In ricordo di Renato Benaglia

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Un altro lutto ha rattristato la famiglia viola in questo mese di febbraio: all’età di 84 anni ci ha lasciato Renato Benaglia, centrocampista, veronese di Valeggio sul Mincio, il cui destino calcistico ha incrociato la Fiorentina in due momenti diversi, il biennio 1959-1961 e, dopo una parentesi catanese sempre in serie A, quello 1963-65.

Per chi scrive il pensiero di Renato Benaglia focalizza immediatamente la sua figurina dell’album Panini, quella colorata di viola del 1964-65, nella raccolta del campionato 1963-64 infatti il nostro non era rappresentato (in quelle prime edizioni figurava soltanto l’undici base di partenza e poco più), e riporta alla magia di quegli anni infantili nei quali le figurine Panini tanta parte ebbero nel formare e far crescere la passione per il calcio di una generazione.

Non ne abbiamo un ricordo diretto perché a causa di certi impegni lavorativi domenicali del babbo le presenze allo stadio, allora, si limitavano alle rare partite infrasettimanali e a quelle estive del torneo Città di Firenze, si dovette infatti aspettare il campionato 1967-68 perché ci fosse consentito insieme al cugino, alla sorella minore e ad un compagno di giochi del casamento di andare allo stadio da soli, ma proprio grazie alle collezioni Panini, per noi una autentica Bibbia che dava un volto ad eroi grandi e piccoli le cui gesta non viste ci giungevano soprattutto attraverso il racconto, Renato Benaglia rientra nella schiera dei calciatori viola che sentiamo nostri.

La sua parabola in viola, che va come dicevamo dal 1959 al 1965 sia pure interrotta dalla parentesi con i rossoblù etnei, si colloca nel periodo che sta tra la Fiorentina di Befani, sempre al vertice del campionato con i quattro secondi posti consecutivi dopo lo scudetto del ’56, e quella di Baglini, la cosiddetta Fiorentina yé-yé, che possiamo datare proprio a partire dal 1965, quando Benaglia, accompagnato da un sostanzioso conguaglio in denaro, viene ceduto alla Roma del neo presidente Franco Evangelisti, lo storico “ braccio destro” di Giulio Andreotti, che ha necessità di risanare i dissestati conti della società, in cambio del giovane Picchio De Sisti, già più che una promessa, destinato ad una luminosa carriera che proprio nei nove campionati giocati in viola culminati nello scudetto del 1969 lo consacrerà calciatore di livello internazionale.

Da quanto ci hanno raccontato i maggiori e ci è capitato di leggere è stato centrocampista di rendimento, di discreta tecnica e buona corsa ma soprattutto di indubbia intelligenza tattica, di quei giocatori che, se pur non fuoriclasse, tutti gli allenatori vorrebbero avere in rosa proprio per la loro affidabilità, tanto che in tutte le squadre nelle quali milita nella sua peraltro breve carriera, abbandona infatti a soli 29 anni dopo un’anonima stagione nel Lanerossi Vicenza, colleziona sempre un ragguardevole numero di partite.

Come già ricordato indossa i colori viola in due momenti diversi: il primo, diciamo il suo periodo giovanile, nel biennio 1959-1961 quando poco più che ventenne viene ingaggiato dal Fano, il secondo, dopo le due stagioni al Catania dove viene mandato in prestito a “farsi le ossa”, nel biennio 1963-65.

Nel primo dei due campionati del primo periodo, nel quale la Fiorentina di Carniglia conquista l’ultimo dei secondi posti della famosa e sfortunata serie successiva allo scudetto del ’56, resta un po’ ai margini della prima squadra totalizzando soltanto 6 partite di cui 2 in Campionato.

Nel secondo, la storica stagione 1960-61 delle due vittorie in Coppa delle Coppe nella doppia finale contro i Rangers (prima coppa europea vinta da una squadra italiana) e in Coppa Italia nella finale contro la Lazio, allenatori Czeizler prima, Hidegkuti con Chiappella assistente poi, è impiegato con maggior frequenza mettendo a registro complessivamente 18 presenze di cui 13 in campionato, 2 in Coppa Italia e 3 in Coppa delle Coppe.

Viene quindi ceduto al Catania dove, a conferma delle sue doti di affidabilità e costanza di rendimento, totalizza in due campionati ben 63 presenze con quattro reti. E’ il Catania dell’allenatore Carmelo Di Bella, del portiere Giuseppe Vavassori, del terzino Renato Rambaldelli, del centromediano fiorentino del Ponte alle Mosse Remo Bicchierai, del centrocampista tedesco Horst Szymaniak, del centravanti argentino Salvador Calvanese ed anche del compagno in viola Gigi Milan che lo raggiunge sotto l’Etna nel 1962.

Dopo le due positive annate catanesi impreziosite dal 10° posto raggiunto nel 1961-62 tra le migliori performances degli etnei in serie A, torna in riva all’Arno nella Fiorentina di Longinotti dove trova Ferruccio Valcareggi, poi avvicendato da Beppe Chiappella che sarà il suo allenatore anche nella sua ultima stagione in viola quella del 1964-65.

