La Grand Depart

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LA GRAND DEPART

Il TOUR de FRANCE 2024 parte da FIRENZE

sabato 29 Giugno

La globalizzazione del mondo del ciclismo, come quella del calcio e di tutti gli altri sport, iniziata dopo la caduta della “cortina di ferro” a partire dalla fine del Novecento, che ha fatto apparire sulla scena professionistica tanti forti atleti dell’Est, e ampliatasi con l’ingresso della scuola anglosassone (Gran Bretagna, USA ed Australia in particolare) ha portato una rivoluzione in questo sport.

Se pensiamo che nel 1947, primo Tour dopo la seconda guerra mondiale, le nazioni iscritte erano solamente sei (Francia, Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Svizzera; mancava la Spagna per motivazioni politiche) e che nel 2023 sono state ben trenta, la differenza è enorme!

L’Italia un tempo aveva un ruolo centrale nel movimento ciclistico mondiale e la Toscana all’interno della Nazione. Non solo come culla di tanti assi del pedale, ma anche come produzione industriale di biciclette, accessori, abbigliamento e tutto ciò che riguardava il movimento ciclistico.

Dopo ben 121 anni dalla nascita del Tour (1903) ed alla centoundicesima edizione (considerando le sospensioni causate dai due eventi bellici mondiali del Novecento), finalmente il Tour partirà dall’Italia, grandissimo avvenimento considerando che la gara a tappe francese è la più importante manifestazione sportiva dopo Olimpiadi e Mondiali di Calcio, che però si svolgono solamente ogni quattro anni.

Nel corso della sua storia il Tour ha effettuato vari sconfinamenti in Italia, specie in Piemonte. Sono rimaste impresse nella memoria degli appassionati le tappe del Sestriere: quella del 1952 vinta da Fausto Coppi, nel 1992 da Claudio Chiappucci, nel 1999 dal famigerato Lance Armstrong.

Ed è significativo che sia stata scelta proprio Firenze per la prestigiosa “Gran Depart”, l’unica provincia al mondo che può vantare ben due vincitori del Tour: Gino Bartali di Ponte a Ema e Gastone Nencini di Bilancino (Barberino di Mugello) la cui casa natale credo sia finita sotto le acque dell’invaso omonimo.

Oltre ai due famosi vincitori del Tour la provincia di Firenze ha da sempre dato i natali a tanti campioni. Citiamo Alfredo Martini, luogotenente di Coppi e Bartali al Tour e poi commissario tecnico della nazionale con la quale è riuscito a conquistare tante maglie iridate. Il suo nome rimane legato a Sesto Fiorentino, ma pochi sanno che Alfredo nacque a Firenze: infatti un sindaco fiorentino che gli voleva attribuire la cittadinanza onoraria per la sua gloriosa carriera, rimase deluso quando constatò all’anagrafe che era già fiorentino…per nascita!

Il fraterno amico di Alfredo, Fiorenzo Magni di Vaiano (all’epoca ancora provincia di Firenze e non di Prato), il cosiddetto “terzo uomo” insieme a Coppi e Bartali, capace di vincere tre Giri d’Italia, nonostante una corporatura molto più pesante dei due storici avversari.

Franco Bitossi di Camaioni (Empoli) che con 171 vittorie è quarto nella graduatoria dei plurivittoriosi italiani di tutti i tempi (dietro a Francesco Moser, Giuseppe Saronni e Mario Cipollini).

Il fiorentinissimo Roberto Poggiali, luogotenente di lusso prima di Felice Gimondi poi di Francesco Moser, però il suo ruolo di aiutante dei capitani non gli impedì vincere una decina di corse, fra le quali spiccano un Giro della Svizzera e una Freccia Vallone.

Alfredo Martini e Flavio Alessandri

Franco Chioccioli, detto “Coppino” per la somiglianza col campione di Castellania, di Pian di Scò (al confine fra le provincie di Firenze ed Arezzo) vincitore di uno splendido Giro d’Italia nel 1991.

