La formazione dei numeri UNO

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Proviamo a impararla questa formazione: Ballanti Amoretti Baggiani, Griffanti Romoli, Moro Costagliola Sarti, Albertosi, Superchi, Mattolini e poi Galli, Landucci, Mareggini Toldo…. e qua ci fermiamo. Perché stiamo parlando dei numeri uno viola, quelli che hanno difeso la porta, in successione, dalla prima partita in Serie A del 1931 fino al fallimento della A.C. Fiorentina… poi per carità, la storia è continuata; ma nel susseguirsi successivo, nel quale ci si perde nel conto dei portieri che arriva fino a oggi, ci piace ricordarci il solo Seba Frey, da pochi giorni per altro entrato nella hall fame viola.

Sebastian Frey 

E però quanta storia troviamo in chi ha rappresentato l’ultimo baluardo. Di tutto davvero: gente pacata e gente matta, personaggi fuori dal Comune oppure semi ragionieri del calcolo, campioni assoluti che hanno fatto la storia del ruolo o poco più che comparse, alti e meno alti, fisici scultorei o persone che all’oggi parrebbero normali, con la coppola o il cappellino da ciclista, mezzi calvi o riccioluti, di grigio vestiti oppure colorati.

Un lungo viaggio che comincia nella prima Fiorentina di Serie A (girone unico) del 1931 col romanissimo Bruno Ballanti, direttamente provenienti dalle prodezze in giallorosso sul campo di Testaccio di fine anni venti: non particolarmente alto, ma di grande personalità, in una Fiorentina niente male, guidata dal grande artillero Pedro Petrone – acquisto sensazionale per l’epoca – e brava, come il suo portiere, a far crescere le grandi ambizioni del Marchese Ridolfi; una bella storia quella di Ballanti, uomo vero, poi a fine carriera allenatore per qualche tempo, prima di finire a fare il tassista nelle strade della capitale.

Pochi anni e nel’34 ci troviamo il ligure Ugo Amoretti, affidabilissimo e sempre presente, a guidare la difesa della più grande Fiorentina dell’anteguerra, la più forte in assoluto prima di quella del’56. Squadra campione d’inverno, logorata nel finale dal testa a testa infinito con l’ultima grande Juventus del quinquennio, ma che mette in campo una linea arretrata di grande valore davanti al nostro Amoretti, con i terzini Gazzarri e Renzo Magli e il grande mediano, poi campione del mondo, Pizziolo, accanto all’altro mediano, quel Bruno Neri che nelle foto al centro del campo è l’unico a non alzare il braccio per fare il saluto romano e che morirà poi, partigiano sull’Appennino, fucilato dai tedeschi. Ha meno fortuna Gino Baggiani, che prende il posto di Amoretti dal’36: primo toscano a mettere i guantoni della Fiorentina in serie A (è di Empoli) sarà anche il primo a vederla retrocedere fragorosamente due anni dopo, nell’unica macchia precedente al 1993. Ma sta per arrivare uno dei big assoluti, uno di quelli da mettere nel Pantheon: nativo di Turbigo, sul naviglio milanese, ecco Gigi Griffanti; giovane, straordinario tra i pali, coraggiosissimo nelle uscite, uno dei più forti nell’Italia che si sta avviando alla tragedia bellica e in quella Fiorentina che costruisce il primo mini ciclo da ricordare: risalita in A, vittoria in Coppa Italia e poi squadra protagonista nella splendida formazione del’40, quella dove davanti a Griffanti, giocano il fiorentinissimo Carlino Piccardi, il bomber Dibenedetti e soprattutto due grandi fuoriclasse come Meo Menti e Ferruccio Valcareggi.

