Andrea Mazzoni è l’autore di questa ricerca storica sul grande giocatore della Fiorentina che nel 1943 venne fucilato dai nazisti, tingendo di viola il sangue versato nella resistenza al fascismo.
Ne pubblichiamo la premessa e la copertina. Grazie Andrea!
Premessa del libro Armando Frigo, il “tenente viola” (e altri che dettero un calcio al nazifascismo), Pentalinea Editore, 2023.
Questo è un libro che parla di calcio – quindi ovviamente anche di calciatori – a partire dalla constatazione evidente della pervasività sociale di questo sport divenuto da tempo un fenomeno di massa, in un intreccio ormai inestricabile – quasi una osmosi – con economia, politica, finanza, spettacolo, mezzi di comunicazione (tv, giornali), produzione culturale (letteratura, cinema, musica, arte, saggistica), ecc. Circostanza che ha finito per renderlo oggetto di osservazione ed analisi anche dal punto di vista storico, sociologico, antropologico e perfino psicologico e filosofico. Senza dimenticare le connessioni – al pari degli altri sport – con gli aspetti medico-scientifici e tecnologici che hanno consentito agli atleti di raggiungere prestazioni sempre più – come si usa dire oggi – performative e sempre più avanzati traguardi agonistici.
È anche un libro che si sviluppa per successive focalizzazioni, appuntandosi via via su aspetti più specifici di questo fenomeno sportivo e di costume, partendo proprio dagli ambiti socio-politico-culturali poco sopra ricordati, senza la pretesa di affrontarli esaustivamente, ma suggerendo comunque riferimenti a cui fare ricorso per chi volesse meglio approfondire l’argomento nelle sue plurime sfaccettature.
In questo progressivo avvicinarsi – come ruotando la ghiera che agisce sulla lente di un binocolo – al soggetto principale del volume, cioè il personaggio sportivo che ad esso dà il titolo, un ampio spazio è dedicato a un tema che nell’ambito della storia del calcio ha conosciuto negli ultimi venti anni una significativa crescita di attenzione e cioè il ricordo, il farsi “memoria” di coloro – giocatori, allenatori, dirigenti – che dovettero incrociare il proprio destino, in modo spesso tragico, con il “male assoluto” del nazismo e del fascismo: ora lottando per la libertà e la riconquista della democrazia nelle formazioni partigiane, per dare – si potrebbe dire – “un calcio al nazifascismo”; ora conoscendo persecuzioni politiche, discriminazioni razziali, processi di disumanizzazione e anche la morte nei campi di concentramento; ora perdendo la vita nel corso di eventi bellici, bombardamenti, rastrellamenti, oppure – per chi aveva scelto la via della lotta armata – durante azioni di combattimento nelle formazioni di patrioti antifascisti o ancora nelle unità militari che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 si rifiutarono di arrendersi ai tedeschi e in molti casi li combatterono.
Al termine di questa focalizzazione – cioè nella seconda parte del libro a lui interamente dedicata – sta la figura di Herman Frigo, italianizzato poi in Armando, il calciatore… yankee (era nato negli Stati Uniti da immigrati veneti) che militò in Vicenza, Fiorentina e Spezia, totalizzando in nove stagioni, fra il 1934-35 e il 1942-43 – tra serie A, B e C – 144 presenze con 42 goal (cui si potrebbero aggiungere, per un quadro più complessivo, quelle di Coppa Italia, i numerosi match disputati nei campionati riserve sia in maglia biancorossa che viola, le gare amichevoli).
Quella di Frigo è anche una “storia di calcio” ambientata in un calcio che non c’è più: capace sì, pure quello, di suscitare grandi passioni, ma fatto ancora – se così si può dire – di una fatica “artigiana” e lontana anni luce dagli eccessi mediatici e di divismo odierni, con maglie senza sponsor e un po’ grossolane, terreni di gioco spesso a dir poco insidiosi per muscoli e caviglie, porte con i pali quadrati e gli spigoli, tifoserie naif più da gita dopolavoristica che non inquadrate falangi. Un calcio la cui storia era fatta anche da rinomate squadre di provincia, spesso con un blasone più antico di molti club delle grandi città (e non per nulla la squadra del Vicenza in cui iniziò l’avventura sportiva di Frigo era definita la “Nobile Provinciale”). Insomma, un calcio d’altri tempi, con un sapore di ingenuità, nei cui riguardi viene facile provare una sorta di intenerimento e perfino – al netto di guerre e fascismi – un qualche senso di nostalgia per un’epoca che neanche si è vissuta.
