Ciao Celeste!

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Sgomento e tristezza hanno profondamente scosso l’universo Fiorentina quando nel pomeriggio di martedì 22 luglio è rimbalzata la notizia della scomparsa di Celeste Pin, resa ancor più inaccettabile dalle modalità con cui era avvenuta come filtrato sin dai primi momenti.

Lo stesso sconcerto e la stessa incredulità che ci prende quando sappiamo della morte improvvisa di una persona cara ed a noi vicina per vincoli familiari e o affettivi oppure, come nel caso di Celeste, per averne condiviso una stessa forte, assoluta passione.

Sì perché il veneto Celeste Pin, era nato nel 1961 a San Martino di Colle Umberto in provincia di Treviso; al di là della lunga e significativa militanza nella  Fiorentina come calciatore, era stato pienamente adottato dalla famiglia viola e da Firenze, città nella quale aveva deciso di vivere, erano nati e cresciuti i suoi figli, si era impegnato come dirigente in società dilettantistiche mettendo generosamente a disposizione l’esperienza maturata in tanti anni di calcio, aveva intrapreso iniziative imprenditoriali nel settore immobiliare, non mancando mai di fare sentire la sua vicinanza alla squadra ed alle sue sorti non solo nelle vesti di opinionista in tv e alla radio e di ex viola sempre presente in tutte le manifestazioni nelle quali se ne richiedeva la partecipazione, ma anche e soprattutto come semplice e autentico tifoso, e come tale pronto ad accendersi di subitaneo entusiasmo nei momenti felici (rari), così come disposto ad un’incondizionata indulgenza nei confronti della squadra ed in tutti coloro che ne indossavano la maglia in quelli bui.

Ma qui vogliamo cercare di dimenticare la sua assurda prematura fine per ricordarlo e celebrarlo come calciatore, sì celebrarlo perché Celeste pur non essendo un campione ha lasciato senz’altro una traccia nella storia della Fiorentina: 200 partite in serie A con due gol, distribuite su nove campionati, dal 1982-83 al 1990-91 (quasi una decade) incluso lo spareggio di Perugia con la Roma del giugno 1989,  54 partite e due gol in Coppa Italia e 15 partite ed un gol in coppa Uefa  per complessive  269 partite in maglia viola, secondo le statistiche.

Gli anni migliori della sua carriera incrociano dunque la Fiorentina degli anni ottanta, quella della gestione Pontello di cui forse, ma crediamo proprio di non sbagliare, con le sue duecento partite è il calciatore col maggior numero di presenze in campionato, più dello stesso Antognoni.

Arriva dunque a Firenze nell’estate del 1982 dal Perugia del Presidente Franco D’Attoma, dove aveva esordito in serie  A appena diciottenne nel campionato 1979-80; e proprio in quella stagione Celeste si trova come compagno di squadra addirittura Paolo Rossi, il Pablito del mundial di Argentina 1978, parcheggiato al Perugia da Giusy Farina, il vulcanico presidente del Lanerossi Vicenza che alle buste, grazie ad una cifra per allora esorbitante, lo aveva strappato alla Juve degli Agnelli e di Boniperti.

E’ una campagna acquisti quella del 1982  senz’altro ambiziosa (anche se alla prova dei fatti si rivelò sbagliata), che riflette lo spirito di rivalsa dei Pontello dopo il furto dello scudetto di qualche settimana prima, definitivamente consumato sui campi del Sant’Elia di Cagliari e del Comunale di Catanzaro complici gli arbitri Mattei di Macerata e Pieri di Genova, campagna acquisti  che porta a Firenze oltre a Pin anche l’incommensurabile Daniel Passarella con il quale Celeste farà coppia fissa al centro della difesa viola per ben quattro stagioni, ed una nutrita schiera di altri calciatori il cui rendimento fu molto inferiore alle attese di società e tifosi  come il terzino Federico Rossi prelevato dall’Avellino ed allora considerato addirittura come l’anti Cabrini, il mediano Patrizio Sala, l’ala Giuseppe Bellini, l’attaccante Alessandro Bertoni meglio noto come “Bertoncino”, il Bertoni “minor” come avrebbero appellato gli antichi romani.

Per la storia il deludente esito di quel campionato, il quinto posto finale non bastò allora a conquistare l’accesso alla Coppa Uefa: non fu comunque imputabile soltanto alla scarsa resa di molti dei nuovi acquisti, ma anche alle difficoltà di ambientamento di Passarella che si sbloccò soltanto nel girone di ritorno e all’epatite che colpì Daniel Bertoni, il “maior”, costringendolo ai box per mezzo campionato.

