Righetti: “La storia è fondamentale. Lo stemma…”

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La storia, a Firenze, è sempre di grande attualità. Non soltanto quella della città, ma anche quella della Fiorentina: un passato che l’ha vista più volte protagonista nel calcio, non soltanto italiano, e che spinge i tifosi a sognare di poter presto rivivere una squadra vincente. Per parlare della storia gigliata, in particolare degli anni ’60 e ’70, Alé Fiorentina ha intervistato in esclusiva il rag. Raffaele Righetti, dirigente viola dal 1961 al 2015 e oggi presidente onorario del Museo Fiorentina.

Righetti, lei ha vissuto da dirigente uno dei periodi più belli della Fiorentina: ci racconta qualcosa di quegli anni?
«Mi ero diplomato da poco, ed entrai nella Fiorentina senza saperne niente: non ero un tifoso, anzi ero piuttosto disinteressato al calcio. Cominciai a lavorare nell’amministrazione, come ragioniere. Poi, dopo sei/sette anni, nell’ottobre del 1968 venni promosso in segreteria. Lì ebbi l’occasione di vivere più da vicino la squadra, entrarci in contatto… be’, mi appassionai. Erano anni eccezionali, a Firenze giocavano grandissimi calciatori, fu impossibile per me non legarmi a questi colori. E oggi sono tifosissimo, al punto che sto male quando la Viola non vince».

Raffaele Righetti allo stadio Santiago Bernabeu in occasione della gara amichevole tra Real Madrid e Fiorentina disputata nel 2017

Inutile chiederle quale sia la Fiorentina alla quale è più legato…
«La squadra che ha vinto lo scudetto è nel mio cuore, e lo sarà sempre. Quella grande vittoria ci coinvolse tutti, in un certo senso fu la vittoria di tutto l’ambiente viola. Sono ricordi incredibili!».

Quanto è cambiato il calcio rispetto agli anni del secondo scudetto? E il rapporto tra tifoseria e squadra?
«Il calcio di oggi è tutt’altra cosa rispetto a quello degli anni ’60 e ’70, sono imparagonabili. Allora le squadre erano a conduzione quasi familiare: vi erano organici molto ristretti, non c’erano sponsor, la gestione era molto difficoltosa perché le uniche entrate sulle quali un club poteva contare erano gli incassi allo stadio. La Fiorentina di quegli anni, per far capire la differenza rispetto ad oggi, aveva un consiglio direttivo composto da amici… da fiorentini. Se lo immagina adesso?! Un altro esempio: la rivista che lei dirige, Alé Fiorentina, nasce con l’idea di collegare e riunire i tifosi, e spingerli a riempire lo stadio: una iniziativa molto bella e intelligente, ma oggi sarebbe impensabile immaginare una rivista che ha questo scopo. Pian piano, dunque, le società si sono strutturate, hanno trovato altre fonti di guadagno, si sono concentrate su progetti sempre più grandi ed è cambiato un po’ tutto, seppur gradualmente. Per quanto riguarda il rapporto tra tifo e squadra, invece, non trovo molte differenze: i fiorentini hanno la stessa, immensa passione che avevano ai miei tempi. Sono sempre vicini, presenti. E le assicuro che anche negli anni ’60 e ’70, in assenza di risultati, c’erano polemiche e mugugni. Il tifoso, per fortuna, non è cambiato molto. Così come non è cambiata la sua importanza: senza tifoseria, il calcio morirebbe».

Nella foto, Raffaele Righetti insieme a Giancarlo Antognoni e Sandro Mencucci, amministratore delegato della Fiorentina, nel 2011.                    © Niccolò Cambi / Massimo Sestini

Si parla spesso di futuro, al limite di presente, ma raramente di passato: quanto è importante secondo lei tenere bene a mente la storia?
«Non è importante, è fondamentale! La storia ci dice da dove veniamo, quindi chi siamo e, in buona parte, chi saremo. La Fiorentina di Commisso, ad esempio, considera importante la storia, il passato: la scelta di riprendere il vecchio giglio, quello disegnato dal conte Ridolfi in persona, e modernizzarlo va proprio in questa direzione».

Però ci sono state, come sempre, diverse polemiche sul nuovo stemma…
«Personalmente sono molto favorevole all’iniziativa, anche per una questione di affetto dato che quel giglio lo sento particolarmente vicino. Anche la scelta di inserire la V mi piace: richiama Viola, ma anche Viola Park e… Vittoria, speriamo! [ride, ndr] Mi rendo conto però che quando si cambia c’è sempre qualcuno che non è d’accordo, ma in questo caso credo si siano fatte le cose per bene».

Detto dell’importanza di tenere stretto a noi il passato, le chiedo: come si fa a renderlo appetibile per le nuove generazioni di tifosi?
«Non è banale, infatti. Penso ci voglia molto impegno, idee e iniziative: dobbiamo riuscire a raccontare la storia, raccontarla in un certo modo, fare incontri con i grandi protagonisti del passato… dobbiamo riuscire a far capire ai giovani di oggi che la Fiorentina ha una grande storia alle spalle. Una storia che merita di essere ricordata e omaggiata».

 

Intervista di Giacomo Cialdi

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