I TIFOSI POTEBBERO PARTECIPARE ALLA CONDUZIONE DELLA FIORENTINA?
(parte prima)
L’aspetto più importante del titolo è il punto interrogativo finale. Non è infatti scopo dell’articolo che segue identificare una modalità di partecipazione dei tifosi alle decisioni del management della Fiorentina, ma solo sollevare tale ipotesi. E citare alcuni esempi attuati da altre realtà europee.
Per chiarire meglio il quesito conviene partire dall’attuale partecipazione dei tifosi alla vita della squadra viola. Naturalmente la componente più importante è il sostegno degli appassionati non solo durante la partita, ma anche durante la settimana, quando le vicende della Fiorentina sono oggetto di infinite discussioni. Sono aspetti di quella passione senza la quale il calcio non esisterebbe. Nelle pieghe di questa passione si trovano modi molto indiretti ma altrettanto efficaci di influenzare le scelte societarie. I” borbottii”, le discussioni o le aperte “contestazioni” (anche se non gradite da questa proprietà) sono il sale stesso dell’esser tifosi e a volte influenzano la scelta dei giocatori e dell’allenatore (soprattutto la conferma o l’esonero di quest’ultimo in caso di risultati negativi).
Oltre a questo poco altro. Proprio di recente la società ha fatto arrivare agli abbonati un questionario tramite il quale fare una specie di censimento dei tifosi più fedeli, e chiedere alcune loro preferenze in merito alle facilitazioni più gradite, ai gadget più piacevoli, ai settori dello stadio preferiti e al perché di tale preferenza, e a molte altre cose. Ma tutte legate alla figura del tifoso da soddisfare come cliente, termine quest’ultimo che qualche anno fa causò una mezza rivoluzione e che oggi è stato completamente sdoganato.
Insomma non si riescono a trovare nelle cronache recenti, esempi di una partecipazione diretta alle decisioni societarie. Forse l’unica eccezione è stato la votazione online per scegliere la terza maglia e un concorso per disegnare per disegnare la quarta divisa. Un po’ poco ad essere onesti…
Ma c’è stato qualcosa di diverso nel passato? La Fiorentina è stata ameno un po’ dei suoi tifosi? La risposta è no se il quesito si riferisce a un aspetto meramente economico, ma c’è stato un periodo nel quale la città (o almeno una sua parte sufficientemente rappresentativa) decideva la vita della società e della squadra di calcio.
UNA TESTA UN VOTO
Dunque, fino a metà degli anni sessanta, la Fiorentina era costituita da un insieme di soci e cioè una Associazione o Società Sportiva. Per divenire soci non era necessario possedere capitali importanti ma era sufficiente pagare una quota d’iscrizione. Certo, esisteva una certa selezione perché per proporre la propria candidatura, la stessa doveva essere sostenuta da due persone che soci lo erano già, ma questa procedura non impedì che i soci effettivi fossero, secondo i periodi, tra i quattro e i cinquecento. Come accennato i soci non finanziavano direttamente le attività ma sceglievano il consiglio direttivo eleggendolo durante le apposite riunioni assembleari. Il presidente e i consiglieri avevano la maggiore importanza economica e quindi un notevole peso sull’andamento societario, ma restavano espressione della assemblea e potevano da questa essere rimossa. Vigeva cioè il principio “una testa un voto” che metteva i soci tutti sullo stesso piano. Le assemblee potevano trasformarsi in battaglie come avvenne nell’estate del 1951.
Lo racconta direttamente Rigoletto Fantappiè storico tifoso viola e socio dal 1946, come dimostra la tessera che mostrò durante un’intervista di alcuni anni fa.
“La sede era ancora in via Saponai e il presidente Befani aveva convocato l’assemblea dei soci per discutere l’eventuale cessione di Pandolfini alla Roma. La sede era in locali originariamente bui e malridotti e furono i tifosi stessi a imbiancare le pareti e portare le sedie per fare le riunioni. L’offerta dei giallorossi era enorme per l’epoca, sessanta milioni, ma il giocatore era molto amato dai tifosi e i soci si presentarono con l’accordo di dire no al presidente. Che evidentemente fu molto convincente nell’argomentare la bontà dell’affare, se è vero che al momento della votazione i più furono favorevoli alla cessione. Gli altri si sentirono traditi e in breve dalle parole si passò ai fatti e iniziò il lancio delle seggiole, lancio che dette il nome all’infuocata assemblea passata alla storia come “la battaglia delle seggiole”.
