Uno dei tanti meriti del mensile Alé Fiorentina era la capacità di promuovere, tra i tifosi, la conoscenza della nostra storia. Lo faceva con il lavoro, artigianale, ma validissimo, di Lorenzo Magini e la sua storia della Fiorentina a puntate arricchita da un bellissimo corredo fotografico. Grande attenzione veniva dedicata ai nostri momenti storici e ai suoi protagonisti. La galleria dei Campioni del 1955-56, con la foto e la descrizione delle caratteristiche di ognuno, era uno degli appuntamenti fissi dei primi anni di vita della rivista ufficiale dei Viola Clubs.
Con quei giocatori abbiamo raggiunto il punto più alto della nostra storia. A trent’anni dalla sua fondazione la squadra viola vinse lo scudetto con dodici punti di vantaggio sulla seconda, stabilendo un nuovo record (maggior vantaggio sulla seconda classificata) e, ricordiamoci che a quel tempo le vittorie valevano due punti!
Sono tanti i record stabiliti in quella stagione, purtroppo quello dell’imbattibilità svanì negli ultimi minuti della partita conclusiva a Marassi contro il Genoa. Il Corriere dello Sport titolò: “i viola, avversati dall’arbitro, sono sconfitti negli ultimi minuti”. Lo scellerato, e provocatorio, arbitraggio di Jonni condannò i gigliati ad un’immeritata sconfitta che dai Campioni venne subita come una macchia.
Avendo vinto lo scudetto con grande anticipo, i gigliati avevano in testa un solo obiettivo: quello dell’imbattibilità, volendo concludere il campionato con un percorso netto che, in serie A, non era mai riuscito a nessuno.
I tifosi che avevano seguito la Fiorentina a Genova con l’autocolonna (ritrovo in piazza Santa Maria Novella alle 5.30, partenza alle 6, arrivo in Piazza della Vittoria ore 12, corteo nel centro di Genova, pranzo veloce e tutti allo stadio alle 14.30) restarono delusissimi. Con i pullman il prezzo del viaggio A/R era di 1.800 lire; i biglietti stadio costavano 600 lire nei popolari e 1.000 lire nei distinti.
I cinquemila tifosi che avevano formato la gigantesca autocolonna per seguire la squadra tenevano in serbo mille bengala (viola e tricolori) da lanciare in campo alla fine della partita per salutare i campioni d’Italia.
Tanta fu la delusione e la rabbia per l’ingiustizia perpetrata dall’arbitro Jonni che nessuno pensò di accendere i bengala. Questo il racconto fatto da Nuto Innocenti, un maestro del giornalismo, sul settimanale “Il Campione”: “gli sportivi fiorentini, giunti a Genova con una lunga autocolonna viola per festeggiare la loro squadra campione d’Italia, non hanno usato i mille bengala tricolori che dovevano lanciare a fine partita sul terreno di gioco. La delusione, il dispetto, la stizza, che hanno provato negli ultimi quindici minuti della gara, il risentimento per l’arbitro Jonni, unico responsabile della ‘beffa di Marassi’, ha fiaccato fino nelle radici il loro morale. Nessuno si è ricordato di avvicinare il fuoco alla miccia del primo bengala, che avrebbe dovuto essere il segnale di comando per incendiare lo stadio di entusiasmo e di gioia. Jonni ha rovinato tutto, ma questo è il meno, se con la sua cervellotica decisione l’arbitro non avesse provocato quella piccola tragedia di disperazione che i calciatori gigliati hanno veramente vissuto negli spogliatoi. Perché la sconfitta proprio all’ultima partita di campionato ha voluto dire per la Fiorentina la fine di quel magnifico sogno, che sembrava ormai una realtà concreta, e che s’identificava con l’imbattibilità assoluta lungo tutto il torneo”.
