La Fiorentina nel cuore – Tifosi da sempre

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Quando l’amico Fabio Fallai, vicepresidente ACCVC, e presidente del Viola Club Franco Nannotti, del quale sono socio da anni, mi ha proposto di scrivere un articolo di ricordi da vecchio tifoso, ho subito accettato con entusiasmo. Sono onorato di poter scrivere su quella che per me bambino era la Bibbia viola, avendo collezionato (e poi rilegato) il mensile dal primo numero del settembre 1965 all’ultimo del luglio 1973. Su quelle pagine ho imparato a leggere speditamente, non amando leggere i libri per ragazzi, né tantomeno quelli di scuola; la rivista fu il mio “abbecedario” per dirla alla Collodi. Nel 1967 entrai nel NAGC della Fiorentina e con grande emozione trovai la foto del nostro gruppo di “pulcini” pubblicata sul mio amato mensile.

Nacqui di domenica, il 12 maggio 1957, il giorno in cui l’Italia perse 6 a 1 contro la Jugoslavia; però fu una giornata storica perché 9/11 erano giocatori viola. Solo il portiere laziale Lovati sostituiva Sarti, e con Boniperti al posto del brasiliano Julinho. Ma il mio “battesimo” di tifoso lo ebbi al mio terzo compleanno, quando mi fu regalata una piccola maglia viola con tanto di giglio e di numero 3 (per l’età) sulla schiena: chiesi chi fosse il 3 viola e mi fu risposto Sergio Castelletti, che fu il primo nome di calciatore che memorizzai. Conobbi personalmente Castelletti molti anni dopo, lui dirigente ed io medico delle giovanili viola: persona educata e cortese, come non se ne incontrano spesso nel mondo del calcio.

Il mio esordio da tifoso allo stadio fu nell’aprile 1964: Italia-Cecoslovacchia 0 a 0, con solamente capitan Enzo Robotti a rappresentarci. Ma molto più grande fu l’emozione che provai quando vidi da spettatore per la prima volta le maglie viola in azione: accadde nel novembre 1964 e vincemmo per 2 a 0 (reti di Orlando ed Hamrin) contro il Cagliari neopromosso di un giovane Gigi Riva. Ricordo l’infortunio al polso di Rino Marchesi, che dopo giocò sempre, anche nella Lazio, con il polso fasciato. Forse nacque da quell’episodio la mia passione per la traumatologia dello sport.

In quegli anni rammento le mie frequenti visite alla sede dell’ACCVC, all’epoca situata in Piazza D’Azeglio, molto vicino a casa mia. Andavo ad acquistare le cartoline a colori dei nostri giocatori (allora non così diffuse come adesso) che poi mi facevo autografare dai miei beniamini, o andando agli allenamenti allo stadio (che non erano blindati come ora) o inviando le foto a casa dei calciatori che me le rispedivano autografate. Gli indirizzi si trovavano sull’elenco telefonico della TETI, cosa impensabile oggigiorno.

Nel 1967 iniziai col calcio giocato iscrivendomi al NAGC viola, allenandomi prima al campo dell’Affrico, in seguito su quello del motovelodromo delle Cascine. Di quel bel periodo ricordo con emozione la mia presenza come raccattapalle alla partita Italia-EIRE 3 a 0 del dicembre 1970. Erano gli eroi di Mexico 70, al ricordo risento ancora l’odore dell’olio canforato da massaggi, dei viola c’era solo capitan De Sisti; al tempo non erano ancora giunti ai vertici del calcio nazionale individui come Matarrese e Carraro, che in seguito ci hanno fatto disamorare della Nazionale. Guardando su YOUTUBE la sintesi della partita mi rivedo esultare saltellando dopo il goal di Picchio su rigore nella rete sotto la Fiesole. Vissi un “momento di gloria” quando fui inquadrato in primo piano dalla RAI mentre mettevo il pallone sulla lunetta del corner, che Bertini battè direttamente, senza risistemarlo come fanno sempre i calciatori. Fui visto da parenti e amici che poi mi telefonarono per congratularsi, allora trasmetteva solo la RAI ed in bianco e nero.

Nella stagione 78-79 conobbi il mio caro amico e maestro professionale, Dottor Franco Latella, medico sociale viola dal 78 al 92. Era la prima volta che entravo nell’infermeria dello stadio, andai a farmi visitare da Franco per un lieve infortunio calcistico. Latella disse a Pallino Raveggi: “Questo ragazzo ha le ginocchia come Pierino Prati”. Non capivo se era un complimento o meno. Poi mi spiegò che avevo una lassità ligamentosa come l’ex milanista, che l’anno precedente aveva giocato con i viola.