LE SOCIETÀ PER AZIONI: I SOLDI CONTANO DI PIU’
Negli anni sessanta il calcio, come molti altri settori del Paese, attraversò un vero e proprio boom, ma accanto al numero degli spettatori, allo spazio riservato da stampa radio e televisioni e al giro di affari, aumentarono anche i debiti. Fu allora che la Federazione Italiana Giuoco Calcio in accordo con i Ministeri delle Finanze del Turismo e dello Spettacolo, elabora un piano complesso ed articolato per risanare la situazione e porre le basi per un futuro più stabile. Il cuore di questo vero e proprio piano di salvataggio consiste in un prestito di oltre dieci miliardi per dieci anni, destinato alle società senza che fosse previsto un interesse passivo. Chiaro che di fronte a tali cifre le Istituzioni pretesero delle garanzie sulla stabilità delle società professionistiche, e il maggior numero di tale assicurazioni fu ritrovato nel dare alle società calcistiche la struttura della Società per Azioni. Perciò, nel corso della stagione 1966-67, gli organi federali deliberano lo scioglimento delle vecchie associazioni e la loro rinascita come società commerciali dotate di personalità giuridica. Si ritenne, forse troppo ottimisticamente, che l’introduzione di un rigido modello aziendale portasse i dirigenti delle varie società calcistiche alla scrupolosa osservanza delle norme di legge che regolano le società per azioni in tema di formazione e di pubblicità dei bilanci, con una conseguente moralizzazione delle gestioni calcistiche sottoposte ai controlli amministrativi e sindacali. Anche per le pesanti sanzioni civilistiche e penalistiche previste dalla legge, tra le quali il fallimento. Inoltre fu previsto che le neonate società per azioni fossero senza fine di lucro, obbligate cioè a rinvestire i propri eventuali utili nello sviluppo del calcio in particolare e dello sport in generale Naturalmente una buona parte dei soci vide in queste misure una riduzione del proprio ruolo, poiché le decisioni sarebbero state prese in assemblee nelle quali ognuno “contava” in base al numero delle azioni possedute. Firenze non fece eccezione e si svolsero assemblee infuocate che si opponevano a tale rivoluzione. Fu necessario addirittura un intervento di Artemio Franchi, che proprio in quegli anni divenne presidente della FIGC, dopo essere stato dirigente viola, per convincere i soci della bontà e della ineluttabilità della scelta.
Così in un’assemblea straordinaria del 21 giugno 1967 assumeva la sua completa fisionomia la Fiorentina S.p. A.
Naturalmente i soci avevano la possibilità teorica di acquistare azioni, ma è chiaro che alla passione (e talora alle competenze) non sempre corrispondevano identiche possibilità economiche. Inoltre, fatto da tener presente quando si parla con troppa facilità di azionariato popolare, c’è da tener presente che alla fine dell’anno, nel caso ci siano delle passività i soci sono chiamati a “ripianarle”, con un aumento di capitale da effettuare in base al numero di azioni possedute. Insomma per tutta una serie di fattori il numero dei soci diminuì costantemente, e col passare degli anni potere economico, rappresentativo e decisionale si concentrarono nelle persone degli azionisti di maggioranza. Tutto rimase invariato nelle varie gestioni, fino a quando la società non passò, nel 1980, nelle mani della famiglia Pontello.
PROVE DI AZIONARIATO POPOLARE
La famiglia, guidata dal Conte Flavio, era una delle più ricche a livello non solo fiorentino, operando con successo nel campo delle costruzioni. Le ambizioni non mancavano e nemmeno la voglia di confrontarsi con la più titolata società italiana, la Juventus, guidata dall’importante e potente famiglia Agnelli, dal Conte Pontello definita con umorismo pungente, una famiglia di Metalmeccanici. Con chiaro riferimento alla FIAT, della quale gli Agnelli erano proprietari. La squadra viola raggiunse ottimi livelli e il duello con la Juve raggiunse il culmine nella stagione 1981-82, con il discusso secondo posto dei viola, quello per capirsi del “Meglio secondi che ladri!”
Nella stagione 1983-84, durante la campagna abbonamenti, ci fu un fatto importante in termini di apertura al cosiddetto azionariato popolare.
Il documento qui riportato si riferisce a quell’iniziativa. Difficile dire se per lungimiranza e voglia di rendere i tifosi parte attiva della vita societaria o per un semplice tentativo di “raggranellare soldi”, nella stagione 1984-85 fu deciso di far partecipare gli appassionati alla costituzione del capitale sociale. In particolare si programmò un aumento di capitale da realizzarsi sia tramite acquisto di azioni sia attraverso quello di obbligazioni. Le prime avevano un prezzo di 15000 lire ciascuna, mentre le seconde si acquistavano al prezzo di 150000 lire. Naturalmente le azioni avrebbero avuto in seguito un prezzo di mercato sancito dall’andamento della società e perciò (in questo caso specifico) da quello della squadra, mentre le obbligazioni, a scadenza quinquennale 1983-88, avevano una rendita del 7,5% annuo, oggi cifra inconcepibile, al tempo piuttosto normale. Per la precisione va specificato che il prestito obbligazionario fu proposto con un obiettivo specifico, e cioè la costruzione del Centro Sportivo che doveva sorgere nell’area di Santa Brigida. Insomma un’iniziativa tesa a rendere più direttamente partecipi i tifosi alla conduzione societaria.
