E ora? Beh questa volta proprio non si può dire che Rocco B. Commisso non si sia frugato, rispondendo così al sempiterno appello della tifoseria più critica e dei suoi aedi nei social media e nelle implacabili tv locali. Il calcio rimane un mistero senza fine, bello pure al tempo del VAR, ma i viola si presentano al blocco di partenza con un complesso all’altezza delle più insperate ambizioni. Del fair play finanziario accortamente nessuno parla più come se la sfida lanciata valesse giustamente qualche sacrificio destinato ad essere ripagato dai risultati e dalle loro positive ricadute economiche. Meglio così. Noi difensori d’ufficio di Rocco, venuto ad investire nel quadro della geopolitica americana del calcio in una città dal blasone universale, siamo finalmente felici, confusi nella folla dei tanti che hanno innestato la marcia indietro. Delle velenose critiche a Pradè solo qualche residua coda tra i commenti in calce.

La Fiorentina è una società sana, ben organizzata ed il suo management sa quello che fa. Il Viola Park è stato un salto di qualità. La gru agli Uffizi è stata rimossa dopo quasi 20 anni. Queste parole rivendico di averle scritte tre mesi fa nel pieno della contestazione.

E su Stefano Pioli solo apprezzamenti speranzosi. Palladino dimenticato. Funziona così, crudelmente, il mondo e quello del business in particolare. Il football si è giustamente finanziarizzato come naturale conseguenza alla sentenza Bosman che ha legittimato il mercato in quell’arcaico sogno di noi bambini. Marianne che ho salutato con piacere l’altro giorno nella ormai vecchia via Papini a Coverciano, moglie discreta del nostro Uccellino, mi ha ricordato la tristezza con cui accolsi la notizia del passaggio al Milan del più grande attaccante della nostra storia. Che fu, racconta Giampiero Masieri, anche la sua, sorpresa in casa dalla notizia. Sarà per questo che non mi sono mai affezionato ad Amarildo pur riconoscendone le doti tecniche.

Bosman allo Standard Liegi nel 1988

Al Viola Park sembrano aver annusato che l’aria è un po’ cambiata. Le cosiddette Big pompate dai media nazionali appaiono in difficoltà. La Juve soffre il riposizionamento plutocratico degli Elkann, Fiat ed operaio-massa sono foto ingiallite di archeologia antropologica. Milano non ha più Silvio e la finanza bianca accusa più di un colpo, l’Atalanta ne risentirà. Vedremo se Gasperini riuscirà a sfuggire al fascino intrigante della Città Eterna. Lotito che stimo molto per il suo essersi fatto da solo, mi sembra abbia già superato l’acme. Attenti alla Bologna di Unipol. Lontani comunque gli anni ottanta delle stelle mondiali e delle narrazioni alla Sorrentino sulla mano di Dio, benchè Napoli, insisto, rimanga la vera capitale del Mediterraneo e la sede della VI flotta della United States Navy, simbolo di una straordinaria resilienza. Mi sono allargato troppo, torno nei ranghi; come si diceva, se son rose fioriranno.

È la stessa nazionale italiana da ricostruire per onorare una tradizione inferiore nel palmares solo al Brasile, a spronare i nostri ad investire nel vivaio e nell’italianità, un disegno che ci riporta agli indimenticabili anni sessanta della Fiorentina ye-ye prodromica al secondo meraviglioso scudetto.

Tutte le volte che vedo Merlo e Chiarugi, mi perdoneranno De Sisti ed Antognoni, cedo all’emozione, come ho scritto nella mia autobiografia politico-sentimentale Primavera di Bellezza.

Prima o poi riuscirò a rintracciare i riflessi filmati di quel 2-1 all’Inter di Herrera nella semifinale della Coppa Italia che vincemmo con pieno merito nel 1966. Quel 19 maggio all’Olimpico non c’ero, ma c’ero, eccome se c’ero, il 29 settembre 1968, compivo preciso quella domenica diciotto anni, quando a cinque minuti dal termine Claudio Merlo tagliò sotto la Tribuna Tevere uno splendido pallone per Maraschi che non fallì.

Insomma questa politica dei giovani, impollinata da qualche campione affermato alla De Gea, potrebbe, il condizionale è d’obbligo, risultare politicamente vincente; nel senso di contribuire alla ricostruzione dell’immagine del calcio nazionale.

La tranquillità e la pacatezza, condita con qualche inevitabile ma opportuna ovvietà, di Martinelli ne fanno un predestinato a rappresentare il nostro rinascimento calcistico. Sta ai giovani come lui non deludere e non perdersi nei falsi miti pacchiani dello star system.

Sarà l’anno bono? Non dico certo per lo scudetto ma per rientrare in un range internazionale che riteniamo quasi un nostro diritto, per la verità con molta presunzione e con poco realismo politico. Non è un difetto, intendiamoci, l’autostima se radicata in un tessuto economico-sociale che la alimenta. Forse non siamo la città più bella del mondo in assoluto ma quasi, grazie soprattutto ad un’antica classe dirigente che ha tutelato le colline e non ha mai inseguito la tracotanza nuovista.

E poi mia moglie mi ricorda sempre che ad ogni inizio di stagione affermo, senza pudore ed appunto senza alcun realismo tout court, che quest’anno siamo forti e che forse etc etc.

Come canta il Bardo: Noi siamo della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, e la nostra piccola vita è cinta di sogni

Gianni Bonini – Viola Club Franco Nannotti

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