In tempi più recenti anche campioni del sud venivano a “farsi le ossa” in Toscana, come Vincenzo Nibali vincitore del Tour 2014 e Giovanni Visconti tre volte Campione Italiano.

Franco Chioccioli con un giovane Flavio Alessandri – Giro 1991

Il Tour de France nacque nel 1903 dalla concorrenza di due quotidiani sportivi francesi: “Le Velo”, che fu la prima testata sportiva transalpina dal 1897, e “L’Auto”, fondato nel 1900 e stampato su carta gialla: da qui, sembra, derivi il colore della maglia del leader della corsa. “Le Velo” battuto sul tempo per l’invenzione del Tour, l’anno seguente (1904) cessò di essere pubblicato.

Direttore de “L’Auto” era Henri Desgrange, considerato l’inventore del Tour, che organizzò e diresse fino al 1936; le sue iniziali (H.D.) rimasero impresse sulle maglie gialle fino al 2015. Poi eliminate forse per dare ancora maggior risalto alle scritte degli sponsor.

Nel 1936 un altro giornalista de’ “L’Auto”, Jacques Goddet, sostituì Desgrange alla direzione del Tour, che organizzò fino al 1986.

Goddet, sotto l’occupazione tedesca, fondò “L’Equipe”, in un primo tempo stampato clandestinamente, ma la nascita ufficiale viene fatta risalire al 1946 e da allora il quotidiano fa parte dell’organizzazione del Tour. Da un tribunale francese fu però imposto che non venisse stampato su carta gialla, troppo identificativa de’ “L’Auto” che aveva smesso di essere pubblicato nel 1944.

Il primo Tour de France del 1903 fu vinto da un italiano della Val d’Aosta, Maurice Garin, ma ormai naturalizzato francese; invece quando conquistò due Parigi-Roubaix consecutive (1897 e 1898) era ancora di nazionalità italiana. In quel primo Tour quarto si piazzò un altro italiano, Rodolfo Muller, livornese di famiglia benestante svizzera, fratello di Alfredo, pittore post-macchiaiolo che visse vari anni a Settignano in Via de’ Buonarroti Simoni. Quindi due italiani nei primi quattro, non male come esordio!

Bisogna però attendere il 1924 perché un italiano (veneto della provincia di Treviso, ma che poi si trasferì in Friuli) Ottavio Bottecchia, riuscisse a trionfare nella Gran Boucle. L’anno precedente (1923) era giunto secondo, e nel 1925 vinse il suo secondo Tour consecutivamente. Purtroppo solamente due anni dopo (1927) morì tragicamente in bici sulla strada: le autorità del regime fascista fecero un’indagine approssimativa e frettolosa, concludendo che la caduta che causò il trauma cranico mortale fosse dovuta da un malore del ciclista. Ma proprio per la superficialità con cui fu condotta l’inchiesta ed anche il fatto che nessun campione ciclista dell’epoca fu presente ai suoi funerali, fece sorgere dei sospetti. Altre ipotesi sostengono che fu ucciso perché antifascista, oppure per il racket delle scommesse. L’indagine mal condotta ed il racket delle scommesse ci ricorda la tragica fine un altro campione italiano che conquistò il Tour nel 1998: Marco Pantani.

Ed eccoci finalmente all’esordio francese di Ginettaccio: dopo aver vinto alla grande il Giro d’Italia 1937, Bartali andò in Francia con molte speranze. Era già maglia gialla quando cadde in un gelido fiume: la caduta gli provocò alcune costole incrinate e soprattutto una brutta bronchite con febbre. Però “l’uomo di ferro” non era tipo da arrendersi facilmente e ripartì il giorno seguente. Il governo fascista, temendo una disfatta sportiva sotto gli occhi dei non amati cugini transalpini, gli impose il ritiro contro la sua volontà. Gino ha sempre sostenuto che avrebbe saputo riprendersi e sarebbe riuscito a vincere anche quel Tour.