Luigi Griffanti

Finita la guerra, in un campionato giocato in mezzo alle macerie, nel’46 tocca ad Arduino Romoli, stavolta fiorentino, difendere i pali viola, in una stagione disperata e in una Fiorentina povera dove si rischia nuovamente la retrocessione. E l’anno dopo, 47-48, arriva un protagonista assoluto, da assurgere nella categoria dei matti ancorché fuoriclasse. Beppe Moro, una vita in giro per l’Italia a fare il portiere, che si macchia di errori incredibili (qualcuno dice fatti addirittura ad arte e volontariamente), ma anche di prodezze memorabili, rigori parati in serie, mattane uniche e voli a bloccare palloni già al sette, per la disperazione del grande Mister Luigi Ferrero, sempre in ansia se aspettarsi il miracolo o il gol assurdo. Ma i tempi stanno per cambiare e a Firenze non si scherza più; si vuole costruire una squadra importante e per farlo si parte dalla difesa e il primo tassello non può che essere il portiere: da Bari arriva Nardino Costagliola; già fortissimo prima della guerra (il conflitto gli ha bloccato come a molti altri la carriera), il numero uno pugliese è quanto di più affidabile si possa chiedere al ruolo: attento, rapido, intuitivo, ma soprattutto straordinario nel guidare una difesa che pezzo dopo pezzo diventa una filastrocca da raccontare ai nipoti: Costagliola, Magnini, Cervato, Chiappella, Rosetta Segato: con questi fenomeni (almeno tre, Magnini, Cervato e Segato, tra i più grandi nel ruolo nella storia del calcio italiano) la Fiorentina del nuovo Mister Bernardini potrebbe già vincere lo scudetto nel 53-54, poi sorpassata dall’Inter dopo aver vinto il girone d’andata. Costagliola è uno dei grandi protagonisti e nessuno pensa possa andarsene due anni dopo, pur già a fine carriera, nella beffa, per lui, più atroce della storia: inizia il campionato 1955 – 56 e in porta diviene titolare un ventiduenne bolognese, che aveva esordito l’anno precedente; si chiama Giuliano Sarti e qua la storia cambia davvero per sempre; una specie di calcolatore umano delle traiettorie avversarie, un ragazzo che sa leggere prima di tutti non solo i tiri, ma le azioni avversarie e quindi senza dare spettacolo è sempre nel punto giusto al momento giusto. E’ lui il numero uno di coloro che resteranno per sempre numeri uno, nella squadra che vince uno scudetto con due mesi di vantaggio e l’anno dopo va a dominare il Real a Madrid facendosi beffare da un arbitro vergognoso e prono rispetto al potere di Santiago Bernabeu e del regime franchista. Un numero uno per definizione, Sarti, che sa essere solo numero uno perché semplicemente e naturalmente un vincente nato: dopo Firenze la filastrocca Sarti Magnini Cervato, diventerà infatti Sarti Burgnich Facchetti, nell’Inter più forte della storia del calcio italiano. I cicli si dice spesso: quando se ne va Giuliano, il ciclo dei campioni a Firenze è ormai esaurito; la Società punta sui giovani per aprirne un altro e di nuovo si parte dal portiere; l’incredibile è che il numero uno giovane la Fiorentina ce l’ha in casa da tempo e pur riserva di Sarti ha già esordito in nazionale, giocato due finali di Coppa delle Coppe, di cui una vinta da protagonista. Se con Sarti cambia la storia della Fiorentina, con Albertosi cambia per sempre la storia di quel ruolo in Italia. Il fisico prima di tutto: atletico, con grande muscolatura e una coordinazione probabilmente irripetibile, nelle gesta del ragazzo che viene dalla Lunigiana ed è cresciuto da sempre nella Fiorentina. Arriva dove pare impossibile poter arrivare; ha presa, classe nelle uscite e tra i pali, ci sono momenti in cui pare impossibile fargli gol: ed al coraggio unisce una prestanza fisica che non si era mai vista in un portiere e che diverrà fondamentale per impostare quel ruolo negli anni a venire. Se ne va, nel pieno della carriera l’anno prima che la Fiorentina vinca il suo secondo scudetto, ma si rifarà con l’incredibile tricolore nel Cagliari e con quello, da assoluto protagonista, nel Milan della stella del’79. E quando Ricki lascia Firenze, il geniale Presidente Baglini ha già la soluzione in tasca; nessuno ci crede in quel ragazzone di Allume, che ha già giocato, nemmeno giovanissimo qualche partita nel’68 e invece Franco SuperchI sarà la sorpresa più grande della storia viola: un campionato sensazionale in porta quello dello scudetto 68-69, con almeno sette/otto partite vinte elusivamente grazie ai suoi interventi che mostrano un campionario vario e senza punti deboli: tra i pali, nelle uscite alte e soprattutto in quelle basse. Una vicenda sportiva lunga quella di Franco a Firenze, in anni dei quali vive praticamente tutto e il contrario di tutto: due Presidenti, prima Baglini e poi Ugolini, uno scudetto storico accanto ad una retrocessione evitata non si sa come e poi l’esordio accanto a lui di uno sfortunatissima quanto irripetibile nidiata di giovani campioni (Antognoni, Roggi, Caso, Guerini, Desolati) e ancora l’alternarsi di allenatori che avrebbero fatto poi la storia del calcio, Liedholm e Radice su tutti.

