La strada verso la palude è lastricata di plastici e prime pietre, posate, sospese, esposte o solo sognate. Il rapporto tra Firenze e le famigerate grandi opere è tutt’altro che sereno. Niente nuovo aeroporto, seppellito dalla premiata ditta Ricorsi & Veti, con ospite d’onore il Covid, no TAV, così le merci faranno direttamente Bologna-Roma senza crearci impaccio, non parliamo delle autostrade o le circonvallazioni, tramvie sì ma ancora a rilento, in attesa che connettano tutte le “centralità periferiche”.
Quando tutto il mondo e anche tanta parte dell’Italia si collega, Firenze non scegliendo ha scelto un anonimato tristo e sterile, mentre le merci e i capitali e le persone, i turisti, non dico quelli “di lusso” ma anche il madido ciabattone che compra il grembiule con il pendolino di David vanno altrove. A smuovere i fanghi palustri, ci ha pensato il nostro Rocco che, per lo meno – e non era scontato – e rischiando pure di finirci risucchiato (tra anarchici, fantasmi di centurioni, eco-polemici e sopra-intendenze), ha incassato un centro sportivo all’avanguardia.
Mai e poi mai avremmo pensato di essere ancora qui a parlare di stadio. Men che meno dopo il Covid che ha contingentato uno sport di contatto, come dicono quelli bravi. Che “l’opzione Mercafir” – una “ipotesi Amato” in salsa pallonara – fosse puro dadaismo era di facile comprensione anche ad occhio nudo e non foss’altro che per quei terreni là che non si sa in che condizioni siano, o per le palazzine appena vecchiotte o le difficoltà logistiche. Rocco, uomo di mondo e d’azienda e svelto, aveva già capito. E declinato. Grazie assai!
Il Pnrr è diventato tutto e il contrario di tutto: s’allarga come la fisarmonica che Rocco suonava in quei giorni lontani d’amorosi sensi con la stampa locale. Sorvolando su quanto uno stadio possa essere un’opera di pubblica utilità (a Prato parlano di hub tessile), bisogna tener conto del mutato contesto, che incide soprattutto sui costi e dunque sui blocchi e i tempi. Le prese di posizione di molti a partire dai costruttori lo dimostrano chiaramente. I ricorsi sono una bazzecola in confronto e il successo del Pnrr è tutt’altro che certo.
Bisogna poi considerare il cambio nei modi e nella fruizione del prodotto-calcio – mi costa scriverlo – perché se oramai abbiamo accettato tutto del nuovo calcio, dalle perversioni del Monday night alla Sala Var dei gol perduti non possiamo pensare di riempire stadi da 30-50mila persone, stadi che comunque vanno mantenuti. La sostenibilità di questo modello di calcio moderno è tutta da dimostrare ma, per fortuna, compete ai cervelloni della Lega Calcio. Il nostro mestiere si esaurisce ai 90 minuti. Ed è già abbastanza snervante così (SFV).
Lorenzo Somigli