Gino Bartali – Tour 1938

Nel 1938 le autorità fasciste imposero a Bartali di non partecipare al Giro d’Italia, con suo grande disappunto e dolore, per prepararsi al meglio per il Tour. L’Italia calcistica aveva da pochi giorni vinto il suo secondo Campionato Mondiale, bissando il successo del 1934; il capitano Peppino Meazza dopo aver ricevuto la Coppa Rimet fece il saluto romano dedicando la vittoria al Duce.

Mussolini teneva molto alle vittorie degli atleti italiani, per poter ribadire la superiorità della “razza italica”, erede dell’antica Roma, in realtà geneticamente inesistente.

Gino partì per la Francia con tanta voglia di rivincita, procurata dalla rabbia per il ritiro imposto dal regime nel 1937, ma anche dalla mancata partecipazione (e probabilissima vittoria) al Giro di quell’anno voluta dalle autorità, eventuale vittoria rosa che gli avrebbe permesso di ottenere un importante vantaggio economico. Gino prese la maglia gialla vincendo alla grande a Briancon nella quattordicesima tappa e riuscì a tenerla fino a Parigi. Vinse quel Tour con due vittorie di tappa, aggiudicandosi anche la classifica degli scalatori.

Sul palco della premiazione invece di fare il saluto romano come Meazza e dedicare la vittoria al Duce, la dedicò come suo solito alla Vergine Maria. Quello strano tipo di atleta, già tenuto d’occhio dall’OVRA (la polizia politica fascista) perché andava sempre alla Messa facendo la Comunione, soprattutto avendo preferito la tessera dell’Azione Cattolica a quella del Partito Fascista, aveva proprio esagerato. Per questo Mussolini, che aveva ricevuto i calciatori campioni del mondo 1938 con tutti gli onori, non volle incontrare quell’omino pio che non dava lustro con i suoi atteggiamenti alla laica virilità dello Stato Fascista.

Gino Bartali – Tour 1948

Dopo la pausa della seconda guerra mondiale, durante la quale Bartali si distinse per atti eroici con i quali salvò tante vite di ebrei e perseguitati politici, l’Italia fu più veloce dei francesi ad organizzare il primo Giro post-bellico già nel 1946, il Tour ripartì solamente nel 1947: Gino vinse quel Giro battendo il rivale di sempre, Fausto Coppi.

Quando nel 1948 si presentò alla partenza del Tour con i suoi 34 anni, la maggior parte della stampa sportiva lo dava già per finito. Invece non solo riuscì a vincere, ma entrò nella storia con la “esse” maiuscola, oltre che nella leggenda del grande ciclismo. Infatti il 14 luglio 1948, nel giorno di riposo a circa metà Tour, in Italia ci fu l’attentato a Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano. La guerra era finita da poco e gli animi erano ancora molto caldi, si temeva lo scoppio di una guerra civile. Il Capo del Governo, il democristiano Alcide De Gasperi, telefonò all’amico Gino pregandolo di cercare di fare una grande tappa il giorno successivo al fine di poter stemperare gli animi dei cittadini italiani, specie quelli di appartenenza comunista. Bartali era molto preoccupato vedendo letteralmente scappare dalla Francia tutti gli inviati della stampa, proprio temendo lo scoppio di una guerra civile. De Gasperi lo rassicurò dicendogli che a proteggere la famiglia Bartali ci avrebbe pensato lui.

Gino pensava solo alle vittorie di tappa, perché i 21 minuti di ritardo da Louison Bobet in maglia gialla, erano un’enormità. Invece vincendo le due tappe successive al giorno di riposo, a Briancon e ad Aix les Bains, indossò inaspettatamente la maglia gialla, che portò fino a Parigi. Vinse quel Tour 1948 primeggiando in ben sette tappe su ventuno e vincendo anche la classifica degli scalatori. A 34 anni riuscì a fare ancor meglio che a 24!

