“Il primo scudetto, indimenticabile!”

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Raffaello Paloscia, una vita nel giornalismo sportivo, con il cuore diviso tra Firenze e Bologna. Tra la Fiorentina e il Bologna. Alé Fiorentina nel numero di questo mese lo ha intervistato, per ripercorrere i grandi anni viola, cercare di capire com’è cambiata la tifoseria, la città e il calcio italiano, e immaginare quale potrebbe essere il futuro prossimo della squadra.

Paloscia, a quale Fiorentina è più legato, lei che ha visto da vicino le più forti squadre della storia viola?
«Ho iniziato la mia professione proprio nell’anno del primo scudetto della Fiorentina, per cui la mia preferita, quella a cui sono più legato, è senza dubbio quella. Una squadra fantastica! Grandi campioni, grandi vittorie e la sensazione di poter battere chiunque. Bellissimi ricordi! Le dico soltanto questo, per farle capire quanto sono affezionato a quel periodo: mio figlio si chiama Fulvio, in omaggio al mitico Bernardini… il più grande allenatore che il calcio italiano abbia mai visto. Forse tra tremila anni, vedremo un altro Bernardini».

Quanto siamo distanti dal nostro glorioso passato?
«Il passato non torna mai, e oggi vincere nel calcio è molto complesso, però credo si stia costruendo qualcosa di buono. Il centro sportivo, la squadra che finalmente è tornata a giocare a calcio, un allenatore capace… La speranza è che si possa presto ammirare una grande Fiorentina, come quelle che ho visto io».

Nel corso dei decenni è cambiato un po’ tutto: le tattiche di gioco, la fisicità, la struttura delle società… e i tifosi, invece?
«Il calcio non è lo stesso di dieci anni fa, figuriamoci quello dei due scudetti gigliati: è cambiato il mondo da allora. Non so se sia cambiato in meglio o in peggio, forse è cambiato perché è normale così, doveva essere così. La tifoseria, al contrario, è sempre uguale: l’eccezionale fedeltà dei tifosi viola è un qualcosa che va oltre a tutto, anche ai risultati sul campo. Ne è dimostrazione la recente sconfitta contro l’Udinese: personalmente mi sono sentito un po’ umiliato, ma la Fiesole ha continuato ad incitare la squadra e a cantare. Questo è il bello del calcio, ancora oggi. E’ ciò che caratterizza la piazza fiorentina, che è calda come poche altre. Cambiano i sensi delle strade, la tramvia, quello che volete, ma Firenze resta innamorata della sua squadra perché è una delle poche cose che ci rimangono in questa città. Le opere d’arte e la Fiorentina. Guai a toccarcele!».

Com’è cambiato il calcio italiano?
«E’ cambiato globalmente, ma quello italiano si è indebolito molto. Se fino agli anni ’90 la Serie A era vista come l’Olimpo dei campioni, un campionato dal quale dovevi passare per affermarti a livello mondiale, oggi viene dopo altre leghe. Questo fa sì che anche le grandi società nostrane facciano molta fatica a stare al passo delle grandissime d’Europa. Basta guardare la Champions League per accorgersi che è quasi un altro sport».

In tutto questo, come è inevitabile che sia, è cambiato anche il giornalismo. Lei che è un maestro del giornalismo fiorentino, quali differenze riscontra rispetto al passato?
«Il giornalismo è cambiato perché hanno fatto il loro ingresso in scena nuovi strumenti di lavoro e di condivisione, era inevitabile. Il giornalismo sportivo fiorentino a mio avviso è ancora molto legato alla squadra, proprio come quando ero un giovane cronista. Non posso fare a meno di notare però uno strano contrasto: da un lato ci sono gli ipercritici, ovvero coloro che criticano anche quando non ve ne sono i motivi, dall’altro quelli a cui va bene tutto, che accettano qualsiasi cosa senza fiatare. Il giornalismo non è questo: fare il giornalista significa essere critici ma obiettivi, mantenere sempre un equilibrio e distinguere ciò che si pensa da ciò che si vede».

Quest’anno, oggettivamente, si è visto una buonissima Fiorentina. E’ d’accordo?
«Sì, assolutamente. Ci sono stati dei passi falsi, anche dolorosi, ma nel complesso la Fiorentina ha disputato un’ottima annata. Molto del merito va all’allenatore, che è stato capace di dare un bel gioco alla squadra e creare una bella sintonia nel gruppo. Non è un caso, a mio avviso, che alcuni brutti risultati siano coincisi con le voci sul futuro di Italiano…».

Come vede il futuro del mister viola?
«Spero resti, perché con lui potremmo aprire davvero un ciclo vincente e toglierci finalmente belle soddisfazioni. Deve crescere sotto alcuni aspetti, ad esempio nella fase difensiva, ma sta dimostrando di essere un ottimo allenatore. Se la società rinforzerà a dovere la rosa, con tre pezzi da novanta, il futuro sarà luminoso».

Giunti quasi al terzo anno di gestione Commisso, che giudizio si è fatto? E che consiglio darebbe al patron viola, anche per facilitare il suo rapporto con la tifoseria?
«Inizialmente il bilancio non poteva che essere brutto, la squadra per due anni ha lottato per non retrocedere. In questa stagione, invece, ritengo la società si sia mossa bene ed abbia gettato buone basi. Un consiglio a Commisso? Cerchi di essere più presente in città, solo così si fa calcio a certi livelli. Mi rendo conto che vive dall’altra parte del mondo, e che ci sono stati anche problemi di salute, ma la presenza del proprietario è fondamentale: Rocco deve vedere con i suoi occhi ciò che succede e ciò che eventualmente non va, e non farselo raccontare da qualcuno che potrebbe avere una immagine sbagliata. E’ difficile, me ne rendo conto, ma ci pensi: sarebbe bello averlo più spesso a Firenze».

Intervista di Giacomo Cialdi

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