Il piccolo ma decisivo particolare è rappresentato dal fatto che l’acquisto era obbligatorio per chi avesse voluto confermare o acquistare un abbonamento di poltrona o di “livello” superiore. In pratica, al prezzo dell’abbonamento si dovevano aggiungere un milione e duecentomila lire, quasi 600 euro dei nostri giorni. Ma non è questo il problema, perché tutto sommato la società in quella stagione fece sforzi economici notevoli acquistando Socrates, e la squadrar si classifica al 9° posto. Il problema vero fu che l’iniziativa non ebbe peso specifico sulla conduzione della società, se si esclude ovviamente la possibilità che gli azionisti ebbero di partecipare alle assemblee. In questo senso il principale limite fu rappresentato dal numero troppo piccolo di azioni possedute dai tifosi. In ogni caso l’iniziativa non ebbe alcun seguito e con la cessione alla famiglia Cecchi Gori, di azioni e obbligazioni non se ne parlò più.
PRIMI ANNI 2000: IL TEMPO DELLE PROMESSE
Ne passa di acqua sotto i ponti dell’Arno, e a dir la verità passa anche la Fiorentina. Nel senso che purtroppo nel 2002 la ACF Fiorentina viene dichiarata fallita. Come è noto viene fondata ex-novo una società che non deve avere traccia di continuità con la vecchia gestione, e anche il nome viene cambiato in “Florentia Viola”.
Come è normale i nuovi proprietari fanno tante promesse (alcune peraltro mantenute) e tra queste c’è anche quella di introdurre l’ormai famigerato azionariato popolare. Una promessa quasi “obbligatoria” dato che l’allora Sindaco di Firenze, Leonardo Domenici pone questo aspetto come condizione irrinunciabile agli acquirenti della neo-costituita società, nata sulle ceneri dell’AC Fiorentina. Ecco come la stampa (“La Repubblica” cronaca di Firenze) e il Comune di Firenze (comunicato stampa sul sito del Comune) riportavano la notizia il 2 agosto 2002:
“Sarà riservata all’azionariato popolare una significativa quota di minoranza della nuova società “Fiorentina 1926 Florentia” che stamani è stata affiliata alla Federazione Italiana Giuoco Calcio. L’ha annunciato oggi il sindaco Leonardo Domenici, da ieri presidente della nuova srl, incontrando i giornalisti insieme all’assessore allo sport Eugenio Giani. “Dopo la costituzione della società – ha detto il sindaco – siamo ora alla seconda fase del progetto: individuare il modello societario che gestirà la Fiorentina. Il percorso che abbiamo intrapreso è il più possibile chiaro, lineare e trasparente. Oltre che rapido: è nostra intenzione chiudere questa fase entro la prossima settimana. Ci sono infatti tempi strettissimi, concordati con il presidente della Figc Franco Carraro, che voglio ringraziare per l’apprezzamento manifestato per la nostra iniziativa”. “Utilizzando prestigiose competenze e consulenze della nostra città – ha proseguito Domenici – stiamo elaborando un manifesto di partecipazione alla società “Fiorentina 1926 Florentia” che renderemo noto lunedì prossimo. In queste ore, stiamo verificando grande interesse intorno a questa iniziativa, interesse che però dovrà trovare concretezza proprio nell’adesione al manifesto, che sarà elaborato in modo da offrire garanzie di impegno a lungo termine, risorse adeguate e assoluta affidabilità. In particolare, riteniamo condizione necessaria per chi diventerà socio di maggioranza, riservare una significativa quota all’azionariato popolare. Dunque anche ai tifosi e ai personaggi che già hanno manifestato interesse in questo senso. È infatti giusto e necessario – ha aggiunto il sindaco – tenere conto della necessità di aprire un rapporto diretto con la città, che esce traumatizzata dalle ultime vicende”. Il sindaco ha infine rilevato come la città “abbia confermato lo spirito tipicamente fiorentino: discute e polemizza, ma nei momenti più critici trova sempre unità d’intenti”.
Sembra che questo obbiettivo stia particolarmente a cuore alla nuova proprietà, tanto che l’anno dopo quando l’allora Presidente Gino Salica e Diego Della Valle indicarono l’Azionariato popolare come obiettivo importante da raggiungere, con un iniziale 19% delle azioni a disposizioni di tifosi e realtà locali.
Com’è andata a finire lo sappiamo tutti. Viene perciò da chiedersi se sia ancora possibile ipotizzare una partecipazione diretta dei tifosi alla gestione delle società e al raggiungimento degli obbiettivi sportivi, e se esistano realtà calcistiche che contemplino questo aspetto.
(fine della prima parte)
Alessandro Coppini – Viola Club Franco Nannotti