Non deve stupire il calcio Saud. Ci fu pure un momento cinese nel calcio. Lo sport rimane, prima di tutto, un modo per registrare i rapporti di forza: dunque, la Nazionale Italiana, già quattro volte campione del mondo, insegue l’Ucraina in un San Siro stranamente semi-vuoto. Situazione Gravina. Nel mentre, forte della sua geografia, l’Arabia Saudita vuol porsi come zona intermedia e costruisce un suo calcio patinato come strumento di intrattenimento e consenso, interno e con proiezione almeno regionale.
Tornando al mondo stravecchio, c’è poco da stupirsi del crescente disinteresse verso il calcio. Al di là delle concentrazioni di Milano (circa 40 mila abbonati) e Roma e alle isole felici come Lecce (Corvino rimane un ottimo ds), il piatto piange: 17mila abbonati per la Fiorentina, 4 mila in meno rispetto all’anno precedente, stessa perdita che registra la Vecchia Signora in dismissione. La stampa sportiva vede “stadi pieni” – encomiabile lo sforzo del Corriere dello Sport che parla di “media da anni ‘80” -, mentre i registi sempre più spesso stringono l’inquadratura per non mostrare l’ampia desolazione.
Forse influiscono l’insistenza sul “calcio malato” e sugli “stadi insicuri”, come nel caso del caro vecchio Franchi. Del Padovani non parla più nessuno. Forse influisce la costante colpevolizzazione dello sport più amato rispetto agli sport “puliti”: in tal senso, si segnala la pubblicità sulla “campionessa” che è passata dal calcio ad altro sport (è la narrazione del “non solo calcio”). Forse non premia abbastanza la diversificazione in favore del calcio femminile, anche vedendo i magri risultati della Nazionale; forse il passaggio al professionismo è stato un po’ affrettato.
Forse influisce la trasformazione del calcio da momento di evasione a momento “politico” attraverso il quale somministrare messaggi “positivi”, “inclusivi” o varie “narrazioni”; si segnala il salottino cinguettante de La Domenica Sportiva – tutti gli sport del mondo e mezz’ora di attesa per un goal – e, infatti, è un bagno di telespettatori. E allora si spegne la televisione, si diserta lo stadio e si disdice l’abbonamento.
Difficile dipenda solo dalla “qualità” del calcio italiano. Dipende più dal livellamento degli stili di gioco che ora sono tutti uguali – e tutti ugualmente brutti – con il “possessismo” sfrenato e inconcludente, a detrimento della specializzazione nei ruoli – tutti devono saper far tutto – e delle scuole calcistiche. Invero, ciò non ha portato un miglioramento estetico né di risultati e nemmeno di pubblico. C’era molto più pubblico perfino quando il calcio era orgogliosamente catenacciaro. E non si venga a dire che la colpa è della presenza in Serie A di squadre di basso valore quando, decenni addietro, ci stazionavano l’Avellino, il Catanzaro, il Como e gli stadi erano certamente molto meno vuoti di oggi. Quanti buoni giocatori sono venuti dalla B o dalla provincia sportiva?
Questo visibile calo va di pari passo al crollo degli abbonati a Sky e Dazn, di pari passo con la fuga di utenti da Netflix e Disney +, tra rincari imposti e servizio scadente: da oltre 3 milioni nel 2018 a circa 1 milione e mezzo attualmente. Paolo Ziliani, sul Fatto Quotidiano e sul suo Twitter, ha condotto una coraggiosa quanto solitaria inchiesta sulla vicenda.
Insomma, se c’è un modello economico, è fallimentare ma sembra che questo non interessi ai piani alti, nella virtualità odierna del denaro senza soldo in cui 1+1 fa 3 o 33. Rimane solo da capire dove siano finiti i tifosi, se siano delusi o scomparsi o altrove. Non sono più allo stadio: questo è certo. Non si sono spostati sulla tv: questo è certo. Non guardano altri “sport puliti”: non c’è mai pienone e senza diretta sui canali pubblici nessuno li seguirebbe. Una parte di loro è magicamente scomparsa: sono volati via e non torneranno più. È come nel film di Ken Loach: una parte del whisky, durante la maturazione, se la prendono sempre gli angeli. Come è giusto che sia!
Gli stadi in Arabia Saudita Capacità Spettatori Media
Lorenzo Somigli