La maglia viola: dal rammendo al merchandising (parte prima)

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Per tutte le partite, dalla prima amichevole estiva ad una decisa partita di coppa, c’è una più o meno lunga attesa che termina solo con l’entrata in campo delle squadre.

Le formazioni sono state annunciate e anche l’inno di Narciso Parigi è stato suonato. Entrano i raccattapalle poi l’arbitro e finalmente loro, i nostri ragazzi. Che fanno emergere dalla penombra del sottopassaggio la maglia più bella che c’è, quella viola. Su quest’ultima molto è stato scritto, con libri interi dedicati all’argomento.

E allora cerchiamo di vederla da un punto di vista particolare, di aggiungere qualcosa a quanto già conosciuto…

Solo per la maglia

Nel cosiddetto “calcio moderno” tutto cambia in modo vertiginoso: i giocatori, l’allenatore, i dirigenti. In qualche (sporadico) caso è cambiato persino lo stadio! Da questo turbinio resta fuori il colore della maglia, che da sempre è ciò nel quale il tifoso si identifica, il colore della sua passione.

E’ vero che per ragioni di marketing ogni anno delle maglie cambiano le rifiniture, foggia del colletto, tipo di numero, materiale e tonalità del colore. Ma quest’ultimo resta lo stesso. La maglia perciò è l’emblema di una fede, e chi la indossa lo deve fare con l’unico obbiettivo di onorarla.

Quando i tifosi vogliono sottolineare che la loro passione, e perciò il loro tifo, va al di là della proprietà, degli allenatori e al limite anche dei calciatori che la indossano, ricorrono al- l’espressione “Solo per la maglia per sottolineare l’attaccamento alla stessa, che essi hanno e che essi pretendono. Già l’attaccamento per la maglia…. Si può dire che nel tempo il valore dell’oggetto è diminuito e in parallelo è diminuito il legame che il calciatore aveva con essa. Per valore dell’oggetto non si intende quello economico, che anzi le maglie ufficiali hanno prezzi alti, si vuol sottolineare una sorta di inflazione che ha svilito l’indumento in quanto tale.

Fino agli anni Settanta-Ottanta una muta di maglie si portava per una stagione o anche più, e la maglietta per un giocatore aveva un valore preciso. Oggi le divise sono almeno in tre versioni, non c’è limite alla fornitura per il singolo atleta, e soprattutto le maglie si devono vendere anche nei negozi e vengono perciò realizzate in migliaia di esemplari. In parallelo a questi mutamenti, i calciatori hanno iniziato a cambiare squadra a ritmi vertiginosi. I giocatori-bandiera non esistono più, e molti cambiano casacca durante una stessa stagione calcistica. Perciò il loro legame ai colori è effimero. Se c’è un gesto che esprime la labilità di tale legame questo risiede nell’esultanza di alcuni giocatori dopo un goal importante: corrono verso la curva e si tolgono la maglia gettandola per terra!

Con tanta buona volontà possiamo capire che si tratti di un gesto inconscio, ma se ci si pensa bene non è proprio il massimo del rispetto per i propri colori dei quali ci si spoglia per “gettarli” lontano ….

Ma torniamo al periodo tra gli anni Cinquanta e gli Ottanta e cerchiamo di approfondire due aspetti e cioè i materiali e le modalità di utilizzo delle maglie da parte dei giocatori.

La lanetta e l’età del rammenda

Fino a tutti gli anni Settanta le maglie erano di lana. Era un tipo di lana leggera che veniva perciò definita “lanetta”. La sostanziale differenza tra versione estiva e invernale consisteva nelle maniche corte e nel colletto spesso aperto della prima. Erano comunque indumenti che diventavano pesanti per il sudore e per la pioggia.

A Firenze negli anni cinquanta lo storico fornitore di divise era “Bellesi sport” di Via de’ Neri.

Verso la metà degli anni sessanta subentra invece il laboratorio delle “Sorelle Tortelli” di via Gioberti, sempre a Firenze, che non si limita alla Fiorentina ma confeziona forniture per le squadre ciclistiche e per molte compagini calcistiche delle categorie inferiori.