Quella squadra venne salutata dalla stampa nazionale ed estera con un paragone che non lasciava spazio alle interpretazioni: è tornato il “Grande Torino”, l’invincibile squadra granata perita nella tragedia di Superga. Una valutazione unanime che era il frutto dell’enorme superiorità mostrata dalla Fiorentina sugli avversari e l’impressione ricavata da meccanismi di gioco che sfioravano la perfezione. Tutti, compresa la piazza, pensavano che quella squadra avrebbe dominato per almeno cinque anni – le cose andarono diversamente, ma ricordiamo che a quell’impresa seguirono una finale di Coppa dei Campioni persa in casa del Real Madrid e quattro secondi posti consecutivi.
La Fiorentina scudettata era stata il prodotto di una doppia innovazione: quella organizzativa, impressa dal presidente Befani e dal suo Consiglio direttivo, che portò ad un’organizzazione di tipo industriale, superando l’approssimazione che caratterizzava le società di calcio; quella tecnica, imposta da Fulvio Bernardini, grande assertore del WM, il “sistema”, a cui però seppe dare dei correttivi vincenti (lo spostamento del mediano Chiappella a marcatore di un attaccante avversario e l’utilizzo di Prini come ala tornante, così da dare maggiore equilibrio e copertura alla squadra), tanto da far parlare di “mezzo sistema”, come ha spiegato e scritto magistralmente Sandro Picchi.
La Fiorentina aveva, ormai da anni, un fortissimo blocco difensivo, cresciuto già con Luigi Ferrero allenatore. Erano, fino ad allora, falliti i ripetuti tentativi per dare forza offensiva alla squadra. Per il campionato 1955-56 Bernardini volle fortemente l’ala destra del Brasile ai Mondiali di Svizzera 1954, Julinho, andando a San Paolo ad acquistarlo assieme al vicepresidente Luigi Pacini.
Inoltre, arrivò dal Cile, l’oriundo Miguel Angel Montuori, nato in Argentina, ma di origine italiana. Contemporaneamente, Fulvio non ebbe esitazioni nel promuovere il giovanissimo Giuliano Sarti in porta, cambiando, dopo sette anni, l’estremo difensore (Nardino Costagliola, amatissimo dal pubblico).
Gli inserimenti di Julinho e Montuori e l’invenzione di Prini ala tattica, per sopperire all’infortunio dell’ala sinistra Bizzarri, sono passati alla storia del calcio italiano, ma Bernardini ha fatto, in quegli anni a Firenze, molto di più: ha affinato e snellito il “sistema” ed ha indicato al calcio italiano una strada alternativa al catenaccio.
Queste due grandi innovazioni, organizzativa e tecnica, furono tenute insieme ed esaltate da una grande figura di direttore: Luciano Giachetti, scelto da Befani ed arrivato alla Fiorentina nel luglio 1952. Giachetti, nell’immediato dopoguerra, era stato protagonista della nascita della Sestese, arrivata in pochi anni in serie C. Luciano non aveva esperienza nella direzione di grandi squadre, ma aveva fatto una lunga gavetta nella società di Sesto Fiorentino. Era un grandissimo conoscitore dei regolamenti e delle norme federali, una conoscenza che gli aveva fatto conquistare il soprannome di “re dei ricorsi”. Le cronache dell’epoca raccontano che avesse vinto esattamente diciotto reclami presso gli organi federali! Proprio la sua preparazione e la competenza sui meccanismi normativi, anche non scritti, che regolavano il mondo del calcio furono alla base della scelta compiuta da Befani e dai suoi collaboratori. Una scelta vincente.
In quegli anni il colore viola diventò anche azzurro.
La Nazionale assunse come base organizzativa Firenze, per i ritiri e le preparazioni.
Firenze, alla metà degli anni Cinquanta, è la capitale del calcio, dal punto di vista delle strutture, del gioco, ma anche degli uomini. Fulvio Bernardini, allenatore della Fiorentina, fa parte della Commissione squadre nazionali, assieme ad Alfredo Foni e a Beppe Bigogno, ex calciatore e allenatore viola, che manteneva la propria casa a Firenze, allenatore della Nazionale B.