L’amico De Gasperi, riconoscente per la sua impresa sportiva che contribuì ad evitare la guerra civile, gli domandò cosa avrebbe desiderato come ricompensa. Gino con la sua abituale schiettezza chiese una riduzione delle sue tasse, ma il democristiano gli rispose che era impossibile. Allora il campione fiorentino non volle nient’altro.

Gastone Nencini – Tour 1960

Arriviamo al 1960, solamente dodici anni dopo quel secondo Tour di Bartali, ma era come se fosse passato un secolo. Infatti l’Italia non era più la Nazione povera lasciata in ginocchio sulle macerie della guerra, ma stava iniziando il boom economico, dovuto alla grande ripresa della produzione industriale. Il “Leone del Mugello” Gastone Nencini era già un campione affermato. Nel 1955 gli fu soffiato il successo al Giro d’Italia, che sembrava avesse ormai già vinto, dalla “strana alleanza” di due acerrimi nemici: Coppi e Magni. Gastone alla fine arrivò solamente terzo dietro i due marpioni (e campioni).

Nel 1957 ce la fece a portare la maglia rosa fino alla fine: per uno strano incrocio del destino il suo direttore sportivo era quel Fiorenzo Magni che due anni prima gli aveva portato via la vittoria a fine Giro.

Al via del Tour 1960 Nencini non si presentava con i favori del pronostico, ma si era già piazzato bene nel 1957 (sesto) e nel 1958 (quinto), questo faceva ben sperare ai tifosi italiani. Invece la stampa francese puntava molto sul giovane Roger Rivier.

Gastone Nencini e De Gaulle – Tour 1960

Gastone prese la maglia nella decima tappa di Pau e la mantenne fino a Parigi. Il suo rivale Rivier, che era secondo in classifica, per tenere il ritmo del formidabile discesista mugellano, uscì di strada nella quattordicesima tappa, riportando gravi lesioni in seguito alle quali dovette cessare prematuramente l’attività ciclistica.

Nencini conquistò il Tour 1960 senza nemmeno un successo di tappa, ma con la sua forza di passista-scalatore e di abilissimo discesista, riuscì sempre a piazzarsi nelle prime posizioni con regolarità ad ogni tappa.

Rimane storica la bella foto che ritrae Gastone stringere la mano del Generale Charles De Gaulle. Sfortunatamente Nencini non poté più ripetere le sue imprese ad alto livello perché nel 1961 le conseguenze di una bruttissima caduta, proprio sul suo terreno preferito, la discesa, e sulle strada che conosceva come le sue tasche, le Croci di Calenzano, gli impedirono di ritrovare la forma dei suoi giorni migliori.

Oltre ai trionfi azzurri al Tour di Bartali e Nencini, citiamo quelli di Fausto Coppi (1949 e 1952), di Felice Gimondi (1965), di Marco Pantani (1998) ed infine di Vincenzo Nibali (2014).

Purtroppo la partecipazione dei corridori italiani agli ultimi Tour è numericamente (e qualitativamente) molto ridotta, e sono soprattutto gregari tesserati per squadre straniere, mancando le equipe italiane, che un tempo erano le più numerose e forti del panorama internazionale.

Non sappiamo ancora quanti nostri ciclisti si iscriveranno al Tour 2024, ma visto i precedenti non saranno molti.

Nel 2021 erano nove, nel 2022 quattordici e solo sette nel 2023, vicino al record negativo di solamente sei nel 1986.

Dopo Vincenzo Nibali non è ancora nato un italiano in grado di battersi per raggiungere un podio in un grande Giro a tappe.

Per il momento accontentiamoci del bellissimo spettacolo che offrirà la “gran villa” di Firenze per la Gran Depart, sperando in un futuro meno anonimo e all’altezza della tradizione per i nostri ciclisti azzurri.

Flavio Alessandri – Viola Club Franco Nannotti

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