La Fiorentina non ha iniziato la nuova stagione come ci aspettavamo. Alcuni risultati, ma soprattutto qualche prestazione, hanno intaccato l’entusiasmo e la serenità che, durante il pre-campionato, hanno attraversato la tifoseria gigliata. Per parlare del momento della squadra e della crisi del gol – sette reti in altrettante partite di campionato, nel momento in cui scriviamo –, Alé Fiorentina ha intervistato in esclusiva Claudio Desolati, grande ex attaccante viola dal 1971 al 1981.
Desolati, che giudizio si è fatto sulla Fiorentina di quest’anno? La convince oppure no?
«Facciamo un passo indietro: la squadra vista la scorsa stagione mi piaceva moltissimo, aveva una forte identità, giocava un ottimo calcio e dava l’impressione di divertirsi giocando… Tant’è che ho dato otto in pagella a Vincenzo Italiano. Quest’anno, a tratti, sembra un’altra squadra: siamo lenti, prevedibili e il possesso palla è diventato perlopiù inutile. Teniamo il pallone senza sapere cosa farne, almeno questa è l’impressione guardando le partite. Partite che sono spesso noiose, purtroppo. È come se avessimo perso alcune certezze».
Pensa sia una questione di singoli giocatori, che stanno mancando, oppure è un discorso più generale?
«Assolutamente una cosa generale. In campo si va in undici, non dimentichiamocelo mai. La Fiorentina vista fino ad ora ha praticato un calcio poco efficace, un gioco che richiede un grandissimo spreco di energie: i giocatori corrono corrono, poi non hanno lucidità nel momento in cui occorre per fare la differenza».
Quindi, secondo lei, è anche un problema di tipo di gioco, di manovra…
«Mi sembra evidente che al momento la squadra proponga un gioco che non esalta le qualità dei singoli: il possesso palla va bene, ma fino a un certo punto. È inutile, se non addirittura dannoso, tenere troppo il pallone, fare mille passaggi orizzontali, rallentare sempre l’azione: si dà modo agli avversari di risistemarsi, di rientrare, e non consente ai nostri di sfruttare il tempo e lo spazio che una manovra veloce e verticale ci darebbero. Il possesso palla, quando giocavo io, lo facevamo negli ultimi dieci/quindici minuti, per congelare la partita su un risultato per noi soddisfacente. Per farlo per novanta minuti devi avere Messi, oppure essere il City di Guardiola. Per un certo tipo di calcio occorrono alcuni giocatori, non c’è niente da fare».
Come si spiega che il gioco della Fiorentina sia cambiato in pochi mesi? Quali potrebbero essere le cause?
«Per prima cosa non hai più Vlahovic. Il serbo era un attaccante vero, e faceva giocare bene tutta la squadra grazie ai suoi movimenti e alle sue qualità. Dopodiché, abbiamo perso Torreira.
Non voglio entrare nella discussione se sia stato giusto o meno non riscattarlo, ma è innegabile che lo scorso anno ha tirato la carretta per cinque mesi. Era l’allenatore in campo. Era in grado, con la sua sapienza calcistica, di gestire il pallone, di congelare la partita, di dettare i tempi ai compagni, di verticalizzare nel momento giusto. Senza considerare che negli ultimi mesi ha trovato spesso la via del gol. Insomma, era fondamentale per il gioco della Fiorentina. Perduto lui, la squadra ha perso un punto di riferimento importantissimo, il cervello del centrocampo. Qui sta l’errore, a mio modesto parere: se non puoi trattenere lui, vai su un calciatore con quelle caratteristiche. Perché è inutile girarci intorno, sono regista e centravanti che fanno giocare bene, o meno bene, una squadra».
Un problema di manovra, troppo orizzontale e prevedibile, e di qualità dei singoli dunque?
«C’è anche un tema che riguarda la qualità, certo. E questo discorso lo potremmo estendere a tutto il calcio moderno. Quando mi dicono che oggi i calciatori hanno più tecnica e velocità di noi, mi scappa da ridere: da giovane facevo cento metri in dodici secondi, mi sa dire quanti oggi corrono così? Lo stesso vale per la tecnica di base: ai miei tempi non si vedevano tutti questi cross e questi stop sbagliati, la prima cosa che ci insegnavano nelle scuole calcio era come trattare il pallone. Oggi pensano a correre… con il risultato che non si vedono più dei cross da fondocampo sul dischetto del rigore, ad esempio. Il calcio è cambiato moltissimo, temo non in meglio. Questo per dire che sì, la Fiorentina a mio avviso ha anche un problema di qualità. Italiano non ha a disposizione dei campioni, mi pare del tutto evidente. Ci sono buoni giocatori, con buone qualità, ma niente di più. Senza considerare che manca il dialogo…».
