VENERDÌ 20 GIUGNO ore 17:30
SALONE DE’ CINQUECENTO PALAZZO VECCHIO
CELEBRAZIONE DEI VINCITORI COPPA ITALIA 1975
Alla fine della travagliata stagione 1974-75 la Fiorentina vinse la Coppa Italia battendo in finale il Milan (3-2) all’Olimpico di Roma. Fu un successo importante che lasciava presagire una Fiorentina vincente, ma una serie di incidenti ed infortuni decise diversamente. Quella Coppa Italia, consegnata nelle mani del capitano Claudio Merlo, resta la vittoria più importante ottenuta in maglia viola da Giancarlo Antognoni, Moreno Roggi, Vincenzo Guerini, Claudio Desolati, Domenico Caso, Giancarlo Galdiolo…
Il Comune di Firenze ha deciso di celebrare e premiare i protagonisti di quell’impresa sportiva con una manifestazione che si svolgerà nel Salone de’ Cinquecento e che sarà presentata da Massimo Marianella e Massimo Sandrelli. Verrà proiettato un video dal titolo 1974-75 Fiorentina asso di coppe realizzato da Massimo Cervelli e Marco Vichi, successivamente saranno chiamati i vincitori. È un omaggio doveroso a quella squadra.
Il successo del 28 giugno 1975 affonda le sue radici all’inizio degli anni Settanta. La Fiorentina, guidata dal presidente Nello Baglini, dopo il capolavoro dello scudetto 1968-69 non riuscì a mantenersi competitiva ad altissimo livello, così come era stato previsto.
Si era esaurita la spinta degli ye ye e venne forse sopravvalutata la rosa della squadra pensando, come spesso avviene quando si vince, che conservarla fosse la missione fondamentale, mentre, con il troppo facile senno del poi, avrebbe dovuta essere rinforzata con l’acquisto di un paio di titolari e, soprattutto, di alternative adeguate.
Va detto che nella stagione 1969-70, con la maglia scudettata, alcune circostanze non aiutarono. La Fiorentina arrivò allo scontro diretto con il Cagliari, alla 5a giornata, a punteggio pieno, ma sbatté contro l’arbitraggio di Concetto Lo Bello. Il principe del fischietto volle dare spettacolo, sfidando pesantemente (e non era la prima volta) il pubblico di Firenze. Quella sconfitta, vissuta anche dallo spogliatoio come pesantemente ingiusta, fece disunire la squadra che perse il treno per lottare nuovamente per il titolo. In Coppa dei Campioni, trovammo il Celtic Glasgow nei quarti di finale. Gli scozzesi, nel loro ciclo migliore erano un osso duro: vinsero la Coppa dei Campioni nel 1967 e nel 1970 furono sconfitti in finale, nei tempi supplementari, dal Feyenord, dopo aver eliminato in un’epica semifinale il Leeds battendolo sia all’andata che al ritorno. La Fiorentina perse a Glasgow (3-0), pagando le scelte super difensive di Pesaola. Nella partita di ritorno, con una prestazione generosissima, non riuscì ad andare al di là dell’1-0, insufficiente a riaprire i giochi per la qualificazione.
La voglia di rivincita caratterizzò l’estate, con l’acquisto di Vitali dal Vicenza, vice capocannoniere del campionato dietro Gigi Riva. Baglini, dopo aver visto la Coppa del Mondo in Messico, annunciò l’attacco a tre punte, con le ali Mariani e Chiarugi. Vennero ceduti importanti protagonisti dello scudetto (Amarildo, Rizzo, Maraschi, Rogora), ma la squadra, ancora affidata a Bruno Pesaola, non riuscì a trovare una propria identità ed un proprio equilibrio. Vitali restò un elemento estraneo e la Fiorentina, affidata nel girone di ritorno ad Oronzo Pugliese, venne coinvolta, fino all’ultima giornata, nella lotta per non retrocedere. Scampata la grande paura Baglini lasciò la presidenza ad Ugolino Ugolini, già vicepresidente e nel consiglio direttivo viola fin dai tempi di Enrico Longinotti.
Ugolini voleva vincere il terzo scudetto e puntò a costruire una formazione basata sulla “meglio gioventù”, acquistando i migliori italiani e promuovendo i talenti del nostro vivaio. Per accompagnare questa crescita fu scelto l’allenatore giusto, Nils Liedholm, e vennero confermati giocatori esperti (De Sisti, Merlo, Brizi, Superchi ma anche Chiarugi, Esposito e Ferrante ceduti l’anno dopo), acquistando un grandissimo centravanti (Sergio Clerici) e un giocatore dal grande dinamismo (Nevio Scala). L’anno successivo la Fiorentina riuscì ad aggiudicarsi Giancarlo Antognoni e Moreno Roggi che raggiunsero Desolati e gli altri promossi dalle giovanili (Orlandini, Caso, Pellegrini, Braglia, Restelli…). Con Liedholm, ottenendo un quinto ed un quarto posto, ci qualificammo in entrambe le stagioni per la Coppa UEFA. Sembrava un matrimonio destinato a durare, in realtà il rapporto tra la società e il tecnico si era logorato.