Verso metà degli anni Settanta entra sulla scena il maglificio “Lama” di Milano. Il ricorso a questi secondi fornitori si dice fosse stato favorito dai costi minori e causato dalla necessità di un maggior numero di mute, che il solo laboratorio fiorentino non poteva assicurare. Come già accennato una muta di maglie era un bene prezioso anche per società professionistiche. Finché le maglie erano portabili le si indossavano. Questo faceva si che gli indumenti apparissero via via “infeltriti” e con qualche rammendo, e poi passavano in dotazione alle squadre giovanili (soprattutto De Martino e Primavera). Di tutto ciò ci sono “prove” molto curiose. Scegliamo la maglia che nelle stagione 1958-59 indossa Enzo Robotti, capitano della Fiorentina anni 50-60, 231 partite in viola. Nella bellissima foto che proponiamo si possono vedere intorno al giglio stilizzato tipico del periodo, (sul margine sinistro di chi guarda) le tracce di una cucitura a forma di rombo irregolare.

Si tratta evidentemente del giglio “tradizionale” che è stato sulle maglie nelle stagioni precedenti. Se poi guardiamo con attenzione, si intravede sopra il vertice superiore del giglio la traccia di un’altra cucitura: non ci sono dubbi, è quella dello scudetto 55-56. Insomma una maglia portata almeno tre stagioni! Questa tendenza al “risparmio” non va vista come una sorta di tirchieria, era semplicemente lo specchio dei tempi, perché ogni singolo oggetto aveva un suo valore e l’usa e getta era ancora (per fortuna!) lontano dal venire. Perciò se una maglia si strappava, si faceva un bel rammendo, che diventava quasi una medaglia guadagnata combattendo.

 

Dal rammendo… alla toppa !

Il cambiamento epocale per le maglie da calcio, avviene alla fine degli anni Settanta con la comparsa degli sponsor tecnici, cioè con fornitori non più artigianali e locali, ma industriali e internazionali. E’ il colosso tedesco Adidas il primo sponsor di questo tipo a Firenze: è il 1978. In una iniziale e brevissima fase, le maglie sono ancora in lanetta, le producono le “Sorelle Tortelli” che applicano lungo le maniche e sui fianchi dei pantaloncini le mitiche “tre strisce”. Ben presto però è direttamente la casa bavarese a fornire le divise e compare in modo irreversibile il tessuto sintetico. Nel 1981-82 irrompe sulla scena lo sponsor istituzionale, un soggetto cioè che, in cambio di un contributo economico, posiziona sulle maglie il proprio marchio. Per la Fiorentina si tratta della Farrow’s’ azienda di abbigliamento che provvede anche alla confezione delle maglie stesse. E’ l’anno del famoso e criticato giglio alabardato (per i puristi “accapponato”) che viene verniciato all’interno di un grande disco bianco posto al centro del petto dei calciatori. Questa ampia zona verniciata rende difficile la traspirazione e si racconta che alcuni giocatori (Graziani in testa) trovassero fastidioso indossare quella divisa, tanto che nelle successive versioni, disco e giglio furono ricamati. Negli anni successivi gli sponsor saranno “La Nazione”, “Crodino”, “Nintendo”, “Giocheria” e molti altri, mentre i fornitori tecnici, dopo Adidas, saranno numerosi e tra questi alcune prestigiose aziende italiane: Abm, Fila, Diadora. La maglia, con l’avvento degli sponsor diventa oggetto di merchandising, cioè di un’operazione commerciale grazie alla quale una società può mettere in vendita la propria maglia ufficiale e realizzare ricavi anche importanti. Per rendere più appetibile l’oggetto, e dare l’idea al tifoso di essere un tutt’uno col suo campione preferito, dietro le maglie compare il nome del calciatore: è il campionato

1995-96.

La stagione successiva, in occasione del cinquantenario dalla sua fondazione, la Lega Calcio impone che sulla manica destra della maglia sia presente una “toppa” con il proprio logo, che celebri l’anniversario e certifichi al tempo stesso, l’ufficialità della maglia, sempre più oggetto di “repliche” o addirittura falsificazioni. La “topparesterà poi per sempre sulle maglie destinate ai giocatori.

Ma torniamo al cambiamento senz’altro più significativo, quello che riguarda il nome del calciatore e la possibilità di numeri “personalizzati”.

