E’ la nostra storia – I duri anni Settanta

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Continua, con questo e con i prossimi articoli che pubblicheremo, la sintesi degli incontri “È la nostra storia” organizzati dal Museo Fiorentina nel mese di marzo al circolo la Rondinella del Torrino. Per rendere più facile la lettura, a differenza che negli incontri, ripercorriamo velocemente i campionati degli anni Settanta proponendo le chiavi interpretative alla conclusione dell’articolo.

Dalla Coppa dei Campioni al rischio retrocessione

La stagione 1970-71 comincia con grande ambizioni. La società è convinta che la squadra sia ancora quella dello scudetto e fa operazioni di mercato “mirate”, sostituendo i giocatori ritenuti più usurati: viene ceduto Rogora, assieme a Cencetti, al Brescia per acquistare il terzino Botti che giocherà pochissimo in prima squadra, ma per fortuna, sottotraccia, dalla serie D è arrivato un giovanissimo Galdiolo, il “Pappa” sarà una colonna della Fiorentina degli anni Settanta. Dal Brescia arriva anche l’esperto centrocampista D’Alessi, per rimpolpare un reparto dove è stato ceduto, al Bologna in cambio del giovane Gennari, che non si affermerà, un altro dei protagonisti dello scudetto: Francesco Rizzo. Stessa filosofia in attacco: vengono ceduti Maraschi ed Amarildo puntando tutto sull’acquisto del centravanti Alessandro Vitali, dal Lanerossi Vicenza, vice cannoniere del campionato 1969-70 e sul lancio definitivo di Mariani all’ala.

Il campo boccia le operazioni di mercato. La Fiorentina a tre punte resta un disegno sulla carta, Vitali è un flop, il centrocampo tricolore (Esposito, Merlo, De Sisti) non disputa la sua migliore stagione e la difesa ha grossi problemi di tenuta. La leadership di Pesaola si è esaurita, stritolata dalle polemiche sullo stipendio, astronomico, che ha strappato e dalle sue accuse al calciomercato viola. Il presidente Baglini è stanco, ha problemi di salute e di conduzione della sua impresa; a gennaio, ritenendosi responsabile del rendimento della squadra sull’orlo della retrocessione, si dimette, ma le sue dimissioni vengono respinte. È un campionato drammatico, la Fiorentina vince solo tre volte su 30 partite; alla fine del girone d’andata, dopo una sconfitta interna con la Juventus, Pesaola viene esonerato e ci si affida al “mago di Turi” il folcloristico Oronzo Pugliese. La squadra è talmente frastornata che la cronaca si appassiona alle benedizioni e ai magheggi effettuati per salvare i viola dalla maledizione (e dalla retrocessione): ma le superstizioni, sacre o profane che siano, lasciano i gigliati in fondo alla classifica. La Fiorentina ha smesso di perdere, nemmeno una sconfitta nelle ultime dodici gara, ma non riesce a vincere: l’unico successo arriva a Vicenza, gol dell’ex Vitali, alla terzultima giornata. In classifica c’è una grande ammucchiata, a fine campionato saranno ben sette le squadre che arrivano tra i 26 e i 25 punti il punteggio della terza squadra che retrocede assieme a Catania e Lazio. Nelle ultime due giornate la Fiorentina ospita l’Inter, un gol di Brizi all’ultimo minuto (2-2) ci fa uscire dal baratro, ma la salvezza non è ancora conquistata; servirà il pareggio in casa della Juventus (1-1) con la contemporanea sconfitta del Foggia a Varese: i viola si salvano, a 25 punti, per la migliore differenza reti. Liberata dal peso della classifica e affidata alla guida di Mario Mazzoni la Fiorentina sfiora la qualificazione per la finale di Coppa Italia, arrivando terza nel girone finale.