Nel 1983, dopo la laurea, per una serie di fortunate circostanze, entrai nelle simpatie di Italo Allodi, nostro dirigente. Mi ricordo due episodi legati a lui, nella vecchia sede del Viale dei Mille. Il primo fu quando mi presentò un “omino”, che non aveva per niente l’aria di un ex calciatore, ed Italo mi disse: “Questo diventerà un grande allenatore!” Era un certo Arrigo Sacchi, che stava allenando la nostra Primavera. Il secondo fu quando nell’estate 84, nella stanza accanto alla sua, il Conte Flavio stava intavolando una trattativa per Karl Rummenigge. Italo ridendo mi disse: “Il mio amico Sandrino (cioè Mazzola) mi ha detto che il tedesco ha firmato per l’Inter già da tempo.” Infatti per questi disaccordi, a fine 84-85 purtroppo Allodi divorziò dalla Fiorentina. Grazie ad Allodi ebbi la possibilità di frequentare l’infermeria dello stadio (83-84 e 84-85), per imparare dal medico sociale Latella. Oggi sarebbe impossibile che un neolaureato faccia tirocinio negli spogliatoi di una squadra di serie A, con tutti i problemi di privacy. C’era un’atmosfera serena, con i simpatici Professori Ciuti e Anselmi, con il ruolo di supervisori sanitari, ma in realtà facevano salotto scherzando con giocatori e staff. Il prof Ciuti ci prendeva in giro chiamando Latello “Sciamano” (perché visitava molti giocatori, anche non della Fiorentina, altra cosa che sarebbe impossibile oggi) perché gli ricordava un film dove uno Sciamano stando nel deserto visitava tutti i viandanti che capitavano di passaggio; ed aveva soprannominato me “l’apprendista stregone”. A dimostrazione di come fosse un ambiente più alla buona, Carobbi, ancora Primavera, mi raccontò che un medico delle giovanili in partita disse la vecchia frase ad un giocatore che si era infortunato: “Batti il piede in terra!” Il poveretto obbedì, ma svenne; aveva una frattura! Negli spogliatoi un giorno incontrai il prof Mario Chiti, istruttore del NAGC, fu contento di incontrarmi dopo anni e mi regalò il mio cartellino del NAGC, che aveva conservato nel suo ampio archivio (dove c’erano anche quelli di Chiarugi, Di Gennaro ecc.). Ricordo quando dopo gli allenamenti Latella mi portava nella piccolo spogliatoio di mister De Sisti, idolo della mia infanzia, per fare il punto della situazione infortuni; Picchio mi sfotteva chiedendomi in romanesco: ”Dottorino anche oggi hai insegnato qualche cosa al nostro medico?” Altro aneddoto dell’epoca: Armando Onesti era il nostro preparatore (professione ufficiale sarto da uomo, già questo dice molto sulle competenze professionali). Mi raccontò che quando era all’Inter per togliere la paura a Muraro, che era insicuro dopo l’intervento al crociato, lo portò in cima ad un campo arato in discesa, gli dette una spinta e lo fece correre sulle zolle. Altri tempi…Ricordo con commozione la signora Galli, moglie del nostro portiere Giovanni, allattare il piccolo Niccolò, di pochi mesi, dentro gli spogliatoi. Con tristezza ricordo Antognoni (frattura di tibia e perone nel febbraio 84) allenarsi con molto impegno col prof Baccani (sempre serio, ma ironico al tempo stesso) in una palestrina con pochi rudimentali attrezzi, ma ottenendo pochi risultati. Infatti dovette essere rioperato per guarire completamente.

Nell’estate 1984 la Fiorentina fece il clamoroso acquisto del capitano del Brasile: il dottor Socrates. Lavoravo già all’Istituto di Medicina dello Sport di Firenze, all’epoca situato in via del Fosso Macinante, confinante col motovelodromo delle Cascine; nel 2005 poi ci siamo trasferiti a Marignolle, accanto alla palestra Klab. Dal 78 al 92, cioè nel periodo in cui Latella (che lavorava anche in Istituto) era medico sociale, tutti i giocatori e gli allenatori dei viola (dalla prima squadra alle giovanili) venivano visitati nel nostro Istituto. I nuovi acquisti li valutavamo più approfonditamente, sottoponendoli al test del massimo consumo di ossigeno, per determinare la “cilindrata” del giocatore. Nel luglio 84 testai due protagonisti del Mondiale di Spagna 82: Claudio Gentile e Socrates. L’ex juventino lo visitai in tranquillità e fece un’ottima prova, ottenendo valori simili a quelli di un fondista di valore. Tutt’altro scenario quando arrivò Socrates: nell’ambulatorio della valutazione funzionale, dove c’erano tapis roulant e l’analizzatore dei gas espirati, entrarono molte persone, compresi gli operatori ed i telecronisti della TV brasiliana Globo, che vollero riprendere la prova con tanto di riflettore. Sudavo freddo, nonostante il caldo estivo e delle luci TV, per l’emozione (sottolineo il fatto che mi ero laureato solamente un anno prima) e mi venivano fatte molte domande. Alla fine il risultato del brasiliano fu molto inferiore a quello di Gentile: al culmine dello sforzo, nel momento cruciale per la determinazione del massimo consumo di ossigeno, si levò la maschera dell’analizzatore, perché non ce la faceva più a respirare. Alla fine i risultati furono più da sedentario anziano che da atleta professionista: forse le troppe sigarette e birre?