Pin arriva dunque in quell’estate 1982 gravato dalla pesante responsabilità di dover sostituire Pietro Vierchowod, una delle chiavi del brillante ma dall’esito infausto campionato precedente, l’uomo che come una saracinesca aveva reso ermetica la difesa viola (17 gol al passivo di cui solo 5 nel girone di ritorno).

Ma nello stesso tempo arriva portando in dote, nonostante la sua giovane età, un episodio che lo fa subito entrare nelle grazie della tifoseria e del popolo viola ancora ferito dalle ingiustizie subite a favore dell’odiata Juventus facendolo sentire uno dei loro.

L’episodio è collegato ad un Juventus-Perugia del girone di ritorno del campionato 1980-81 arbitro Terpin, la Juventus impegnata nella lotta scudetto (che poi si aggiudicherà) il Perugia in quella per la salvezza (alla fine retrocederà); il ventenne Pin è destinato alla marcatura di Bettega ed alla fine del primo tempo i grifoni si trovano in vantaggio per 1 a 0, risultato che in zona Cesarini i bianconeri riescono a ribaltare grazie anche all’arbitro Terpin che concede alla Juve un rigore molto generoso dopo averne negato uno al Perugia.

Ebbene il giovane Pin, incurante delle conseguenze che potevano derivargli osando mettersi contro la Vecchia Signora ed il suo sistema di potere e dando sin da allora dimostrazione di essere uomo dalla schiena dritta, denuncia alla Procura Federale Bettega reo di avergli a più riprese nel corso della partita chiesto comportamenti di gioco compiacenti per far segnare la Juventus.

La denuncia fa esplodere il caso che riempie per settimane le pagine dei giornali diventando per molte puntate argomento fisso del Processo del lunedì di Biscardi, caso che si chiude con la squalifica di Bettega per tre mesi per comportamento sleale, squalifica alla fine indolore perché scontata interamente nel periodo di sospensione estiva tra un campionato e l’altro.

E a ben riflettere l’episodio un effetto sulla carriera di Celeste forse lo ebbe solo pensando al fatto che fu possibile per la Fiorentina ingaggiarlo nonostante si trattasse di uno dei migliori prospetti (secondo il gergo odierno) nel ruolo, figure di calciatori di cui la Juve di Boniperti faceva incetta assicurandosi così i migliori.

Ma in fondo meglio così per Firenze e la Fiorentina, ed anche per Celeste che alla Juve sarebbe probabilmente passato come una delle tante meteore per poi essere presto relegato in una provinciale.

Si diceva non un campione ma uno stopper, ruolo oggi scomparso, assolutamente affidabile come la lunga militanza in una squadra come la Fiorentina sta a dimostrare: dotato di senso della posizione, eccellente nel gioco aereo e ci sentiamo di dire anche elegante nelle rare sortite palla al piede che quel ruolo poteva consentirgli.

A trovargli un difetto, più che la velocità, dote rara nei difensori di stazza come lo era Celeste, il non essere abbastanza “truce” per contrastare più efficacemente i centravanti, quelli del gol per intendersi, al cui annullamento era tutte le domeniche chiamato, caratteristica che spesso costituiva la principale se non l’unica dote di tanti stopper di quell’epoca ma forse incompatibile con la sua qualità di uomo gentile. 

E qui ci viene da accostarlo a quel grande difensore della storia della Fiorentina che risponde al nome di Giuseppe Brizi.

E’ protagonista nella Fiorentina della stagione 1983.-84, l’avveniristica Fiorentina che Giancarlo De Sisti schiera con la difesa a tre, modulo visto per la prima volta a Firenze altro che storie, Pin e Contratto marcatori e Passarella libero e regista non solo difensivo davanti a Giovanni Galli, centrocampo da Nazionale con Oriali, Pecci ed uno splendido Antognoni finché la sorte gli consente di giocare, Massaro incursore a tutto campo, Pasquale Iachini e Bertoni ali come si intendeva una volta e quindi con propensione quasi esclusivamente offensiva, e Monelli centravanti.

E’ una delle più belle Fiorentina mai viste, siamo carichi di oltre sessanta anni di memoria viola riuscendo a ricordare qualcosa delle stagioni che precedono quelle della Fiorentina yè-yè, ma ciò nonostante il grande obbiettivo sfuma ancora una volta e siamo soltanto terzi dopo Juventus e Roma; il nostro campionato finisce infatti domenica 12 febbraio 1984, diciannovesima giornata quarta di ritorno Fiorentina – Sampdoria arbitro Mattei di Macerata – per noi autentico uomo nero – quando, una spericolata entrata del blucerchiato Luca Pellegrini procura al nostro capitano, che stava disputando forse la sua migliore stagione per continuità e qualità di gioco, la frattura di tibia e perone che lo metterà out per un lungo periodo pregiudicandone il finale di carriera.