Ugolini Ugolini, già vice presidente e protagonista sia nella gestione Longinotti che in quella di Baglini, diventa presidente di un consiglio direttivo fatto, ancora, da piccoli imprenditori locali. La parola d’ordine è quella del rinnovamento, cercando di riprendere la strada già battuta con la costruzione della Fiorentina ye-ye.

La ricostruzione

Il primo passo è l’arrivo di Nils Liedholm in panchina, un grande giocatore destinato a diventare un grande allenatore e uno dei profeti del gioco a zona in Italia. Il “Barone” ha portato il Varese in serie A, ma come tecnico è ancora ai primi passi. La campagna acquisti vede due grandi acquisti, Sergio Clerici “el Gringo” un centravanti navigato di elevata classe, e Nevio Scala, giocatore dalla forza esplosiva che Liedholm utilizza come terzino, in coppia con Longoni. Galdiolo stopper e Brizi libero, completano la difesa base. A centrocampo è l’anno dell’esplosione di Andrea Orlandini, “Birillo”, il ragazzo di San Frediano, conquista la maglia da titolare e si afferma come una solida certezza; Merlo è limitato dagli infortuni, De Sisti è tornato sui suoi livelli, mentre deludono il nuovo arrivato Ferruccio Mazzola e D’Alessi. L’attacco è tenuto ben vivo da Chiarugi e Clerici. I viola sono in lotta per il titolo, ma il crollo finale (due punti in sei partite, con tre sconfitte casalinghe), porta ad un deludente sesto posto finale. Si affacciano in prima squadra i primi giovani della novelle vague viola: Florio, Desolati, Ennio Pellegrini.

In estate vengono ceduti altri campioni d’Itala (Ferrante, Esposito, Chiarugi che scrive una commovente lettera d’addio ai tifosi, ribadendo che non avrebbe mai pensato di andare via); vengono acquistati giocatori indicati da Liedholm (Saltutti, Perego, Sormani), ma la vera differenza la fanno altri acquisti: Antognoni, che segnerà profondamente la nostra storia e Roggi. Saranno loro, accompagnati da Mimmo Caso, cresciuto nelle nostre giovanili, a incarnare sul campo la nuova onda viola. La Fiorentina arriva quarta, un buon piazzamento che vale la qualificazione alla Coppa UEFA, sfugge invece la Coppa anglo italiana con la finale, a Firenze, persa contro il Newcastle (1-2). Liedholm, a sorpresa, lascia la panchina e la Fiorentina sceglie Luigi Radice, ex difensore del Milan che ha portato il Cesena in serie A e che si presenta come uno dei più moderni tecnici italiani, ispirandosi al calcio totale giocato dall’Aiax di Cruyff. La società continua a comprare, oltre al mediano Beatrice, dalla Ternana, giovani calciatori, tra tutti spicca Guerini, centrocampista del Brescia, con lui arrivano Speggiorin dal Vicenza, Bresciani e Della Martira dal Viareggio. Sono purtroppo importanti anche le cessioni: Orlandini e Clerici al Napoli, Scala all’Inter, va via anche Longoni, al Vicenza. Radice plasma una squadra di giovani leoni, accantona De Sisti affidando a Merlo compiti di regia. Alla fine del girone d’andata la Fiorentina è seconda, assieme a Juventus e Napoli, a tre punti dalla Lazio di Maestrelli che vincerà lo scudetto. Il girone di ritorno vede una notevole flessione dei viola che, pareggiando con la Sampdoria all’ultima giornata, finiscono al sesto posto perdendo, per un punto, la qualificazione alla Coppa UEFA.

