola.it/archivi-polverosi/fiorentina-la-storica-vittoria-contro-la-dinamo-kiev-e-il-ko-nella-coppa-anglo-italiana-446716

Il senso di appartenenza e la Tradizione sono l’anima della Fiorentina, la risorsa che diventa con la fama della Città il traino per rafforzare il bacino di utenza. Non siamo in Qatar. I Viola Club sono importanti, non è solo fidelizzazione. È un sentimento. Dal Nord America all’Alta Valsugana, da Cassino a Marrakech, in Libano, ho trovato persone che nel sentire la c aspirata, la gorgia toscana, si sono aperte in un sorriso smagliante come quello di Zeffirelli quando mi presentai come un tifoso viola prima di tutto.

La sfida della digitalizzazione e dei diritti televisivi si vince esaltando l’originalità del tessuto storico, non è un caso che Commisso sia sbarcato qui nel quadro dell’Opa americana su ben otto, quasi nove, squadre di serie A. Il Museo Fiorentina è un valore aggiunto. Autonomia e sinergia coniugate possono rendere più forte il cosiddetto merchandising. Abbiamo a disposizione un giacimento culturale da cui estrarre ricchezza per reggere l’impatto della politica dei redditi e del Pil reale. L’omologazionedelle infrastrutture e della liturgia (bigliettazione, accoglienza, comunicazione) deprime al contrario l’unicità di Firenze. Masaccio sta al Carmine, Andy Warhol allo Studio 54.

Gli Artemio Franchi non torneranno, personalità forti di un’epoca irripetibile nel guidare la ricostruzione dello sport e degli azzurri. Il modello asiatico del Football, strumento per esercitare influenza geopolitica, crescerà di pari passo con il multipolarismo. È la guerriglia dei misérables per la vittoria in Champions League del PSG. I venti di guerra hanno ripreso a soffiare e l’Italia è attesa da una dura guerra a pezzi, chiamiamola col suo vero nome, nel cuore del Mediterraneo allargato.

Voglio essere ottimista. Ritorneremo a giuocare a Kiev ed allora le stagioni del nostro amore e la nostalgia che le accompagna riposeranno in pace. Forse.

Gianni Bonini – Viola Club Franco Nannotti

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