La Juventus: nonna bianconera della Fiorentina

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Molti tifosi viola sanno che la Fiorentina nacque nel 1926 dalla fusione delle sezioni-calcio di due polisportive: il Club Sportivo Firenze e la Palestra Ginnastica Fiorentina, detta comunemente Libertas.

Se entrambe hanno dunque il diritto di essere considerate la madre e il padre della società viola, è altrettanto certo, sebbene la cosa non sia nota, che la “nonna” della Fiorentina si chiamasse Juventus e vestisse addirittura una maglia bianconera a strisce…

Il Football Club Juventus di Firenze, fondato nel 1910, fu infatti una delle tante squadre di calcio che animarono il panorama pionieristico cittadino. Alcuni aspetti della breve parabola di questa associazione, che portava un nome latino piuttosto diffuso nell’ambito sportivo del tempo, sono giunti a noi grazie a Il Ghiozzo Rosso, periodico sociale edito cent’anni orsono dalla Libertas.

Nell’edizione del 10 dicembre del 1922 il giornale ripercorre infatti le vicende della Juventus, i cui calciatori, nel 1912, dopo aver loro malgrado sciolto la società a causa di problemi finanziari, confluirono nella Libertas creandovi al suo interno una sezione-calcio. E’ dunque in virtù di questa “fusione” tra Juventus e Libertas che, un po’ scherzosamente e con scarsa convinzione, attribuiamo all’ormai dimenticato club bianconero il ruolo di “nonna” della Fiorentina.

Al di là di questa curiosità, il racconto de Il Ghiozzo Rosso è davvero interessante perché permette di comprendere il carattere assai avventuroso delle squadre dell’epoca. Nel caso specifico la modesta Juventus si allenava nella verde piana del Campo di Marte, teatro di buona parte dell’attività calcistica minore cittadina. Ecco alcuni estratti dell’articolo:

L’ampia distesa del Campo di Marte, generosamente ospitale, accoglieva domenicalmente (salvo l’intervento, sportivamente in… urbano, di qualche vigile omonimo) gli sforzi tenaci di pochi appassionati del pallone rotondo, soci dello Juventus Foot ball Club. Il grande prato serviva a tutto, perfino da… spogliatoio!

I pochi appassionati di allora non arrivavano sul campo né in legno e tanto meno in automobile, ma vi si recavano modestamente a piedi, alla svelta, con il boccone ancora in bocca per giungere in tempo. Appena arrivati cominciavano a tracciare il campo imbrattandosi di gesso la maglia ed i calzoncini, montando dopo le porte che trasportavano con molta fatica da una stanzuccia presa in affitto nei pressi del campo, procedendo poi alla gonfiatura del pallone con l’inevitabile applicazione della toppa alla camera d’aria! […] Una cornice molto rada di pubblico fluttuante, che per caso si soffermava a guardare, allontanandosi poco dopo mormorando: Poveri grulli! delineava o invadeva i limiti del campo del giuoco danneggiando, il più delle volte, la continuità di qualche bella azione faticosamente condotta da qualche giocatore. In questo ambiente ostile viveva il nostro bel giuoco, deriso dal pubblico ed ostacolato dagli agenti dell’ordine, sempre pronti a contestare la contravvenzione con relativo sequestro del pallone”

Data la difficile situazione, prosegue il periodico, i bianconeri furono quindi costretti a emigrare sul pratone dell’Anconella, affittato in virtù di “un prestito forzoso che assorbì completamente le magre risorse delle scarselle dei soci juventini”. Tramite l’aiuto di un mecenate i soci raccolsero quasi mille lire per allivellare il terreno, ma purtroppo non bastarono per completare l’opera e, dopo un’assemblea svolta presso il caffè delle Giubbe Rosse, i ragazzi decisero di entrare nella Libertas, che “possedeva un bellissimo campo da giuoco nel prato del Quercione ed un comodo spogliatoio”.