A metà degli anni novanta fui di nuovo tesserato con i viola (sotto la gestione Cecchi Gori), questa volta come medico sociale delle giovanili. La più bella esperienza fu il torneo di Viareggio 94, quando ho sostituito l’amico e collega dr Giovanni Serni (oggi medico della prima squadra) perché squalificato per aver leticato con un arbitro. Fu una grande emozione sedere al fianco di un altro idolo della mia infanzia, mister Luciano Chiarugi. Ricordo che era molto esigente e critico nei confronti dei suoi giocatori, e si calmava solo quando gli dicevamo: ”Mister non possono mica essere tutti Chiarugi!”. Avevamo una forte squadra, con i vari Flachi, Banchelli, Zanetti, Amerini ed il fratello di Baggio, Eddy. Arrivammo fino alla finale; il difensore Duccio Innocenti (poi professionista con Bari e Atalanta) mi faceva sempre indossare le sue scarpe di riserva per scaramanzia, visto che aveva portato bene fin dalla prima partita. La prima finale contro la Juventus (capitani Flachi e Del Piero) finì in parità; quando comunicai all’Innocenti che non potevo essere presente alla seconda finale, da superstizioso, come lo sono quasi tutti i calciatori, ci rimase male: infatti si perse!

Uscendo dallo Stadio dei Pini ricordo che trovai appartati Moggi (della Roma) e Lippi (del Napoli), entrambi con tanto di sigaro: “riunione di volpi, povere galline…” Infatti il campionato successivo (94-95) si accasarono entrambi con la Juve, e di galline ne hanno spennate parecchie, anche con metodi non troppo leciti.

Di quel Viareggio 94 ricordo anche l’eccitazione di Flachi, rientrando in pullman, dopo aver eliminato il Milan in semifinale, grazie ad un suo gran goal in acrobazia, che Checco paragonò a quelli che faceva Van Basten.

Poco dopo il 2000 rientrai nella Fiorentina, sempre come medico delle giovanili (sotto la gestione Della Valle) e ritrovai in panchina con gli allievi Lucio Chiarugi: ebbi modo di conoscerlo meglio, frequentandolo anche durante gli allenamenti. Mi sollecitava a far rientrare velocemente i giocatori infortunati, raccontandomi sempre di quella volta che giocò una partita importante con un brutto stiramento. Un bel giorno però gli chiesi: “Mister non mi hai mai raccontato come andò a finire quella famosa volta”. Mi rispose: “Mi strappai del tutto!” e gli venne da ridere.

Rammento con piacere i tanti racconti di calcio che i vari ex giocatori mi facevano durante i lunghi pomeriggi degli allenamenti. Come quando Andrea Pazzagli, preparatore dei portieri, mi raccontò quando era alla Roma mister Mazzone doveva valorizzare Cervone, che però era scarso; Carletto diceva a Pazzagli di parare meno bene in allenamento, perché lo metteva in difficoltà.

Venivano anche ex viola che non appartenevano allo staff, ma solo per consulenze per i loro acciacchi professionali calcistici. Fra questi Piero Gonfiantini che mi raccontò di un Pisa-Varese diretta da Concetto Lo Bello; capitani erano lui e Armando Picchi. Lo Bello quando richiamava Picchi lo appellava sempre “numero 6”. A fine gara Picchi andò da Lo Bello e gli disse: ”Quando giocavo nell’Inter mi chiamava Signor Picchi, adesso sono diventato solamente numero 6” e questo la dice lunga sulla sudditanza psicologica degli arbitri.

Anche la seconda esperienza di medico viola terminò perché, pur cambiando i padroni della Fiorentina, i medici venivano sempre pagati solamente con l’abbonamento in tribuna e poco più. Però i racconti degli ex viola per me resteranno sempre impagabili!

Flavio Alessandri,

Socio Viola Club Franco Nannotti

Vicedirettore dell’Istituto di Medicina dello Sport di Firenze

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