Gli scudetti perduti dei viola – capitolo 4

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Capitolo 4 ed ultimo

A Firenze nel ‘26 fiocco viola perché nasce lei

Fiorentina che passione, che ciclone viola, chi ti ama vincerà!

Alè Fiorentina col tuo scatto bruciante

fai vedere alla gente chi sei, vincere è importante

e vai Fiorentina, maledetta Toscana

tira fuori la grinta che hai che la rete non è lontana!

Le ragazze del ‘26 s’innamorano se gioca lei

Fiorentina che passione, che ciclone viola, chi ti ama vincerà.

Ovvia Fiorentina, la vittoria ti chiama

ed è un bischero chi non ti ama perché

quale squadra è migliore di te.

E vai Fiorentina, dacci dentro che non sei sola

sotto i nostri giubbotti lo sai batte un cuore viola!

Alè Fiorentina col tuo scatto bruciante

se tu vinci lo sai che si fa?

Si festeggia con canti e champagne!

E vai Fiorentina, maledetta Toscana

tira fuori la grinta che hai che la rete non è lontana!

(Inno ufficiale della Fiorentina 1981-82)

A Marcello Giannini proprio non gli andava giù. Quella mattina, di un giorno che non ricordo in un tempo a noi vicino, ai Santi Fiorentini in via Centostelle, già Cassia vetus, quello scudetto perduto a Cagliari in una domenica quasi estiva del 1982 continuava a stargli di traverso e non lo digeriva a distanza di più di vent’anni. Lui, totus florentinus come Michelangelo, testimone epocale che il 4 novembre 1966 aveva fatto ascoltare all’Italia ed al mondo intero dalla finestra della vecchia sede Rai di S. Maria Maggiore il brontolio prepotente dell’Arno che tracimava nel centro storico, era ancora arrabbiato, per usare un eufemismo. Ci aveva creduto e chissà quanto aveva patito la domenica nello sforzo di apparire cronista neutrale, ma la si avvertiva questa sofferenza, almeno io la vedevo a differenza di quella di Paolo Valenti, col grido alè alè viola strozzato in gola. Abbozzai qualche ragionamento tecnico ma poi fui sopraffatto anch’io dall’amarezza e perché no dal rancore per quell’ultimo grande scudetto perduto. Quello del 1982. La stagione 1983-84, stroncata si può ben dire insieme alla gamba di Antonio, e quella famosa del Carnevale di Edmundo del 1998-99, si persero per strada ad opera della solita Juve e del Milan che pure avevamo sonoramente battuto alla terza di campionato a San Siro per 3 a 1 con un Batistuta irresistibile.

Quel 16 maggio non andai a Cagliari. Forse perché mi faceva fatica fare la traversata via mare, forse per vigliaccheria perché l’istinto mi segnalava il rischio di una delusione mortificante. Quell’anno calcistico mi aveva visto spesso presente in trasferta a partire dalla sconfitta in Coppa Italia a Genova, l’unica in tutta la stagione in cui Vierchowod smarrì il suo attaccante, e poi a Bologna, di nuovo a Genova, a Napoli, a Milano.

Facevo coppia fissa con Mauro Pratesi. Fondatore indimenticabile di Pane e Vino, la storica Enoteca di via Poggio Bracciolini, chiamato dagli amici maestro, tifoso viola dalla nascita, animatore della leggendaria, per chi come me ne ha fatto parte, squadra del Bar Giovanna della vecchia via Sirtori, splendide maglie verdi d’antan rammendate con qualche buco sotto le ascelle. Autore di aforismi inarrivabili sul filo di un surrealismo alla Petrolini. Ne voglio ricordare solo uno raffinatissimo per il campionato 1972-73, tutto giuocato sull’assonanza e su un’ironia ignote ormai alle folle di Dazn che si specchiano nel tabellone luminoso per un attimo di visibilità alla Andy Warhol: “meglio un uovo Roggi che una gallina Sormani!”

Insieme seguimmo la partita alla radiolina, camminando compulsivamente in su e giù tra il viale dei Mille ed il cinema Stadio, sicuri che a Catanzaro la Juve avrebbe vinto in un modo o nell’altro, anzi in un solo modo. E così andò.

Eppure alla penultima giornata avevamo riagganciato la testa della classifica piegando l’Udinese e grazie ad un inspiegabile miracolo, non so come chiamarlo io che credo nella realpolitik e nella ragione di stato, lo 0-0 del Napoli in casa della Juve. Calcio mistero senza fine bello, per citare il mio amico Francesco Salvi rubando le parole a Gozzano.