In che senso, scusi?
«A lei sembra che i giocatori della Fiorentina, durante la partita, si parlino? Le sembra che si capiscano? A me no, onestamente. Si vedono palloni alti destinati a ragazzi che non hanno colpo di testa, lanci lunghi per compagni che non hanno modo di andare in profondità, fraintendimenti e cose del genere. Questo è sintomatico che manca, durante la partita ma soprattutto nel corso della settimana, dialogo. Un centrocampista dovrebbe conoscere il proprio attaccante come sua moglie, sapere quando vuole il pallone e come lo vuole, quando lanciarlo lungo e quando aspettarsi un uno-due. Non vedo niente di tutto ciò: giochiamo allo stesso modo indipendentemente dal compagno di squadra, con una buona dose d’improvvisazione. Giancarlo (Antognoni, ndr) sapeva dove sarei andato ancor prima che io mi mettessi gli scarpini, glielo assicuro. La conoscenza di chi gioca accanto a noi è fondamentale».
Cambiare spesso e volentieri centravanti, poi, non aiuta la conoscenza. Sbaglio?
«La verità è che la Fiorentina non ha centravanti. Giochiamo senza centravanti! Non c’è, in tutta la rosa a disposizione del mister, un calciatore che lo vedi e dici “Questo è il bomber!”. C’era, Vlahovic, ma è stato venduto. E oggi giochi senza un vero centravanti, perché né Jovic né Cabral lo sono. Nessuno dei due riceve il pallone, si gira e tira. Nessuno dei due ha, nel sangue, il gol. Sono due calciatori che possono fare anche bene, ma il centravanti di razza è un’altra cosa».
Eppure su Jovic sono state riposte molte speranze…
«Quante partite ha giocato al Real Madrid? Quanti gol ha fatto? Ragazzi, se fosse stato un campione avrebbe giocato di più, non vi pare? E forse non sarebbe neanche venuto a Firenze.
Il problema è che oggi i giocatori diventano famosi a prescindere dall’essere bravi, mentre ai miei tempi diventavi famoso perché eri bravo. Jovic è un giocatore normale, un buon giocatore che al momento, anche a causa del gioco della squadra, come detto poco fa, non sta rendendo per quelle che erano le aspettative e la sua fama. In più, come dice lei, c’è il tema dell’alternanza: un centravanti ha bisogno di giocare, di sentire la fiducia, di segnare… se ogni due partite mi fai risedere in panchina, io non riuscirò mai a trovare la condizione fisica, a trovare morale, entusiasmo etc… Dobbiamo metterci in testa che il centravanti è diverso da tutti gli altri giocatori, vive il calcio in un modo totalmente diverso, e dev’essere trattato in modo diverso. Il centravanti è come il portiere, in un certo senso. Italiano deve quindi scommettere su uno dei due, dandogli fiducia per cinque/sei partite. Dopodiché, se fallirà, entrerà l’altro».
Ma lei, fosse nei panni di Italiano, chi farebbe giocare? Chi le piace di più?
«Premesso che nessuno dei due sta facendo benissimo, e che è complicato capire il valore reale dei giocatori, mi pare che Cabral sia meglio, che abbia qualcosa in più. Ha molta più voglia, più grinta, corre e si impegna molto di più. Jovic, fino ad ora, mi ha dato l’impressione di essere ancora al Real Madrid. Punterei su Cabral, al momento».
Alla luce di tutte queste sue considerazioni, che sensazioni ha sul prosieguo della stagione?
«Mi auguro che la Fiorentina possa fare meglio, crescere col tempo e colmare quelle che oggi sono lacune vistose. Italiano dovrà trovare la chiave per ridare velocità e brillantezza alla sua squadra, così da ridare compattezza ed entusiasmo alla tifoseria. È un ottimo mister, credo possa farcela. La Fiorentina deve provare a riconfermare quanto fatto lo scorso anno. Lo deve ai suoi fantastici tifosi».
Se facciamo una panoramica della gestione Commisso, arrivata a oltre tre anni, che giudizio si è fatto? È tra i fiduciosi, pensando al futuro, o tra gli scettici?
«Sono positivo e fiducioso. Sono stati commessi degli errori, come li commettono tutti, ma il presidente Commisso è una persona squisita e dotata di grande ambizione. Ritengo che quando ha venduto lo abbia fatto perché costretto da un calcio nel quale è sempre più difficile, per le squadre di media grandezza, resistere ai soldi delle big. Per cui, non gli rinfaccio granché. Anzi, mi sento di ringraziarlo per quanto fatto, convinto che possa fare sempre meglio e di più per la nostra Fiorentina».