Franco Superchi

E’ lui, assieme a Merlo, l’ultimo campione del’69 a lasciare la Fiorentina nell’estate 1976 (gli altri lo avevano tutti anticipato), aprendo ad un breve interregno di un altro ragazzo cresciuto nella primavera viola e già conosciuto dai tifosi: torna in porta titolare un toscano, ventitreenne pisano di San Giuliano Terme, che si è però già reso protagonista di un gesto mitico, ovvero parare un rigore a Torino con la Juve a Damiani nel’75, regalando alla Fiorentina di Rocco lo zero a zero. Abbastanza affidabile senza avere nessuna particolare qualità emergente, è comunque titolare nella Fiorentina arcigna e tutta italiana che ottiene col Sor Carletto Mazzone un incredibile terzo posto, a distanza siderale da Juve e Toro, nel 1977. Ma il team del Presidente Ugolini ha ancora una volta, in prospettiva, la soluzione per il futuro: ancora dalle terre pisane in Primavera c’è un ragazzo altissimo e dal capello fluente, di cui si parla un gran bene: Giovanni Galli a soli 18 anni viene portato in ritiro ad Asiago da Mazzone, nell’estate’77, pensando farlo poi esordire a metà campionato visto il nuovo arrivo dell’esperto e a fine carriera Gedeone Carmignani. Ma la Fiorentina dopo cinque giornate è ultima in classifica e dopo soli 45 minuti sotto di tre gol a Torino con la Juve; Mazzone mette in campo il ragazzo, che prende altri due gol, ma dopo un altro paio di giornate diviene titolare e salva, assieme al bomber a sorpresa Ezio Sella, letteralmente la Fiorentina dalla B. Anche per lui inizia una lunga storia, dove il portiere cresce, si afferma, diventa quasi imbattibile nell’81/82 sfiorando uno scudetto scippato dalla banda di Agnelli ed ancora esordisce in nazionale: gioca in viola con un numero spropositato di campioni: da Antognoni e Bertoni fino a Passarella, Pecci, Graziani e Oriali. Alla fine di quello che resta probabilmente il suo anno migliore (due soli gol subiti in casa, record irripetibile) con la giovane Fiorentina di Aldo Agroppi, ed in procinto di giocare un mondiale complicato in Messico, accetta la corte di Berlusconi per andare nel nuovo Milan che dopo poco vincerà tutto e anche di più. La Fiorentina dei giovani e senza più molte ambizioni dei Pontello punta di nuovo su un ragazzo cresciuto in casa, stavolta proveniente da Lucca, Marco Landucci. Inizia alla grande e contribuisce a salvare la scombicchierata Fiorentina di Bersellini: pare fortissimo tra i pali, ma migliorabile in uscita. Da lì si ferma, cominciando ad accusare le lamentele dei tifosi e finisce male, con una finale d’andata disastrosa, anche la bella avventura in Coppa Uefa, dove aveva sempre giocato, in verità, da protagonista vero. La Fiorentina non lo vende, nonostante in palese difficoltà e così dopo poche giornate del’90 91 il neo Mister Lazaroni lo cambia con un altro ragazzo cresciuto a Firenze, Gian Matteo Mareggini, che sprizza di gioia quando capisce poter vestire maglia e guanti della squadra del cuore. E’ bravo, coraggioso, attento e la sorte lo premia regalandogli la gioia più bella che possa capitare ad un portiere al Franchi: parare un rigore alla Juve e far vincere la Fiorentina. All’apice dell’entusiasmo, anche lui si ferma andando incontro ad una sorta di trapasso dantesco, nel quale veste la maglia numero uno nell’anno dell’onta assoluta, quello della retrocessione del’93. E allora, stavolta Cecchi Gori col nuovo General manager Antognoni, vanno a scovare in Serie B un ragazzone di proprietà del Milan che si dice abbia le stimmate del fuoriclasse, ma che alla corte di Berlusconi ancora non può andare. Tra le poche cose positive di quell’anno in B, oltre alla pronta risalita e alla guida del nuovo tecnico Ranieri, c’è propria la bella presenza di questo portierone che accanto a mezzi fuori dal comune, ne aggiunge uno: è straordinariamente simpatico, buono, pulito, innamorato oltre che della maglia, della città e della sua gente. Qua il viaggio diventa lunghissimo davvero: otto campionati, trofei alzati, notti di feste allo stadio, interventi memorabili, fino alla perla assoluta (probabilmente la più bella parata nella storia della Fiorentina) la notte di Wembley del 27 ottobre 1999, a regalare con Bati alla Fiorentina una qualificazione storica in Champions. Chissà quanto sarebbe rimasto ancora con noi se la Fiorentina, costretta dai debiti che la stavano strangolando fino al fallimento, non l’avesse ceduto nel 2001, quando era diventato un mito anche della nazionale dopo gli europei olandesi. Francesco sarà l’ultimo numero uno prima che gli eventi fragorosamente precipitassero la storia; le sue gesta, e quelle di tutti gli altri, saranno riprese da Seba Frey, che ancora in Europa e in splendidi campionati avrebbe fatto vedere cosa significa essere numeri uno a Firenze: da Ballanti in poi, una bella storia.

Fabio Incatasciato

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