Certamente la consorella Libertas era più solida dal punto di vista economico e logistico, tuttavia anche i suoi atleti faticavano a organizzarsi. Il Ghiozzo rosso racconta infatti che, sempre nel 1912, per procurarsi dei calzettoni un calciatore libertiano aveva “rubaco un paio di carze alla su’ sorella”, cucendovi sopra tre strisce di passamano bianco, mentre un suo compagno aveva arrangiato le proprie malridotte scarpette con una cinghia e fattosi delle ginocchiere con maniche di “camiciola”. In sostanza, aggiunge il periodico, i calciatori di quell’epoca, oltre a essere frustrati “dall’indifferenza e dal disprezzo dei profani”, erano “privi di quei mezzi che oggi [1922] abbondano…”

Prima di concludere questo breve racconto dedicato a “eroi” del calcio pionieristico fiorentino, desideriamo soffermarci sull’uomo-simbolo di quella Juventus. Stiamo parlando di Carlo Antonini, classe 1891, che dopo essere stato ingaggiato dalla Libertas ne divenne presto capitano. Su Carlo, benché sia stato presidente della Fiorentina dal 1948 al ‘51, è stato scritto ben poco e mai sono stati ricordati i suoi trascorsi giovanili. Noi lo facciamo adesso attingendo a piene mani da un appassionante articolo pubblicato su Il Ghiozzo Rosso il 25 febbraio 1923 e “fiorentinamente” intitolato Antonini Carlo: I’ Capitano. Ecco alcuni stralci che, anche questa volta, consentono di comprendere l’atmosfera e la dimensione del calcio locale dell’epoca:

Carlo Antonini, quarto da sinistra, con la maglia della Libertas nel 1912 sul campo del Quercione alle Cascine

Parlare di questo giocatore, dai muscoli d’acciaio e dal cuore generoso, dire delle sue doti di atleta e più ancora di libertiano della primissima ora, è cosa che sgomenta chi scrive, perché nessun aggettivo può definirle […]. Chi scrive è stato suo compagno di squadra […] e conosce appieno le qualità che fecero di lui il Capitano temuto, rispettato ed amato. Io sono certo che parlando di lui non gli faccio piacere, perché Carlino è modesto, di una modestia quasi eccessiva. […] Nel 1907, sul greto dell’Arno è con alcuni amici nuotatori della Rari Nantes. Siamo nello scorcio dell’estate, l’acqua si fa fredda fino a non pensare a bagnarvici. Che fare? Gli amici si radunano e decidono di formare una squadra di calcio. Ci vuole una palla. Una lira per uno e quella è già acquistata. Carlino ne è il geloso custode.

Una prima domenica si danno tutti convegno in un prato nei pressi della Rari. Tutto era predisposto per le una e mezzo del pomeriggio, fuori che la pioggia che cadde in quel giorno a torrenti. Carlo non si sgomenta. All’ora stabilita è là, lui, l’ombrello e il pallone. Degli amici neppure l’ombra! Egli non si perde d’animo e tira calci da solo e da solo corre dietro al pallone. Per una seconda domenica solita scena. La terza però, egli col suo bel pallone, tutto unto a nuovo, si presenta al Quercione sul campo dell’Itala.

Il racconto prosegue poi con l’immediato ingresso di Carlo tra le file dell’Itala. Forse perché in possesso di un pallone, egli venne infatti istantaneamente arruolato e impiegato come ala sinistra. Era la sua prima partitella in senso assoluto e non destò grande impressione. Masserano, calciatore dell’Itala, decise quindi di arretrarlo nel ruolo di mediano sinistro. In questa veste giocò per dieci anni: prima nel Minerva (squadretta da lui fondata nel 1908), poi nella Juventus (in cui la stessa Minerva confluì) e infine nella Libertas, in cui militò anche dopo la guerra. E’ interessante sottolineare che perfino durante il conflitto, l’irriducibile Carlo trovò il modo di “formare una squadra che si permetteva il lusso di allenarsi sotto il bombardamento nemico”.

Maggio 1949: il presidente viola Antonini premia il grande Furiassi. Foto Fiorenza

Questo era dunque Carlo Antonini, colonna del calcio fiorentino e anima viola troppo spesso dimenticata. Il suo nome compare nell’elenco dei presidenti gigliati, ma nessuno ci fa caso e conosce la sua tempra.

Oggi chi scrive ha provato a ricordarlo con questo semplice pezzo, mentre queste furono invece le sentite parole con cui l’ignoto autore de Il Ghiozzo Rosso, ripensando alle imprese della Libertas, dal cui sudore è nata la nostra Fiorentina, chiuse nostalgicamente il suo articolo.

Bei tempi Carlino, quando soli con la nostra miseria, che era tutta la nostra grandezza, si andava di città in città, dove tutto ci era ostile, e si giocava fino all’esaurimento e si tornava affranti, ammaccati e senza un soldo, ma contenti di poter dire ai compagni che ci attendevano trepidanti al treno: “Ragazzi s’è vinto, per la Libertas Hurrà!”.

Filippo Luti

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