I numeri e i nomi sulle maglie

Com’erano belli i numeri dall’1 all’11! E com’era facile capire in che ruolo giocasse chi l’indossava. A proposito: a livello internazionale la numerazione fu introdotta nel 1936, ma in Italia arrivò solo nel 1940. Come già detto dalla stagione 1995-96, sul retro della divisa compare il nome del calciatore, che la personalizza con un numero da lui scelto. In passato c’era stata in Europa una unica vera e celebre personalizzazione: la n° 14 che Johan Cruiff indossava quando scendeva in campo con l’Ajax o con la grande Olanda. Il vero obbiettivo della personalizzazione sulle maglie è stato quello di renderle oggetto vendibile, incrementando perciò le entrate della società. Non si tenne conto che in questo modo si è svuotata in gran parte la maglia del suo valore come simbolo della squadra. Fino ad allora la casacca aveva colore e distintivo, che identificavano città e società. Gli “anonimi” numeri da 1 a 11 dicevano a tutti: “Qui dentro c’è un terzino, un mediano, un centravanti. Potete anche innamorarvene, ma in realtà non importa chi è. L’importante è che lotti e onori la maglia che indossa: lui passerà, lei no!” Con nome e numero si ribalta il concetto, è il calciatore che parla: “Sono Luca Toni, lo potete leggere sulla mia schiena. Ho il numero 30, anche se faccio il centravanti. Indosso la maglia viola, con questa vincerò anche la Scarpa d’oro. Ma poi vestirò altri colori e sempre ci sarà scritto “Toni” e il numero sarà il 30: sono io che conto…”. Il tifoso quindi sempre più raramente si innamora di un giocatore, non ha il tempo di farlo, e il nome del calciatore viene sempre più spesso cancellato dalla memoria del tifoso. Oltreché dalla maglia, talvolta in modo ingegnoso come nel caso di questo appassionato viola che sostituisce sulla maglia e nel cuore Kalinin col nuovo arrivato Simeone…

Tornando a quel fatidico 1995, da allora si sono viste sulle schiene dei calciatori le cose più assurde o ironiche, in ambedue i casi non si sa quanto volute. D’altra parte c’è massima libertà da parte delle cosiddette autorità competenti, perché il regolamento FIGC, al comma 5 dell’Articolo 3 stabilisce che i numeri debbano essere compresi tra 1 e 99. E allora divertiamoci! Nel 1997 arriva all’Inter Ronaldo, e si prende la numero nove fino ad allora di Zamorano. Il cileno non fa una piega e si fa applicare sulla maglia il 18: ma fra le due cifre fa apporre un piccolo segno più: 1+8? Fa 9 naturalmente! Nel campionato 1999-2000, nel Perugia, esordisce un giovane centrocampista, Fabio Gatti. Scegliendo il numero 44, la sua schiena recita grosso modo “quarantaquattrogatti”! Un calembour simile lo fa il portoghese Nani, che una volta approdato alla Lazio prende il 7: manca solo Biancaneve! In genere però i calciatori scelgono il numero per motivi molto personali. Due esempi che riguardano la recente storia viola: Mohamed Salah scelse la maglia numero 74 per commemorare la strage di Port Said, quando 74 persone persero la vita a causa dei violentissimi scontri scoppiati nello stadio. Giuseppe Rossi ha scelto il numero 49 in quanto per lui ha un significato importante: è l’anno di nascita di suo padre morto purtroppo nel 2010. Comunque sia i nuovi numeri sulla maglia hanno tolto un altro piccolo pezzo della poesia del calcio. Quando, fra ragazzini, ci si diceva la formazione del secondo scudetto e si iniziava recitando la melodica cantilena “Superchi, Rogora, Mancin…” ci si immagina subito una bella maglia grigia col numero uno, e due splendide casacche viola col numero 2 e col numero 3: mala tempora currunt!

n.b. L’articolo riporta (con modifiche e aggiornamenti) l’omonimo capitolo del libro

Fiorentina curiosità e aneddoti. Storie di un pallone scomparso”

a cura di Alessandro Coppini e Pieralberto Cantelli

Pagnini editore 2019

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