In morte di Humberto Maschio

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HUMBERTO MASCHIO: UN ANGELO DALLA FACCIA SPORCA

Alla veneranda età di novantuno anni ci ha lasciato Humberto Dionisio Maschio ora per sempre indissolubilmente legato ad Enrique Omar Sivori e Antonio Valentin Angelillo nel leggendario trio d’attacco degli “angeli dalla faccia sporca” (“angeles de la cara sucia”) che per un decennio a cavallo degli anni cinquanta e sessanta ha fatto sognare, entusiasmato ma anche deluso i tifosi italiani di diversi colori.

Approdano nella nostra serie A lo stesso anno, il 1957, freschi reduci da protagonisti della vittoria dell’Albiceleste nel Campeonato Sudamericano de Football, l’attuale Coppa America, Maschio capocannoniere del torneo con 9 segnature, Sivori alla Juventus, Angelillo all’Inter, il nostro Humberto al Bologna del presidente Renata Dall’Ara, certamente l’angel dalla “cara” meno “sucia”, con quell’espressione educata e seria soffusa di una vena di malinconia ed il volto segnato da una fossetta in mezzo al mento ed una marcata stempiatura proprie di chi ha familiarità col Pensiero.

Dei tre è quello che all’inizio incontra le maggiori difficoltà anche per l’ostinazione dell’allenatore Alfredo Foni di impiegarlo come centrocampista offensivo intendendo sfruttarne al massimo le indubbie doti balistiche e la propensione al gol ma costringendolo a frequentare assiduamente l’area di rigore avversaria dove le sue compassate movenze lo penalizzano, oltre le marcature asfissianti dei difensori italiani cui si trova per la prima volta sottoposto.

L’impatto sul calcio italiano degli altri due “angeles” sarà più fortunato.

Angelillo partirà addirittura col botto realizzando al suo secondo campionato all’Inter 33 gol, record di segnature destinato a durare a lungo e tutt’oggi non eguagliato limitatamente ai campionati a 18 squadre, anche se poi la sua breve carriera sarà un continuo declino (Roma, Milan, Lecco, Genoa in serie B) accelerato nel 1961 dalla rottura con Helenio Herrera, nuovo allenatore dell’Inter, che non gli perdona le sue licenze di incorreggibile playboy in particolare la relazione con la ballerina Attilia Tironi in arte Ilya Lopez.

L’anarchico, geniale, irridente Sivori, quello che più di tutti incarnava la garra argentina, si affermerà subito diventando uno dei calciatori più amati e celebrati della storia juventina.

Dopo due stagioni non fortunate all’ombra delle Torri nelle quali colleziona 43 presenze e pur sempre 13 gol, nel 1959 passa all’Atalanta dove resta per tre campionati dando il meglio di sé grazie anche all’intuizione di Ferruccio Valcareggi che lo allontana dall’area di rigore impiegandolo a centrocampo come mezz’ala di regia senza tuttavia comprimerne le innate qualità di realizzatore (inizia la carriera col numero nove sulle spalle) tanto che in 80 presenze in campionato mette a referto 22 gol (11 nella sola stagione 1961-62) ed un ragguardevole numero di assist, entrando a pieno titolo nella storia della Dea come uno dei giocatori più rappresentativi.

Maschio con la maglia dell’Atalanta 1961/62

Le cronache, prime fra tutte quelle di Gianni Brera che ne aveva un’altissima opinione, lo descrivono come centrocampista di superiore intelligenza calcistica, euclideo, capace di muoversi da un’area all’altra non dandone l’impressione, senza mai scomporsi, quasi volesse risparmiare fiato per pensare. Maschio non vede semplicemente il gioco, lo prevede medianicamente; è capace di decifrare il concatenarsi dei rimpalli, dei più marchiani mancati controlli e dei più dissennati passaggi, delle maldestre coperture della difesa che rendono vani gli schemi più studiati, insomma percepisce il dato accidentale che in fondo è l’essenza del calcio tramutandolo in necessità, presagendone quindi l’effetto ultimo per trovarsi al momento giusto al posto giusto per la giocata fatale.