Ed allora perché non vincemmo a Cagliari? La verità è che avevamo vinto, lo sappiamo, il goal di Graziani era assolutamente regolare. L’altra verità, al di là del caldo che ti fiacca e ti illanguidisce e dell’agonismo disperato del Cagliari, è che la cifra del nostro giuoco era quella. Un assetto quadrato ma prudente che aveva dovuto fare a meno del valore aggiunto Antognoni per quattro mesi, il cui pieno recupero fisico e psichico non poteva essere immediato. Condizione riacquistata ai mondiali senza però essere risarcito dalla Fortuna che evidentemente non aiuta gli audaci. Ricordo perfettamente la scena al ritorno a Genova, la seconda del rientro di Giancarlo, quando quasi a voler ripetere il dramma una palla vagante a metà partita finì tra Antonio e Martina ed ambedue si ritrassero istintivamente, tenendosi lontani dal contatto. Per inciso ho un brutto ricordo di quel viaggio faticoso per raggiungere Marassi, dove stemmo sempre in silenzio, un clima ostile come se l’incidente pauroso dell’andata fosse successo a parti inverse.

Non ho niente da aggiungere a questo proposito a quanto scrive il Museo Fiorentina su quel 22 novembre 1981 nel nuovo splendido volume, un lavoro accurato ed intelligente, come raramente si vedono oggi che l’entertainment ad ogni costo ha ucciso l’informazione. Sollevandomi dal ritornare sui particolari di quell’annata sfortunata.

Fu vera sfortuna? Ho già parlato dell’assetto dato da De Sisti alla squadra, che a distanza di quarant’anni sono in grado di apprezzare ancora di più. L’invenzione di Massaro alla Prini dette equilibrio e rafforzò la copertura di una buona difesa, dal miglior Galli, in su alle spalle di Pecci, notevolissimo fu anche il contributo di Sacchetti, in cui giganteggiò Vierchowod. La partita del 25 aprile a Napoli, 16 ore complessive di viaggio in pullman, la tenne aperta sotto l’acqua soprattutto lui fino all’82º, anche se uno sgambetto sesquipedale incredibilmente ignorato in area ai danni di Casagrande la poteva far girare prima. A Milano con l’Inter in una bella giornata di sole, alè alè viola c’era scritto sul commovente striscione in bella mostra per noi che marciavamo appeso ad un cavalcavia autostradale, la firma era quella dei viola club del lodigiano, soffrimmo molto senza Pecci, Antognoni e Vierchowod. L’infortunio di Antognoni ci privò di quella postura offensiva che era il cuore stesso della concezione della squadra. Doveva essere il suo anno con una squadra finalmente all’altezza, la sua assenza insieme a quella pesantissima di Eraldo nelle ultime cinque giornate risultarono determinanti. A Milano con l’Inter, ma anche a Napoli al di là del risultato e nell’ultima a Cagliari giuocammo come eravamo stati costretti a fare dopo la partita col Genoa dell’andata. Miani disputò un gran bel campionato ma non era stato preso per quello che aveva fatto al di là di ogni più ottimistica previsione, segnando anche reti decisive. Ed infatti due anni dopo non si ripeté. A Bertoni e Graziani non si può imputare niente, ci fecero sognare e l’astucia dell’argentino nell’evitare il contatto con il portiere del Cagliari prima che la palla giunga a Graziani, paradossalmente toglie a Mattei ogni alibi.

Io non credo alla storia dello spareggio, tipo Bologna 1964, da evitare per l’imminenza dei Mondiali. In questo caso bastava che la Juve vincesse col Napoli la domenica prima di Cagliari. Perché complicare le cose? Ed infatti col babbo e Maurino tornammo avviliti con la nostra vecchia 124 sport da Milano convinti che l’1-1 ci condannasse definitivamente.

Spesso il complottismo risponde ad un legittimo bisogno di autodifesa dal mondo grande e terribile per civettare con Gramsci, che poco ha a che fare con la morale, ce lo hanno spiegato bene Machiavelli e Guicciardini, anzi si può dire che questa visione laica e amorale, la Politica, si afferma definitivamente col maladetto fiore di Dante.

La corsa a due con la Juventus fu un durissimo scontro di geopolitica calcistica. I Pontello erano entrati alla grande, avevano investito tanto e con un progetto modernissimo, erano una famiglia potente, imprenditorialmente sulla cresta dell’onda. Firenze contava, Lagorio era ministro della Difesa e Spadolini, anche se eletto a Milano, Presidente del Consiglio, Giovanni Benelli era arcivescovo e su La Nazione scriveva Giuseppe Prezzolini ed Anthony Quinn tiene una lezione alla Bottega teatrale di Gassman. Con Prato eravamo la terza provincia industriale italiana. L’anno dopo la Juve acquistò Platini e Boniek, Paolo Rossi era rientrato, guarda caso, nelle ultime domeniche, il goal annullato di Turone, buono o no poco importa, pesava e la Roma andreottiana di Dino Viola esigeva un posto alla tavola delle grandi ed un palcoscenico internazionale e se Pruzzo non si fosse infortunato il Liverpool avrebbe perduto la Champions un anno prima dell’Heysel.

Questo il quadro, i dettagli, e sono tanti come gli indizi, li lascio a voi, amici di Alé Fiorentina.

Il grande balzo viola era fallito, ad onore del vero ci riprovammo negli anni successivi con Passarella ed Allodi, il treno era già passato, la malasorte di De Sisti e Socrates chiusero il ciclo storico. L’occasione non si sarebbe più ripresentata così netta. Ma, grazie a Dio, noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita.

Gianni Bonini – Viola Club Franco Nannotti

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