Due ottimi campionati entrambi conclusi al quarto posto, esiti che oggi varrebbero la Champions, nei quali mette insieme complessivamente 50 presenze di cui 42 in campionato e due reti, le uniche segnate in maglia viola, addirittura una doppietta contro il Lanerossi in un 4 a 1 casalingo nell’aprile 1965, l’exploit che di lì a poco molto probabilmente gli vale l’ingaggio da parte dello stesso Lanerossi dopo la stagione a Roma.

Suoi compagni d’avventura sono tra gli altri “uccellino” Hamrin, Ricky Albertosi, i terzini Enzo Robotti e Sergio Castelletti, il centromediano toscano di Signa Piero Gonfiantini, i giovani Giuseppe Brizi, Ugo Ferrante, Mario Bertini e Mario Brugnera, primo nucleo di quella Fiorentina yé-yé che di lì a poco tanta simpatia si sarebbe guadagnata, i mediani Egidio Guarnacci, Rino Marchesi e Giovan Battista Pirovano, la mezzala Humberto Maschio, uno dei tre mitici “angeli dalla faccia sporca”, gli attaccanti Gianfranco Petris , Alberto Orlando, capocannoniere del campionato 1964-65, il turco Can Bartù, il peruviano Juan Seminario, gli argentini Francisco Lojacono e Juan Alberto Morrone.

Nel 1965 la nuova presidenza Baglini prosegue il programma di ringiovanimento già intrapreso da Longinotti promuovendo dal settore giovanili due calciatori che saranno assoluti protagonisti della Fiorentina delle stagioni successive ovvero Claudio Merlo e Luciano Chiarugi ed andando sul mercato assicurandosi uno dei giovani più accreditati del campionato, nonostante l’età già pronto grazie anche agli insegnamenti del grande Schiaffino approdato alla Roma a fine carriera, quel Picchio De Sisti che sarà per tanti anni capitano e bandiera della Fiorentina.

Nell’operazione viene inserito proprio il nostro Benaglia che, anche per il gradimento del tecnico dei giallorossi di allora, l’indimenticabile “mago di Turi” Oronzo Pugliese, che ritiene Benaglia idoneo a sostituire Picchio, si ritrova a Roma con l’ingrato compito di non far rimpiangere De Sisti ad una tifoseria mal disposta per un’operazione ispirata esclusivamente da ragioni societarie grazie al copioso conguaglio di 170 milioni che Baglini aveva versato nelle esangui casse della Roma del presidente Evangelisti.

Confermandosi giocatore di rendimento soprattutto per tenacia e doti agonistiche gioca ben 29 partite in quel Campionato che la Roma “operaia” di allora conclude con un dignitoso ottavo posto segnando una rete, il pareggio contro la Juve all’Olimpico, che non gli bastano tuttavia per la conferma a fine stagione quando viene ceduto al Lanerossi Vicenza dove termina la sua carriera professionistica non ancora trentenne.

Renato Benaglia con la maglia della Roma

Stabilitosi a Firenze dove risiederà sino alla fine dei suoi giorni, resta nel calcio come allenatore nelle categorie inferiori sino intorno agli anni ottanta, allenando in Toscana il Signa, dove abbina il ruolo di allenatore con quello di giocatore, il Camaiore ed il Grosseto.

In un’epoca in cui erano rarissimi i calciatori scolarizzati, ci piace ricordare che Benaglia aveva conseguito il diploma di maestro e che lo scrittore Luciano Bianciardi, che dalle colonne del Guerin Sportivo scriveva anche di calcio, dopo aver saputo che era originario di quella terra che sta tra il Garda, Verona e Mantova teatro di tante importanti battaglie nelle tre le guerre di Indipendenza del nostro Risorgimento, aveva voluto conoscerlo durante un ritiro a Genova rimanendo poi in contatto con lui per averne preziosi contributi durante la stesura de “La battaglia soda”, uno dei romanzi del filone risorgimentale dello scrittore grossetano.

E non possiamo chiudere questo ricordo di Renato Benaglia senza raccontare un piccolo episodio che ci ha personalmente coinvolti seppur casualmente.

Probabilmente intorno alla fine degli anni Novanta in un piccolo bar pasticceria di quartiere dove si era entrati per un caffè troviamo il titolare impegnato con un signore che munito com’è di tavoletta e copia ordini ha tutta l’aria di essere un rappresentante.

Non appena ne incrociamo lo sguardo lo riconosciamo immediatamente, lo stesso volto e la stessa espressione effigiati in quelle figurine Panini sempre ben impresse nella nostra mente, l’incipiente stempiatura di allora solo appena un po’ più ampia.

Lei è il signor Benaglia!” non possiamo fare a meno di profferire vincendo la nostra naturale riservatezza con sorpresa ed un filo di commozione da parte di Benaglia per essere stato riconosciuto dopo tanto tempo e da chi allora doveva essere un bambino e che pur dimostra di conoscere tanto della sua storia di calciatore.

Dopo una conversazione cui non avremmo voluto, come succede, por fine in quanto piena com’era di ricordi, aneddoti e personaggi della nostra Fiorentina, ci congedammo sorridenti con una robusta stretta di mano ma ci restò l’impressione che, se solo gli avessimo dato un segno, ci avrebbe più volentieri abbracciato.

Marco Pieri – Viola Club Franco Nannotti

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