La società, nonostante il gioco espresso e i calciatori messi in mostra, con Roggi, Antognoni e Guerini pronti all’esordio in Nazionale, non apprezza la gestione Radice e gli propone una condizione inaccettabile per la conferma: la direzione tecnica di Nereo Rocco che, invece, accetta e diventerà responsabile unico della squadra. Con Rocco, ormai a fine carriera, la Fiorentina perde un anno: il 1974-75 segna un passo indietro nella crescita della squadra, il campionato regala un bel 4-1 alla Juventus, arrivata a Firenze con le casse di champagne per festeggiare lo scudetto, ma i gobbi dovranno rimandare la festa alla settimana successiva. Rocco lascia in anticipo, la Fiorentina ha già scelto la prossima guida: Mazzone, emergente allenatore dell’Ascoli. Tocca nuovamente a Mario Mazzoni guidare la Fiorentina in Coppa Italia: vince il girone di semifinale e affronta, da sfavorito, il Milan in finale. È il 28 giugno 1975 l’Olimpico si tinge di viola: i gigliati vanno due volte in vantaggio e vengono recuperati fino al colpo di testa decisivo di Paolo Rosi – gli altri marcatori sono Casarsa e Guerini. Questa la formazione schierata in finale: Superchi; Beatrice, (46’ Lelj, 47’ Rosi), Roggi; Guerini, Pellegrini, Della Martira; Caso, Merlo, Casarsa, Antognoni, Desolati.

La vittoria della Coppa Italia porta tanto entusiasmo e fiducia nella nuova Fiorentina allenata da Carletto Mazzone che però delude piazzandosi al nono posto. Pesa, terribilmente, l’incidente automobilistico che il 24 novembre (rientrando da Ascoli per una partita dell’Under 21 rinviata a causa della neve, con lui, Mimmo Caso) mette termine alla carriera agonistica di Guerini.

La Fiorentina si aggiudica la Coppa di Lega Italo-Inglese 1975-76 battendo in finale il West Ham, grazie alle reti di Guerini, a settembre nella gara di andata a Firenze (1-0), e di Speggiorin, in quella di ritorno a Londra (0-1).

Sprofondo viola

Il migliore piazzamento in classifica degli anni Settanta è il terzo posto del 1976-77. Mazzone resta in panchina, vanno via gli ultimi protagonisti dello scudetto (Superchi, Brizi e Merlo) e vengono ceduti anche Beatrice e Speggiorin. Arrivano, fortemente voluti dal tecnico romano, l’attaccante Bertarelli e il centrocampista Steno Gola, entrambi già allenati all’Ascoli da Mazzone, il mediano Zuccheri e il terzino Rossinelli. In porta la Fiorentina punta su Mattolini, prodotto del vivaio. I viola perdono Roggi per un grave infortunio che gli minerà la carriera in un amichevole pre campionato a Viareggio. Il terzo posto finale è un ottimo risultato, ma la Fiorentina, trascinata da Antognoni e con i gol di Desolati, arriva a 16 punti dalla Juve campione d’Italia e a 15 dal Torino di Radice – è il campionato del duello torinese finito 51 punti a 50, record di punteggio assoluto per il campionato a 16 squadre.

Il terzo posto illude: la squadra non viene rafforzata, ma addirittura indebolita con l’acquisto del portiere Carmignani e di Pierino Prati ambedue a fine carriera. Antognoni combatte con una tarsalgia che ne pregiudicherà il rendimento anche al campionato mondiale in Argentina. La squadra non va, perde Desolati per l’ennesimo infortunio e resta attanagliata nella lotta per non retrocedere. Salta Mazzone, sostituito per cinque partite da Mazzoni e poi da Beppe Chiappella. Giovanni Galli diventa il portiere titolare, Ezio Sella il capocannoniere. Anche Ugolini, il 12 dicembre 1977, lascia la presidenza al consigliere Rodolfo Melloni. La Fiorentina si salva all’ultima giornata: 0-0 in casa col Genoa che retrocede, a pari punti, per una peggiore differenza reti.

La grande paura costringe a cambiare la squadra, affidata al nuovo allenatore, Paolo Carosi.

Vengono ceduti Caso e Casarsa, Gola, Zuccheri, Rossinelli, Prati, Pellegrini, Prati. I sostituti sono Dino Pagliari, Galbiati, Amenta, Restelli che torna dal Napoli. L’esito è una squadra equilibrata che conclude il campionato al settimo posto.

