La Fiorentina non c’è, non si è ancora presentata al campionato e tutto sembra fuorché essere pronta a farlo. E chi l’avrebbe mai detto, appena qualche settimana fa, quando volavano sette e otto al mercato viola oppure quando un coro unanime plaudiva l’arrivo – il ritorno – di Stefano Pioli a Firenze. Una manciata di settimane dopo, però, è notte fonda, per non dire crisi vera. La squadra, che sulla carta sembrava a molti più forte dello scorso anno, ha trovato difficoltà rilevanti fin dai primi calci al pallone, in Conference League. Difficoltà ovviamente palesate ancor più evidentemente in campionato, contro avversari più forti del Polissya. Una crisi che, ancora prima che di risultati, si è rivelata di gioco. Di identità. La Fiorentina di Pioli non l’abbiamo ancora vista, non abbiamo capito come il tecnico abbia intenzione di far giocare la sua creatura, chi siano i suoi undici titolari. La squadra, per dirla in parole povere, al momento non è una squadra.
Le teorie che attraversano tifoseria e organi di stampa, come è normale che sia, sono molteplici e disparate. Si va dal giudizio sul mercato che da ottimo è diventato insufficiente alla presenza di Pioli che avrebbe dato un alibi a società e calciatori – come si parlasse di Mourinho o Guardiola, poi… –, passando per la condizione fisica deficitaria. Tutte ipotesi che possono starci e che possono convivere perché, si sa, nel calcio un risultato, buono o meno buono che sia, è quasi sempre frutto di una molteplicità di fattori. Certamente la Fiorentina oggi corre peggio e più lentamente degli avversari, non riesce a pressare come dovrebbe (fatta eccezione per la prima mezz’ora di gioco contro il Como), non è incisiva davanti e commette errori banali in difesa. Altrettanto evidentemente – ma chi ci legge sa che lo dicevamo anche nel numero precedente di Alé Fiorentina – il mercato non è stato perfetto: se trattenere i migliori merita un plauso, non aver portato in riva all’Arno gli unici due profili richiesti dal tecnico, ovvero un centrocampista di personalità e un difensore che sapesse impostare bene il gioco, pesano e devono pesare sul giudizio finale. Il centrocampo appare il reparto più in difficoltà: con Fagioli, il giocatore più forte che abbiamo in quella porzione di campo, in versione ectoplasma, che gioca poco e quando gioca non gioca come dovrebbe, e gli altri centrocampisti che sono buoni elementi ma nessuno capace di fare la differenza, di alzare il livello della mediana gigliata, è dura vincere le partite. È questo il problema numero uno, a parere di chi scrive: tutto passa dal centrocampo e il nostro, ahimè, al momento non è in grado di fare bene nessuna delle due fasi. La società poteva e doveva capirlo a tempo debito. Risolvere questa criticità, adesso, è tutt’altro che semplice.
Poi c’è il tema allenatore, perché piaccia o non piaccia è il primo responsabile quando i risultati non arrivano. Stefano Pioli è apparso confuso, alla ricerca di qualcosa che non si sa bene cosa sia. Anziché portare esperienza e serenità, anche lui sembra essere stato risucchiato nel buco nero in cui sono finiti Kean e compagni. Nessuno, qui, mette in dubbio le capacità del tecnico, tantomeno le qualità umane, e proprio per questo adesso anche lui è chiamato a cambiare passo, a dare qualcosa in più e di diverso. È lui il garante del progetto Fiorentina, l’uomo sulle cui spalle i tifosi hanno poggiato le proprie ambizioni. Adesso o mai più, visti i prossimi impegni, deve trovare e dare certezze ai suoi ragazzi. Soltanto da lui e dalle sue (speriamo trovate) certezze può passare la rinascita gigliata.
Ottobre si preannuncia infatti un mese decisivo, con sfide sulla carta, al momento, proibitive: Roma, Milan, Bologna, Inter. Quattro gare contro avversari più forti, più in forma, più avanti in classifica. Quattro gare in cui la Fiorentina deve per forza ritrovarsi, rispondere presente: se la logica ci porterebbe a pensare a una Viola con le ossa rotte a fine ottobre, dobbiamo tener di conto che il calcio non è quasi mai logica. Vuoi perché la squadra non può essere davvero così brutta, vuoi perché Kean prima o poi tornerà al gol, vuoi perché un impeto di orgoglio da parte di questo gruppo è lecito e legittimo aspettarselo, il sottoscritto crede – dove termini il credere e inizi lo sperare è francamente difficile stabilirlo – che qualcosa di buono verrà fuori: talvolta è sufficiente una bella prestazione o un risultato insperato per sbloccare la testa dei calciatori, per far svoltare una stagione iniziata male. Del resto, nel momento in cui scriviamo, si sono giocate appena cinque partite di campionato: c’è tempo e modo per riprendersi e puntare ancora agli obiettivi per i quali devono correre Firenze e la Fiorentina. A patto, però, che Kean torni a fare Kean; che Gudmundsson mostri finalmente di essere il calciatore che da un anno attendiamo; che i vari Gosens, Dodo, De Gea, Fagioli e compagnia bella giochino sui livelli ai quali dovrebbero giocare. A patto, quindi, che la squadra si decida a diventare squadra. E lo faccia al più presto.
Giacomo Cialdi – Direttore Alé Fiorentina
(Foto in copertina di CalcioNews24.com)