E così lo vediamo spostarsi con la sua corsa misurata ai limiti dell’area di rigore avversaria dove come un rabdomante sente, ma forse si potrebbe dire sa, arriverà uno sbilenco cross di Hamrin che lo troverà pronto ad intercettarne la traiettoria con un piatto appena liberato che sembra involontario e che si insacca tra palo e portiere. E tutti a chiedersi come diavolo sia potuto accadere.

Le brillanti stagioni nell’Atalanta, culminate nel 1961-62 col sesto posto in campionato e con la semifinale di Mitropa Cup, suscitano l’interesse dell’Inter di Moratti che lo vuole a tutti i costi imponendolo ad Herrera che sul momento asseconda il suo Presidente per poi perseguire soluzioni diverse come si dirà avanti.

Maschio con la maglia dell’Inter 1962/63

Il rendimento nel campionato appena concluso ed il passaggio ad un grande club come l’Inter con le implicazioni di geopolitica calcistica che anche allora in questi casi sussistevano, gli valgono la convocazione nei 22 per i mondiali in Cile come oriundo, la famiglia originaria del pavese, ed è schierato (sua seconda ed ultima presenza in Nazionale) proprio nella disgraziata partita coi padroni di casa del Cile trasformatasi ben presto in una mattanza per l’incapacità e la connivenza dell’arbitro inglese Ken Aston che comminando due espulsioni al terzino David ed al centrocampista Ferrini condanna gli azzurri alla doppia inferiorità numerica e ad una sconfitta per due a zero maturata nell’ultimo quarto d’ora di partita con conseguente eliminazione dal torneo mondiale.

In realtà l’Italia finì quella partita addirittura in otto perché proprio Humberto giocò gravemente menomato sin dai primi minuti (allora non erano possibili sostituzioni) per una frattura al setto nasale provocata da una proditoria gomitata dell’alla sinistra Leonel Sanchez, tra i più scatenati dei cileni.

Nella stagione successiva, all’Inter, nonostante le pressioni del Presidente Moratti, Herrera farà valere le sue ragioni relegandolo ai margini della squadra in quanto troppo simile a Suarez, considerato inamovibile, e privo della velocità dell’astro nascente Mazzola; allora si parlò di un mai ricomposto screzio tra i due come causa del suo accantonamento anche se, da vero gentiluomo quale Humberto era, non gli serberà mai rancore.

E il campo darà ragione al mago tanto che la stagione si concluderà trionfalmente con la conquista del primo scudetto dell’Inter del binomio Moratti-Herrera, scudetto al quale il nostro Maschio dette comunque il suo contributo con 15 presenze e 4 gol, oltre 2 presenze e 2 gol in Coppa Italia.

Finita sul nascere l’avventura all’Inter che poteva rappresentare la grande occasione della carriera, all’orizzonte del trentenne Humberto si profila la Fiorentina di Longinotti dove è allenatore proprio quel Ferruccio Valcareggi suo mentore a Bergamo che lo rivuole a Firenze.

Maschio con la maglia della Fiorentina 1963/64

Maschio non si può dire certo fortunato perché Il rinnovato sodalizio sotto il Cupolone con l’allenatore che lo aveva pienamente valorizzato ha breve durata: dopo appena sette giornate di campionato infatti Valcareggi è sollevato dall’incarico e sostituito da Beppe Chiappella. Ma Humberto è giocatore troppo bravo ed affidabile perché l’avvicendamento alla guida della squadra possa renderlo secondario al nuovo progetto tecnico.

Nella Fiorentina di Beppe Chiappella gioca tre stagioni nelle quali in campionato la squadra si classifica sempre al quarto posto (oggi varrebbe la Champions), le prime due da protagonista la terza tormentata purtroppo da una serie di infortuni che lo tengono di fatto ai box: 20 partite e 3 gol nel 1963-64, 30 partite e 8 gol nel 1964-65, 2 sole partite ed un gol nel 1965-66, a tutto vantaggio del giovane De Sisti neo acquisto dalla Roma che così non trova concorrenza, contribuendo peraltro al successo in Coppa Italia, schierato titolare nei primi due turni contro Genoa e Palermo, iscrivendosi nel tabellino dei marcatori in entrambe le partite.

Il ricordo diretto di chi scrive, un bambino quando Maschio vestiva la maglia viola, è vago.