Nei nove anni in maglia viola Pin ha giocato a fianco di una schiera di ottimi giocatori se non di fuoriclasse. Oltre quelli della splendida formazione che abbiamo ricordato, ci vengono ancora  in mente Ciccio Graziani, Claudio Gentile, Socrates, Ramon Diaz, Nicola Berti, Alberto Di Chiara, Roberto Baggio, Carlos Dunga, Stefano Borgonovo, risultando sempre tra i più presenti con l’eccezione  delle due stagioni sotto la guida di Sven Goran Eriksson, 1987-88 e 1988-89, nelle quali non va oltre i diciannove gettoni, probabilmente per la propensione dell’allenatore svedese verso il gioco a zona che lo portò ad impiegare al centro della difesa a fianco dell’intoccabile pupillo Glenn Hysen (ecco un giocatore che è passato senza lasciare traccia) anche l’eclettico Sergio Battistini, giocatore più propositivo non foss’altro che per la sua formazione da centrocampista.

Le sue duecento partite in campionato sono impreziosite da due soli gol, ma allora i difensori e soprattutto gli stopper segnavano molto meno di adesso: nella sua prima stagione in Fiorentina – Verona del 28 novembre 1982 il gol del definitivo 1 a 1 dopo che gli scaligeri erano passati in vantaggio col mediano Volpati; il 22 marzo 1987 in Fiorentina – Milan il gol del momentaneo 1 a 2 prima del definitivo 2 a 2 di Alberto Di Chiara in rimonta dopo i gol di Galderisi e Virdis che avevano portato al riposo i rossoneri sul 2 a 0.

E’ ancora tra i protagonisti della disgraziata finale di andata di Coppa Uefa del 2 maggio 1990 a Torino contro la Juventus, ed è proprio lui a subire un clamoroso fallo da Casiraghi che lo atterra spingendolo a due mani in prossimità della porta di Landucci, fallo che soltanto l’arbitro spagnolo Soriano Aladren non vede; e sarà lo stesso Casiraghi nell’immediato prosieguo dell’azione a segnare il momentaneo 2 a 1 a favore della Juve.

Ricordiamo bene ahinoi l’esito della doppia finale con la Fiorentina sconfitta per 3 a 1 nell’andata di Torino e condannata a giocare il ritorno ad Avellino feudo bianconero.

Alla fine della partita si sentirà Celeste inveire contro gli juventini urlando “ladri, ladri!” e poi, a torso nudo ed avvolto da un asciugamano dopo la doccia, tutto concitato rilasciare alle televisioni dichiarazioni al vetriolo, anche in questa situazione interpretando e dando espressione ai sentimenti del popolo viola vittima dell’ennesima ingiustizia.

Nella sua ultima stagione a Firenze, la prima della gestione Cecchi Gori che si chiude con un deludente dodicesimo posto, è tenuto ai margini dal nuovo allenatore Sebastiao Lazaroni che lo impiega soltanto in dieci partite.

L’anno successivo viene ceduto al Verona dove, dopo il primo campionato nella serie maggiore con 29 presenze ed un gol che si conclude tuttavia con la retrocessione in cadetteria: disputa altri tre campionati di serie B nei quali l’Hellas non riesce ad ottenere la promozione ed il ritorno in serie A.

Chiude la sua onorevolissima carriera nel 1996, a 35 anni, dopo un campionato di serie C col Siena collezionando 31 partite ed una rete.

Conclusa l’esperienza di calciatore si impegna nelle molteplici attività che abbiamo prima ricordato continuando a vivere a Firenze città che forse sin da subito aveva sentito come sua città d’elezione.

Ormai tanti anni fa ci è stato dato il caso di conoscerlo personalmente nell’ambito della sua attività nel settore immobiliare restando colpiti per l’educazione, la gentilezza dei modi e la pacatezza delle parole, scevre del benché minimo senso di supponenza che avrebbe potuto derivargli dai suoi trascorsi di calciatore nella Fiorentina, e ne ricordiamo ancora l’espressione seria ed un po’ malinconica (un presentimento?).

A te come a nessuno caro Celeste, per i tormenti che ora sappiamo hanno accompagnato il tuo cammino terreno, vada forte l’auspicio “sit tibi terra levis”.

Marco Pieri – Viola Club Franco Nannotti

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