Gli scudetti perduti dei viola

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Pubblichiamo la prima di una serie di testimonianze scritte da Gianni Bonini, storico tifoso viola e appassionato della storia della Fiorentina, con la quale e per la quale ha vissuto gioie e dolori in prima persona, con la passione immutata del ragazzo di Campo di Marte, come ben traspare nella prima parte della storia degli scudetti perduti.

Gli scudetti perduti dei viola

CAPITOLO 1

Mille violini suonati dal vento

Tutti i colori dell’arcobaleno

Vanno a fermare una pioggia d’argento

Ma piove, piove sul nostro amor

Ciao, ciao, bambina, un bacio ancora

E poi per sempre ti perderò

Come una fiaba l’amore passa

C’era una volta, poi non c’è più

Cos’è che trema sul tuo visino?

È pioggia o pianto? Dimmi cos’è

Vorrei trovare parole nuove

Ma piove, piove sul nostro amor

Ciao bambina

Ti voglio bene da morire

Ciao

Ciao

Ciao, ciao, bambina, non ti voltare

Non posso dirti “rimani ancor”

Vorrei trovare parole nuove

Ma piove, piove sul nostro amor

(Domenico Modugno, Festival di Sanremo, 1959)

Sì dei viola, perché la Viola dei commentatori cool del Calcio che vorrebbe essere entertainment, non c’entra niente con la nostra storia. Così come la leggenda del lavaggio sbagliato delle maglie biancorosse. Che è invece il colore in piena primavera delle nostre colline, il giaggiolo, l’iris florentina che macchia di sfumature viola il verde intenso della terra uscita dall’inverno. Originaria della Mesopotamia è la conferma botanica della tesi del grande filologo Giovanni Semerano, pugliese di nascita ma fiorentino d’adozione, sulle radici semitiche per irradiazione della civiltà euro-mediterranea. Greci ed Anassimandro col suo ápeiron compresi che sta per terra, polvere e non per infinito. Questa è un’altra storia ancora più complicata da raccontare e che ha a che fare con il Vecchio Testamento e con i filosofi greci presocratici. Nicolò Carosio l’avrebbe però afferrata al volo.

Più semplicemente nel 1929 la scelta fu dell’indimenticabile Marchese Luigi Ridolfi che cercava un colore del tutto inedito che sottolineasse come la fusione tra due componenti originari (Libertas e CS Firenze) avesse dato luogo ad un composto del tutto nuovo (la Fiorentina).

Ce lo raccontano sulla base di una testimonianza assolutamente credibile Sergio Salvi ed Alessandro Savorelli, due storici e semiologi veri, in un bel libro edito da Le Lettere sulla storia dei colori e del calcio a Firenze e in Toscana, Viola & Co., di cui riporto fedelmente le righe che ci interessano più strettamente a pag.154.

Fu l’allenatore della squadra, l’ungherese Károly Csapkay, già giocatore della Libertas, che intervenne osservando: “Cercate un colore speciale? Ebbene, ce l’avete proprio davanti a voi…” e indicò i giaggioli che fiorivano numerosi sotto le mura del piazzale. “Guardate come sta bene e come risalta sul verde del prato quel viola: pensate all’effetto delle maglie viola sul verde del campo di gioco!”

Già il Marchese Ridolfi, dimenticato nell’immediato dopoguerra. Il babbo, vero primo tifoso viola, che era stato partigiano davvero con tanto di stella rossa sulla bustina militare, mi raccontava indignato che nell’immediato dopoguerra non gli avevano ridato il posto in tribuna per i suoi trascorsi fascisti. Come se fosse una colpa l’aver contribuito alla bellezza architettonica della Firenze degli anni trenta, l’ultima stagione urbanistica di pregio, leggetevi i libri dell’indimenticabile architetto Carlo Cresti che, mi dicono, del Melandri di Amici Miei non avesse solo il riconoscimento facciale. Una colpa replicata con il Centro Tecnico di Coverciano, realizzato frugandosi persino in tasca, laddove dopo i Pontello, condannati per l’eternità dalla vendita di Baggio, la classe dirigente si è distinta soltanto per il sussiego ostentato ed il braccino corto, chiusa dietro il bugnato severo degli aviti palazzi, con qualche puntata matrimoniale dai cugini inglesi. Firenze non è una città molto generosa, ha di recente chiosato Alexander Pereira, Soprintendente del Maggio Fiorentino.

Mario Cecchi Gori, la retrocessione gli fu fatale, e il figlio Vittorio, la politica è la più nobile delle arti secondo Aristotele ma anche sangue e merda secondo un vecchio autorevole ministro della Prima Repubblica, benché di ceppo fiorentino si erano formati e, soprattutto il secondo, venivano dal generone cinematografico della Capitale, tra Cinecittà ed Hollywood.

