Gli scudetti perduti dei viola – capitolo 3

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Come on everybody clap your hands

Now you’re looking good

I’m gonna sing my song and you won’t take long

We gotta do the twist and it goes like this

Come on let’s twist again like we did last summer

Yea, let’s twist again like we did last year

Do you remember when things were really hummin’

Yea, let’s twist again, twistin’time is here

Yeah round’n around’n up’n down we go again

Oh baby make me know you love me so then

Come on let’s twist again like we did last summer

Yea, let’s twist again, twistin’time is here

Come on let’s twist again like we did last summer

Yea, let’s twist again, twistin’time is here

Come on let’s twist again like we did last summer

Yea, let’s twist again like we did last year

Do you remember when things were really hummin’

Yea, let’s twist again, twistin’time is here

Yeah round’n around’n up’n down we go again

Oh baby make me know you love me so then

Come on let’s twist again like we did last summer

Yea, let’s twist again, twistin’time is here

(Karl Mann, Dave Appel, 1961)

Il 1961-62 mi scorre ancora davanti agli occhi, non mi lascia mai. È il primo abbonamento allo stadio della mia vita, il babbo ed il nonno si alternano con me in Maratona, non ci sono posti nominativi, nemmeno nel trapezio centrale sotto la torre, chi prima arriva meglio alloggia. Nándor Hidegkuti da magnifico centrattacco arretrato di quell’Ungheria che probabilmente perse la finale del Mondiale del 1954 per colpa della guerra fredda, a Gorbacëv conoscere un po’ di calcio non avrebbe fatto male, ma anche per l’imprecisione nella finalizzazione dei suoi ragazzi della via Pál e del grande Sándor Kocsis in primis, si era trasformato in un eccellente allenatore. Con una squadra già più debole dal precedente campionato, senza Montuori colpito dalla sfortuna, Gratton e Segato, storici pilastri del centrocampo, sostituiti comunque dai valenti Milan, Marchesi e Dell’Angelo. Arrivammo terzi con più di un rimpianto. Dopo un buon inizio, la vittoria di Venezia per un rinvio errato del portiere addosso a Dell’Angelo e quella sonante nel derby dell’Appennino, l’unico che riconosco, a casa dei felsinei, la bestia nera Lanerossi Vicenza ci pugnalò a dieci minuti dalla fine. Ricordo vagamente il pallonetto se fu tale, di Fusato, che non mancò di ripetersi al ritorno. Seguirono due batoste, al solito San Siro con l’Internazionale di Hitchens e Bettini, quest’ultimo non era male, ed a Catania, allora le provinciali di un calcio più corsaro e non ancora entertainment per fortuna della nostra felice adolescenza giuocavano spesso brutti tiri. Poi una serie di ben venti risultati utili consecutivi. Ce la mettemmo tutta. Il 5 a 2 al Milan di Greaves, che fu accusato dai giornali del Nord impauriti di ridere (sic!) nella sconfitta, purtroppo per noi sostituito nel corso del campionato da Dino Sani che regalò ai rossoneri quell’equilibrio che mancava a centrocampo, la bella vittoria sul Torino dei leggendari Baker e Law e la pariglia resa all’Inter. In quest’ultima soleggiata domenica d’inverno entrai allo stadio tre ore prima del fischio di inizio e fu un trionfo, ne rividi esaltato il primo tempo – 3 a 0, due goal di Milani ed uno di Can Bartù – alla televisione la sera prima di cena. 4 a 1, Milani ne mise a segno un altro nel secondo tempo, Dell’Angelo, il Suarez dei poveri, surclassò l’originale che dovette accontentarsi di un rigore all’81º. Una partita memorabile, anche per la risonanza che ebbe, lo scudetto sembrava di nuovo a portata di mano, inferiore forse soltanto alla mitica vittoria yè-yè sulla stessa Internazionale campione del mondo per 2 a 1 in semifinale il 9 febbraio 1966, anche lì Claudio Merlo non scherzò col tunnel al fuoriclasse iberico, della più bella per me vittoria in Coppa Italia, quella col Catanzaro del rigore di Mario Bertini nel secondo tempo supplementare: il pallone che carambola sui due pali interni prima di depositarsi con immenso sollievo in fondo alla rete.

Ed invece anche quel 1962 ci riservò il consueto crollo finale. Decisive furono le due trasferte consecutive, dopo la vittoria in casa col Mantova con una stupenda rete di Kurt Hamrin. Il Milan stratosferico di Ghezzi, David, Salvadore, Trapattoni, Maldini, Radice, Danova, Sani, Altafini, Rivera, Barison, ci rese il 5 a 2 dell’andata. Rivera segnò al 1º minuto, Petris sbagliò clamorosamente un paio di goal e Sarti non fu al massimo.

Ci penserà De Sisti all’Olimpico la domenica seguente a far crollare le restanti speranze con una bella rete che ricorda nell’esecuzione quella alla Juventus in casa del 1969, con cui Picchio ci risarcirà con gli interessi di quel giovanile sgarbo. Ci fu un tentativo di riprenderci, 1 a 0 alla Juve che stava cedendo lo scettro nazionale all’Inter che trionferà anche con il nostro Sarti e con lo stesso Milani, che quell’anno fu capocannoniere con 22 goal. Poi a Lecco senza Hamrin mollammo definitivamente

A campionato concluso accompagnai il babbo alla Fiera di Milano, un’esperienza indimenticabile. Era il boom economico e Milano ne era al centro. I padiglioni fantasmagorici, il ristorante costoso, la pensioncina in cui alloggiammo che dava sulle rotaie del tranvai, il viaggio di ritorno in treno pigiati sui sedili di legno delle carrozze di seconda classe prese d’assalto, ma soprattutto San Siro, imponente con le sue passerelle esterne.

Lo osservavo con la curiosità mista a rancore per lo scudetto perduto, quella di un giovanissimo tifoso-calciatore che tuttavia cominciava a metabolizzare, ma non a soffrire meno perché questa succede pure oggi, i rapporti di forza e che nel profondo si rendeva conto anche della disparità dei valori reali.

Fu alla stazione centrale così diversa dalla nostra, capolavoro razionalista e funzionale insuperabile di una Firenze che ancora viaggiava ad altissimo livello con il suo trinomio arte-turismo-spettacolo, che mi imbattei per la prima e l’ultima volta nel Cinebox, un jukebox con uno schermo che proietta le immagini delle canzoni suonate. Scelsi Let’s twist again, la canzone di Peppino Di Capri che avevo ascoltato per tutto il campionato dai nostri vecchi altoparlanti del Comunale nell’attesa del fischio d’inizio, con il retro del 45 giri, Non siamo più insieme, e che avevano accompagnato la grande illusione ormai alle spalle. Albertosi, che sostituisce Sarti tra i pali, mortificato da Picchio che esulta tra Gonfiantini a sinistra e Rimbaldo.

Gianni Bonini – Viola Club Franco Nannotti

Per vedere ed ascoltare Peppino Di Capri in Let’s twist again nel mitico Cinebox clicca QUI

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