In attesa dell’apertura del Centro Tecnico di Coverciano, fortemente voluto da Luigi Ridolfi, fondatore della Fiorentina e all’epoca presidente del Centro Tecnico Federale, gli azzurri si radunarono al Saltino di Vallombrosa per preparare le doppia trasferta sudamericana (contro l’Argentina e il Brasile) dell’estate 1956.
Il 2 giugno la segreteria della FIGC comunicò: “Per le partite che la nazionale italiana disputerà in Sudamerica sono convocati per giovedì 7 giugno alle 16.30 allo stadio Comunale di Firenze per proseguire per Saltino: Fiorentina: Cervato, Chiappella, Gratton, Magnini, Montuori, Orzan, Prini, Sarti, Segato, Virgili. Bologna: Cervellati, Pivatelli, Pozzan. Juventus: Viola. Lazio: Muccinelli. Napoli: Posio. Sampdoria: Bernasconi e Farina. Allenatore federale: Foni. Massaggiatore: Farabullini”.
In poche parole: il riferimento tecnico della Nazionale era la Fiorentina: tutti i suoi giocatori titolari, tranne, ovviamente, il brasiliano Julinho, furono convocati e con loro, immancabile, il massaggiatore.
Nella rosa della Fiorentina 1955-56 la Toscana vantava quattro uomini: il fiorentino Prini, nato a Le Sieci nel comune di Pontassieve; i due giovani valdarnesi: Bartoli di San Giovanni e Scaramucci di Montevarchi; il pistoiese Ardico Magnini. Quattro campioni venivano dal Friuli: Gratton, Virgili, Orzan e Toros, gli ultimi due addirittura dallo stesso paese. Vi erano poi due lombardi, Chiappella e Mazza, e due veneti, Cervato e Segato. Completavano il gruppo: Sarti (emiliano), Carpanesi (ligure), il marchigiano Bizzarri, il piemontese Rosetta, Montuori nato a Rosario in Argentina e Julinho il primo brasiliano della storia viola, che abitava in via Pietro Tacca nella casa che era stata di Gunnar Gren. Bernardini abitava in via dei della Robbia, con la moglie e le due figlie Clorinda e Mariolina. Chiappella abitava in via del Ponte all’Asse; Montuori in via Gino Capponi; Cervato in viale Ugo Bassi ed aveva aperto anche un negozio di calzature. Diventarono tutti “fiorentini” e tanti di loro, finita la carriera scelsero di vivere a Firenze: Sarti, Magnini, Cervato, Chiappella, Orzan, Segato, Carpanesi, Gratton, Virgili, Montuori e Prini.
A quella squadra, a quel campionato il Museo Fiorentina ha dedicato un libro (Campioni 1955|56) che racconta tutto di quella squadra: la dirigenza, la grandi figure di Enrico Befani e Fulvio Bernardini, il lungo processo di costruzione della squadra. La stagione 1955-56 viene descritta in tutti i suoi momenti: dal calciomercato al ritiro ad Abbadia San Salvatore, dalle amichevoli estive all’andamento del campionato, giornata per giornata, alle schede dei diciotto protagonisti dell’impresa. Viene descritto, accompagnato dalle fotografie del tempo, il calcio nazionale ed europeo dell’epoca, il rapporto tra giocatori viola e Nazionale, la Firenze degli anni Cinquanta. Sono riprodotti testi del tempo e alcuni nuovi saggi a partire da quello di Raffaello Paloscia sulla stampa sportiva fiorentina e di Sandro Picchi sul mezzo sistema di Bernardini.
Un libro che può essere l’occasione, anche nei Viola Club, per far conoscere meglio questa pagina fondamentale della nostra storia. Buona lettura,
Massimo Cervelli – Commissione Storia del Museo Fiorentina