Maschio con la maglia della Fiorentina 1964/65

Lo abbiamo visto per certo giocare in un’amichevole infrasettimanale, le uniche cui potevamo assistere per gli impegni domenicali del babbo, il 17 febbraio 1965, data recuperata grazie al tabellino della partita fornito dall’amico Flavio Alessandri, contro la nazionale austriaca formazione ancora di rispetto benché il calcio danubiano volgesse ormai al tramonto.

Sconfitta pesante per la Fiorentina, 1 a 5, con l’iniziale illusorio vantaggio dei viola grazie proprio ad un gol di Maschio, il cui ricordo è rimasto impresso nella memoria perché la partita fu scelta come soggetto di un componimento libero nell’anno della nostra seconda elementare certi di far cosa gradita al maestro appassionato di calcio e tifoso della Fiorentina.

Il caso volle che il tema, in sostanza il racconto della partita nel quale tanta passione si era profuso, causa assenza del maestro per malattia, venisse giudicato da una supplente che con nostra grande delusione dimostrò di non apprezzare affatto il compito che liquidò con una risicata sufficienza giusto per la correttezza formale del testo.

E poi un Fiorentina-Milan di campionato dell’aprile successivo, pareggio a reti inviolate, in curva Ferrovia eccezionalmente accompagnati da un vicino di casa, di cui oggi ci resta solo la memoria di un bel pomeriggio di sole, dello stadio gremito all’inverosimile e delle spericolate uscite di “kamikaze” Ghezzi, una macchia nera proiettata nel verde dell’area di rigore.

Nel 1966, sua ultima sfortunata stagione nella Fiorentina ed in Italia, Nello Baglini, nel frattempo divenuto Presidente, gli concede la lista gratuita, cosa assolutamente eccezionale in quei tempi, per tornare in Argentina a giocare nel Racing de Avellaneda, la squadra della sua città dove tutto era iniziato.

Maschio nella sua ultima stagione 1965/66

Di seguito, sempre fornite dall’amico Flavio, la lettera che Humberto scrisse allora al Presidente Baglini per ringraziare la Fiorentina della disponibilità dimostrata, lettera che da sola, più e meglio di qualsiasi commento, dà il senso della statura dell’uomo, e l’articolo del numero di aprile proprio di Alé Fiorentina sulla partita amichevole giocata contro il Torino il 20 marzo 1966 in suo onore prima della partenza per l’Argentina.

Copia della lettera inviata da Humberto Maschio al Presidente Nello Baglini.
Per gentile concessione del Dott. Flavio Alessandri

Nel suo Racing gioca fino al 1968, quando trentacinquenne abbandona l’attività agonistica, protagonista nel 1967 dei successi tanto in Coppa Libertadores che in Coppa Intercontinentale.

Per gentile concessione del Dott. Flavio Alessandri

Intraprende poi una brillante carriera di allenatore – e come poteva non essere considerate le sue doti umane e tecniche? – guidando club illustri come lo stesso suo Racing e l’Independiente che porta al successo nella Libertadores del 1973.

Di lui si sa anche che si presentò alle elezioni politiche del suo paese come indipendente nelle file del partito socialista, ad ulteriore riprova del valore e della civiltà della persona oltre la sua dimensione di gran calciatore.

Con Maschio se ne va un’altra tessera del calcio nel quale siamo nati e siamo cresciuti: il calcio delle partite giocate alla domenica tutte alle 14.30, il calcio alla radio raccontato dai mitici radiocronisti di Tutto il calcio minuto per minuto, il calcio in bianco e nero sorseggiato a piccole dosi la domenica prima con un tempo di una partita del campionato italiano, poi con le sfocate sintesi della Domenica Sportiva, il calcio delle rare partite internazionali che ci era dato vedere preannunciato dalla cara sigla dell’eurovisione che fermava il mondo intorno a noi, bloccati nell’attesa dell’imminente evento che la lontana voce di Niccolò Carosio avrebbe officiato.

Humberto Dionisio Maschio è questo e molto altro ancora di quel calcio che è dentro di noi e che abbiamo avuto il privilegio di vivere.

E dopo, che ci resterà?

Marco Pieri – Viola Club Franco Nannotti

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