La campagna acquisti dell’estate 1979, conclusa con gli acquisti del difensore Alessandro Zagano (dal Lecce in serie B), di Claudio Ricciarelli e Giovanni Bruzzone (dal Pietrasanta in serie D), segna un punto di non ritorno, evidenziando l’enorme difficoltà della società che, comunque, riesce a trattenere Antognoni.

Il 27 settembre 1979 muore, per una crisi cardiaca, Rodolfo Melloni diventato presidente nel momento più buio. Un altro imprenditore locale, già nel Consiglio direttivo, Enrico Martellini, diventa presidente dopo la morte di Melloni. Furono sette mesi difficilissimi. La Fiorentina rischiava di essere nuovamente coinvolta nella lotta per non retrocedere: la squadra, dopo dodici partite, aveva soltanto otto punti in classifica. La squadra si riprende: a due giornate dalla fine del campionato è terza, in piena lotta per la qualificazione europea (la prima, all’epoca, andava in Coppa dei Campioni, mentre seconda e terza partecipavano alla Coppa UEFA), anche se, dopo le sconfitte con Inter e Juventus, il piazzamento finale è il quinto posto.

Finalmente Pontello!

Sabato 2 maggio 1980 uno stringato comunicato ufficializza il passaggio di proprietà dell’AC Fiorentina: “Il consiglio di amministrazione della Fiorentina comunica che in data odierna ha preso atto delle dimissioni presentate da Enrico Martellini da presidente della società. Il Consiglio ha espresso il suo rammarico per la irrevocabile decisione ed ha espresso al signor Martellini il vivo ringraziamento della società per la sua assidua appassionata attività a favore della Fiorentina. Il consiglio ha quindi votato quale consigliere di amministrazione il signor Ranieri Pontello e all’unanimità di voti lo ha eletto presidente della società”.

La Fiorentina veniva da una lunga stagnazione. Finiva, con Martellini, la Fiorentina della piccola imprenditoria locale che aveva fatto perno su Ugolini. Il bastone del comando passava ai gestori di una grande impresa, alla famiglia Pontello.

Si concludeva un decennio duro, sofferto, segnato da rischi concreti (due volte) di retrocessione; illuminato dalla classe di Antognoni, e dalla soddisfazione di riuscire, ogni estate, a tenerlo. Un decennio che necessita di alcune chiavi di lettura:

– l’incapacità di costruire un ciclo sulla squadra che aveva vinto lo scudetto. Gli errori cominciano nell’estate del 1969, con la scelta di non rafforzare la squadra e di lasciarla sostanzialmente invariata. Errori che continuano nell’estate successiva con la cessione di Amarildo, Rizzo e Maraschi non adeguatamente sostituiti;

– la scelta, lungimirante, di Ugolini di puntare nuovamente sulla politica dei giovani fu vanificata dalla perdita agonistica di Guerini e Roggi ed anche dai ripetuti infortuni di Desolati. Oltre alla sfortuna contò, anche, l’incapacità di rinunciare, con l’eccezione di Antognoni, alla cessione dei giocatori che si affermavano, da Orlandini a Caso. Un altro elemento negativo fu l’oscillazione delle scelte sulla guida tecnica: due anni Liedholm e poi addio. Arriva Radice, che vincerà lo scudetto con il Torino nel 1975-76, e ci si fa condizionare dalle voci e da un atteggiamento eccessivamente sbarazzino per approdare su un tecnico a fine carriera (Rocco), poco incline a lavorare con i giovani;

– l’ultimo elemento, senz’altro il più rilevante, lo abbiamo anticipato alla fine dell’articolo. L’economia del calcio italiano, e del paese, era profondamente cambiata: non bastava più un tessuto di imprenditori locali: per vincere occorrevano delle vere potenze economiche.

Pontello lo era.

Massimo Cervelli – Commissione storia Museo Fiorentina

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