I tifosi potrebbero partecipare…

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I TIFOSI POTEBBERO PARTECIPARE ALLA CONDUZIONE DELLA FIORENTINA?

(parte seconda)

Dunque abbiamo visto come in passato ci sia stato qualche momento (ormai lontanissimo) nel quale i tifosi della Fiorentina potevano partecipare direttamente alla vita societaria, influenzando le decisioni dei dirigenti.

Poi solo ipotesi e promesse. Può cambiare qualcosa? Per capirlo bisogna fare un breve accenno a quelle realtà (tutte straniere) che permettono al tifo di essere parte integrata e importante della vita societaria. Si tratta fondamentalmente di tre paesi, la Spagna, la Germania e l’Inghilterra.

MA COS’È L’AZIONARIATO POPOLARE?

Forse sarebbe meglio dire cosa dovrebbe essere perché non sempre l’obbiettivo legato a questa forma di partecipazione viene ottenuto. Non si tratta di un mero sostegno economico, una colletta mascherata, ma una forma di partecipazione attiva e democratica dei tifosi alla vita sociale della propria squadra. Le strade per ottenere tutto ciò possono percorse sia tramite l’acquisto diretto di azioni da parte di singoli appassionati, sia da parte di associazioni che li rappresentino. Oppure (e in questo caso il termine “azionariato” appare inesatto) la società, in cambio di una quota annuale, garantisce al tifoso la possibilità di partecipare ad iniziative gestite dal club. Ma in ogni caso è indispensabile la partecipazione alle assemblee dei soci nelle quali si indirizzano tutte le attività del club.

Com’è facile intuire, perché ciò sia possibile le Società devono darsi una specifica struttura giuridica, e questo rappresenta il primo grande ostacolo. Vediamo brevemente i paesi con maggiore tradizione da questo punto di vista.

Il modello spagnolo

Risale ai primi anni ‘90 la svolta legislativa che aveva l’obbiettivo principale di porre rimedio al dissesto economico di gran parte delle squadre spagnole, organizzate fino ad allora in associazioni sportive senza scopo di lucro. La legge permetteva la trasformazione in società per azioni, con attività limitata in ambito sportivo. Altro aspetto importante: nessun socio poteva possedere più del 5% di azioni se già ne possedeva la stessa quota in altra società.

Ma quattro società, che dimostrarono di avere bilanci in attivo o in pareggio nelle ultime 5 stagioni, poterono mantenere lo status di associazione sportiva, nelle quali ancora valeva la regola “un socio un voto”: Athletic Club Bilbao, Osasuna, Real Madrid e Barcellona.

È quest’ultimo il club che viene spesso preso come esempio di partecipazione attiva dei tifosi. Riassumendo si può dire che il Barcellona ha numerose attività sportive, e che conta poco più di 200000 soci! Come si può diventare soci? Naturalmente pagando. Ecco le quote aggiornate che vengono determinate il base all’età:

ALEVIN (0-5 anni): quota annuale 44 euro

INFANTIL (6-14 anni): quota annuale 92 euro

ADULTO: (maggiore di 15 anni): 185 euro l’anno.

Come partecipano i soci alla gestione del Club? Tramite l’Assemblea che può decidere:

  • l’approvazione del bilancio e del budget predisposti dalla junta;

  • l’eventuale modifica allo statuto;

  • la determinazione delle quote associative annuali;

  • l’autorizzazione alla vendita di beni appartenenti al club;

  • l’autorizzazione alla junta di stipulare contratti commerciali per lo sfruttamento del marchio durante gli eventi ufficiali;

(N.B. la “junta” è una sorta di consiglio direttivo)

Ma il momento decisivo è naturalmente l’elezione del Presidente, alla quale possono partecipare tutti i soci maggiorenni.

Si può candidare all’elezione di Presidente chiunque, purché presenti 5506 firme di soci a sostegno e soprattutto una fideiussione bancaria di 100 milioni di euro. I candidati presentano naturalmente un programma di sviluppo economico e tecnico ed è su questo che i supporter si basano per la scelta elettorale. Vale la pena di sottolineare che il contributo economico diretto (quote sociali) pur se consistente in assoluto, risulta piuttosto limitato rispetto al fatturato complessivo. Tanto per avere un’idea, il ricavo dei blaugrana del 2019-2020 è stato di 855 milioni e le quote sociali hanno prodotto 19 milioni, cioè il 2.22%. Quindi l’impatto vero e proprio di questa formula è appunto la scelta del Presidente, il che non mette al riparo da scelte poco popolari, come dimostra il recente tentativo del Barcellona di dar vita alla Super Lega. Il fatto è che il Presidente dura in carica quattro anni, e la sua “destituzione” è fenomeno piuttosto complesso.

In realtà più “piccole” i tifosi sono in grado di incidere molto di più, come nel caso dell’Athletic Bilbao, squadra basca, una delle sole tre (insieme a Real Madrid e appunto Barcellona) ad aver sempre militato nella prima divisione spagnola.

È noto il legame della tifoseria con le tradizioni e con l’”orgoglio basco”, tanto che da sempre si tesserano solo giocatori baschi. Un tentativo di cambiare questa realtà fu fatto nel 2010 quando fu indetto un referendum per poter aprire a giocatori “stranieri”: il 93% degli aventi diritto votò no.

Ma a proposito di radicamento sul territorio quello che più lo esprime è il modello tedesco.