L’importanza della continuità della guida tecnica nella crescita della squadra venne sottovalutata e lo vedemmo con estrema chiarezza nella stagione 1973-74. Venne scelto un allenatore emergente, che aveva portato il Cesena in serie A: Gigi Radice, esordiente nella massima divisione. Gigi anticipava il futuro, ispirandosi al gioco totale dell’Ajax e dell’Olanda – pressing e manovra a tutto campo, pur con contrappesi tipicamente italiani in fase difensiva. Le grandi idee erano accompagnate dalle scarse pretese economiche elemento che, per le dirigenze viola, è quasi sempre stato determinante. Gigi si oppose strenuamente, ma senza successo, alla cessione di Orlandini e propose un gioco collettivo, con Superchi in porta; due marcatori sulle punte avversarie (Galdiolo e Della Martina) due terzini (Roggi e Beatrice) che spingevano e contrastavano le ali avversarie, con Brizi al centro della difesa, libero di chiusura e costruzione. A centrocampo la regia fu affidata a Merlo, che operava principalmente fra le due trequarti. De Sisti venne retrocesso a mediano intercettatore e di ripartenza che giocava a zona, ma nel ruolo emerse Vincenzo Guerini. Caso giocava ala destra, ma entrando spesso in mezzo al campo. Antognoni agiva da centrocampista offensivo libero di esprimersi e davanti aveva due attaccanti (fra Speggiorin, Desolati, Saltutti) a costruire una girandola offensiva con calciatori che “giravano” ed entravano nell’area avversaria. La Fiorentina entusiasmò il pubblico e sembrava l’unica a poter insidiare la Lazio di Maestrelli avviata a vincere il suo primo scudetto. Fu Radice a gettare acqua sul fuoco. La squadra era troppo giovane, non andava giudicata per quel campionato, ma per il successivo. Questi erano i tempi necessari alla maturazione del gioco e dei protagonisti.
Gigi, che due anni dopo vinse lo scudetto con il Torino, era l’uomo giusto al posto giusto, l’allenatore giovane per una squadra di giovani: aveva abolito i ritiri e parlava di professionisti che dovevano vivere liberamente la propria vita. Lo scontro con Ugolini era netto su questo versante e le tensioni divennero ricorrenti.
Terza a cinque giornate dalla fine del campionato, la Fiorentina, complice un rigore decisivo sbagliato nell’ultima partita, finì al sesto posto fallendo la qualificazione alla Coppa UEFA.
Ugolini giocò, contro Radice, la carta della provocazione. Nereo Rocco, uno degli allenatori che aveva fatto la storia del calcio italiano vincendo due volte la Coppa dei Campioni, venne assunto come responsabile tecnico generale. Un ruolo che Rocco, per propria esplicita ammissione, non conosceva. Era la mossa giusta per far dimettere Radice: “non posso accettare di avere una balia”, nemmeno se è il mio vecchio allenatore.
Rocco sembrò avere ancora l’entusiasmo giusto per guidare una squadra piena di giovani – se ne era andato anche De Sisti, tornato alla Roma dopo nove anni. Il pubblico viola concesse al “paron” (padrone), come era soprannominato, un’importante apertura di credito. Alla rosa dell’anno precedente era stato aggiunto Gianfranco Casarsa, giovane centravanti acquistato dal Bari ed era stato riscattato dal Vicenza Walter Speggiorin.
Eravamo, dal punto di vista societario, al terzo allenatore in quattro anni: la conferma che il progetto tecnico prescindeva dalla figura del tecnico. Dopo un buon inizio — con il superamento del girone di Coppa Italia e due vittorie nelle prime giornate di campionato — la Fiorentina sembrò mantenere una discreta marcia fino alla nona giornata, almeno dal punto di vista dei risultati, mentre il gioco continuava a latitare.
Nelle successive undici gare i viola raccolsero sette punti. La grande personalità del tecnico era ormai scollegata dal lavoro sul campo. I calciatori lo capirono per primi e lanciarono l’allarme rosso: “non prepariamo tatticamente le partite”. La squadra, nervosa, collezionò ammonizioni e brutte prestazioni. A febbraio Rocco aspettava il licenziamento che non avvenne. La Fiorentina preferì giocare in anticipo, scegliendo l’allenatore per il prossimo campionato: Carletto Mazzone, classe 1937, che aveva portato, in tre anni, l’Ascoli dalla serie C alla serie A.
Rocco non aveva capito i giovani, o non li aveva voluti capire. I giovani non lo avevano capito, o non lo avevano voluto capire. Fu proprio nel finale del campionato, quando era già chiaro il futuro, che la squadra viola ritrovò la tranquillità e terminò la stagione con due grandi prestazioni, segnando in 180’ 8 reti, più del 25% dell’intero campionato (31 reti). Nelle altre 28 partite era riuscita a realizzarne soltanto 23 con una media di 0,82 gol a match…
L’acuto, apprezzatissimo, fu alla penultima giornata, quando la Juventus arrivò a Firenze portandosi dietro le casse di champagne per brindare alla vittoria matematica dello scudetto. I bianconeri furono suonati e, dopo tanti mesi, la Fiorentina, nonostante numerose assenze, fece una gara scintillante rifilando ai gobbi un secco 4-1. I tappi delle bottiglie dovettero aspettare un’altra settimana per saltare. L’ultima domenica la quaterna fu bissata a Marassi contro la Sampdoria (4-3) e l’anonimo campionato finì all’ottavo posto con 31 punti.
Nereo Rocco se ne tornò immediatamente a Trieste, la sensazione era di una stagione buttata via, ma restava da giocare il girone di semifinale della Coppa Italia. La squadra, così come era già successo alla fine del campionato 1970-71, venne affidata a Mario Mazzoni l’uomo che c’era sempre, soprattutto nei momenti più difficili, ma di questo parleremo il 20 giugno…
Redazione Alé Fiorentina