E forse i nuovi padroni del calcio potrebbero, oltre che riverniciare ogni tanto le inferriate di recinzione, murare all’entrata di Coverciano, non è mai troppo tardi e del resto a lui era stato intitolato, una bella targa di bronzo come la statua del calciatore dello scultore Mario Moschi, con il nome per esteso di questo signore, un po’ pingue, di una delle famiglie che hanno scritto la grande storia di Firenze: Luigi Ridolfi Vay da Verrazzano

Bene, toltomi per l’ennesima volta il sassolino dalla scarpa, speriamo sia l’ultima nel merito ma nutro parecchi dubbi perché l’ignoranza al tempo dei social media è davvero resiliente, partiamo dal primo degli scudetti perduti dei viola appunto, cioè le occasioni sfumate sul filo di lana o quasi, un po ’per demerito nostro e un po ’per il destino cinico e baro. Ma io a quest’ultimo ci credo poco o punto.

Cominciamo con quella che mi ha lasciato un sapore agrodolce indelebile più che un ricordo nitido. Parlo dell’annata 1958-59, la prima di Hamrin e del record dei 95 goal realizzati, 26 quelli di Uccellino, 22 quelli di Montuori, i 14 di Lojacono, i 10 di Petris e i 5 dei campioni Cervato e Segato.

Galeotta fu la sconfitta di quel 26 aprile in casa con la Spal di Oltramari (49’) e Morbello (78’), per giunta in contropiede dopo essere andati in vantaggio con Lojacono su rigore (37’). Una storica bestia nera la Spal, Società Polisportiva ARS et Labor, acronimi di altri tempi, con la sua maglia così stupendamente british, celeste con le mezze maniche bianche.

Sandro Picchi nei suoi Giganti della Fiorentina dipinge un quadro toccante dell’ingenuo rancore del giovanissimo tifoso – ma chi di noi quel giorno nefasto l’avrebbe vissuto diversamente! – che la sera stessa del suo lutto disperato vide Robotti salire le scale di un palazzo dove si dava una festa danzante accompagnato dalla sua bella fidanzata.

Ma già il Milan due settimane prima di batterci, il 12 aprile, è il vocabolo appropriato, per 3 a 1, ci aveva ridotto a giuocare in dieci il secondo tempo per l’infortunio a Montuori dopo l’autorete iniziale di Robotti, dal che si prova che andò tutto storto e che il destino cinico e rio è sempre molto relativo.

Si rammaricava Beppe Chiappella in uno dei più bei libri di testimonianze sulla Fiorentina raccolte da Fabrizio Borghini, La Grande Fiorentina. 1955-1960: gli anni d’oro della squadra viola: Il campionato 1958/59 lo perdemmo in casa con il Milan a poche partite della fine del campionato; forse, se per sostituire me e Cervato ci fossero stati giocatori un po’ più navigati di quelli, seppur bravissimi ma ancora giovani, che ci sostituirono, quella partita non l’avremmo perduta. Più che il valore tecnico in quel tipo di partite conta il valore morale.

Determinante, e non solo a mio avviso, fu la mancanza di un altro Prini, l’invenzione di Bernardini dello scudetto, complice o meno l’infortunio di Bizzarri, una maggiore copertura a centrocampo che il Dottore ritirò fuori nello spareggio del 7 giugno 1964 vinto dal Bologna all’Olimpico contro l’Inter del Mago, schierando addirittura un terzino Capra al posto dell’infortunato Pascutti. Una mossa che in qualche modo avrebbe fatto lo stesso e che del resto adottò De Sisti nel campionato più amaro della nostra storia, quello perso a Cagliari nel 1982, schierando Massaro con il numero 11 sulle spalle. Più forte del Maurilio delle Sieci e del difensore felsineo ed anche di Gianfranco Petris, che pure è stato un giocatore duttile ed importante per la Fiorentina.

Zio Lajos, l’ungherese Czeizler paladino sincero del gioco d’attacco, ma non era più il tempo del calcio danubiano, questa cosa non la vide, fatto sta che, come chiosa ancora Chiappella, prima bastava fare un goal e poi era difficile che te lo rifacessero, invece dopo bisognava farne almeno due.

Finimmo a tre punti dalla vittoria e Befani arrivò per la terza volta consecutiva secondo. Ma del nostro parleremo nel prossimo capitolo.

Intanto ciao ciao bambina, come cantava a Sanremo quell’anno Domenico Modugno, riecheggia ancora nella mia mente come il sogno infranto dell’adolescenza, una iniziazione, non avevo nemmeno 9 anni, che fu una delusione cocente impressa forever.

Gianni Bonini – Viola Club Franco Nannotti

Per vedere Modugno a Sanremo 1959 clicca qui sotto

https://youtube.com/watch?v=uBeDdLsrn8o&feature=share

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