Germania: la regola del 50+1

È questa la formula magica della partecipazione popolare al calcio in Germania, una regola che limita la presenza di investitori privati con diritto di voto. Il principio fondamentale stabilisce che un investitore “esterno” può acquistare al massimo il 50-1 delle azioni di una società, mentre almeno il 50+1 deve essere posseduto da società “no profit” in mano ai tifosi. A conferma che anche nel calcio niente può essere calato dall’alto improvvisamente, è bene sottolineare come la regola è la conseguenza di una tradizione tipica del calcio tedesco, caratterizzato da una grande partecipazione popolare, che si è sempre opposta alla tendenza generale di trasformare i tifosi in clienti (vi dice niente questa parolina?). In Germania infatti i club sono espressione del territorio, ed è agli abitanti che gli stessi devono rendere conto.

L’origine di questa norma risale al 19° secolo quando la borghesia fondò club che organizzassero varie attività, come lettura, ginnastica, canottaggio e anche il nascente calcio. Si trattava in pratica di associazioni simili a quelle calcistiche italiane fino agli anni sessanta

I club tedeschi rimasero organizzazioni no-profit controllate da membri votanti fino al 1998, quando la Bundesliga introdusse norme che permettessero di esternalizzare le attività calcistiche professionali, assumendo lo status di società a responsabilità limitata. Era possibile aprire ad investimenti privati “esterni”, a patto che il club originario trattenesse appunto il 50+1 % di azioni con diritto di voto. Ciò con l’obbiettivo di impedire l’acquisizione da parte di entità esterne, con il contemporaneo mantenimento della tradizione e della territorialità. Per fare un esempio, il Bayern ha ceduto l’8,33% delle quote ad Audi, Allianz e Adidas ma il restante 75% è saldamente in mano alla Bayern Munich AG e ai suoi membri, cioè le associazioni dei tifosi. Che naturalmente sono in gran numero per le principali società tedesche, raggiungendo anche le 200000 unità.

Come nel caso delle Spagna vale la pena di sottolineare che il controllo da parte dei tifosi non può superare certi limiti senza perdita di competitività. E il management deve per forza avere un curriculum importante. Per tornare all’esempio del Bayern, anche se eletto dai soci, presidente della società bavarese è dal 2019 Herbert Hainer che è stato amministratore delegato di Adidas e nel consiglio di amministrazione di Lufthansa.

La regola del 50+1 ha alcune importanti eccezioni, rappresentate dal Wolfsburg e dal Bayer Leverkusen, considerati club aziendali in quanto espressione di giganti quali Volkswagen e del gigante farmaceutico Bayer. Il potersi sottrarre dalla regola del 50+1 in quanto realtà aziendale ha creato anche una polemica non da poco. Infatti dal 2015 anche l’Hoffenheim ha ottenuto una deroga, in quanto il proprietario, Dieter Hopp, è fondatore e proprietario della “SAP” una società di software che ha avuto un enorme successo. Il ricchissimo Hop ha investito somme ingenti, tanto che l’Hoffenheim è arrivato ai vertici della Bundesliga. Ma questa modalità ha causato l’ostracismo delle altre tifoserie tedesche per, le quali la regola del 50+1 è irrinunciabile

IL 50+1 È INVIOLABILE”: nessun dubbio per la maggior parte dei tifosi tedeschi.

Il modello inglese

Attenzione, non si intendono le famose misure legislative che hanno permesso di sconfiggere il fenomeno hooligans (e al contempo hanno reso l’andare allo stadio abitudine da “ricchi”), ma la voglia dei supporter britannici di opporsi alla mercificazione dello sport più amato. Nella realtà calcistica inglese, all’inizio degli anni 2000 sono arrivati enormi capitali stranieri. Basti pensare ad Abramovic per il Chelsea, agli Emirati arabi per il Manchester City, alla famiglia Glazers (USA) per il Manchester United. Il fenomeno non si è più fermato e continua ancora oggi (vedi Newcastle). È indubbio che è aumentata la competitività del football d’oltremanica, che è diventato il primo per fatturato e tra i primi per i risultati nelle competizioni europee, ma è altrettanto vero che se n’è andato molto del fascino “romantico” che permeava il calcio inglese fino agli anni ‘80. Molti tifosi non hanno accettato il cambiamento ed è nato il fenomeno dei “supporter trust”, attualmente circa 160. Si tratta di associazioni per le quali vige la regola “una testa un voto” e nelle quali tutto viene deciso dai tifosi. Naturalmente ciò è possibile se la dimensione economica del club rimane limitata e i risultati contano fino ad un certo punto. Il caso più eclatante è senz’altro quello di Manchester. Non tutti i tifosi hanno apprezzato la nuova proprietà americana e hanno dato vita allo “United of Manchester”. Si gioca in uno stadio da 4400 posti e si frequentano le serie minori del calcio inglese, ma si è mantenuto un senso di “liberta” e autodeterminazione che non ha prezzo.

In conclusione si può dire che l’esempio inglese è emblematico di cosa possa significare una vera partecipazione popolare alla gestione societaria. Mente le squadre acquistate da stranieri, con immissione di notevoli capitali, possiedono stadi moderni e confortevoli, hanno raggiunto grandi risultati sportivi, e producono fatturati milionari, le squadre “proprietà” dei tifosi si devono accontentare di realtà calcistiche secondarie. Ammesso che lo siano, perché i tifosi respirano ogni fine settimana quell’atmosfera alla quale non volevano rinunciare.

Dopo aver passato in rassegna i diversi modelli nei quali i tifosi partecipano in vario modo e a diversi livelli alla gestione societaria, rimane da analizzare la realtà italiana. Ci sono squadre proprietà dei tifosi? Ci sono movimenti che vanno in questa direzione? Le istituzioni stanno proponendo una legislazione che permetta al fenomeno di espandersi? Sono le domande alle quali proveremo a rispondere nell’ultimo capitolo, previsto per il prossimo numero.

Alessandro Coppini – Viola Club Franco Nannotti

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