Seguiremo dunque la carriera di Frigo, passo dopo passo (in particolare con un minuto spoglio delle fonti giornalistiche, soprattutto «Vedetta fascista» per gli anni vicentini, «La Nazione» e «Il Nuovo Giornale» per quelli fiorentini, oltre a «Il Littoriale»), utilizzandola, nel suo sviluppo cronologico, anche per ricordare il contesto – compresi alcuni passaggi epocali della storia d’Italia – in cui essa si svolse. A partire dalle stesse realtà cittadine in cui Armando giocò, tutte assai significative nella loro peculiarità: Vicenza, dove il fascismo dovette sempre fare i conti con una forte, irriducibile componente di cattolicesimo sociale lì presente; Firenze in cui, sin dalle origini, un fascismo particolarmente irrequieto e tracotante non solo riuscì dapprima ad affermarsi nella provincia risultata nel 1919 la più rossa d’Italia, ma conseguì poi un vasto radicamento, vedendo anche l’ascesa di figure centrali del regime come Alessandro Pavolini (successore, peraltro, del presidente viola Ridolfi alla guida del fascio fiorentino); La Spezia, centro nevralgico della macchina militare del Regno con il suo porto e arsenale navale.
Si cercherà peraltro – viaggiando fra le cronache calcistiche dai toni spesso retorici e dal lessico per lo più enfatico, secondo la prosopopea dell’epoca – di dettagliare il più possibile il percorso agonistico di Frigo da Vicenza a Firenze a Spezia, anche per dare il senso di come, nonostante fosse un football ben lontano da quello di oggi, pure un calciatore non sempre destinato a partire come titolare fisso (e allora non c’erano neanche possibilità di sostituzioni in corso di gara), dovesse comunque rispondere – tra campionato, coppa Italia, torneo riserve, amichevoli, allenamenti infrasettimanali (e negli anni più verdi, anche i tornei della Gioventù Italiana del Littorio…) – ad impegni continuativi e quantitativamente assai rilevanti. Nel caso di Frigo – a dare ulteriore spessore alla sua figura – con l’aggiunta dello studio, prima diplomandosi ragioniere, poi frequentando l’Università.
Seguendo le orme di Frigo sui campi di gioco, scopriremo inoltre come la sua personale vicenda calcistica presenti anche un interesse propriamente “tecnico”, dal punto di vista della storia del football italiano, perché essa, negli anni in cui Herman/Armando vestì la maglia viola, incrociò la svolta tattica del “sistema”, cioè l’innovativo modulo di gioco adottato (e adattato) dalla Fiorentina allenata da Galluzzi: un’impostazione tattica che suscitò ampia discussione nell’ambito delle teorizzazioni calcistiche dell’epoca sviluppatesi sui giornali di settore, come per esempio “Il Littoriale”. E proprio Frigo, per la sua duttilità e versatilità nell’adattarsi ai ruoli e agli schemi di gioco, per il suo essere calciatore “classico” che ai piedi buoni seppe poi coniugare anche la necessaria “fisicità”, venne a trovarsi in qualche modo al centro del dibattito (e di talune polemiche), essendo a un certo punto spostato dalla sua originaria posizione di mezz’ala destra a quelle – il laterale di mediana e soprattutto il centrosostegno di marcatura (o centromediano, o perno) – che dello schema attuato dai gigliati rappresentavano i veri e propri “cardini”.
Interrotta poi, nel fuoco della seconda guerra mondiale, la propria attività agonistica, essendo divenuto sottotenente del Regio esercito, Frigo fu protagonista sul fronte balcanico – dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 – di un episodio di resistenza alle truppe naziste che può in piccolo richiamare alla mente la celebre resistenza all’avanzata dei Persiani messa in atto da Leonida e dai suoi spartani alle gole delle Termopili. Infatti, per un intero mese di battaglia e sotto il fuoco delle incursioni aeree degli Stukas, il sottotenente Frigo e altri tre suoi parigrado – ciascuno con circa venticinque propri soldati – ressero le posizioni sul passo di Crkvice, in Montenegro, nella strategica zona delle Bocche del Cattaro, onde consentire lo sganciamento di truppe italiane e di partigiani jugoslavi dalla accerchiante morsa tedesca. Una resistenza che, per le responsabilità del suo grado, costò a Frigo la vita, il 10 ottobre 1943, giustiziato sotto il piombo nazista assieme agli altri tre ufficiali, ottenendo però con quel sacrificio la salvezza dei propri uomini.
Dopo la morte, mani femminili del paese dove l’esecuzione era avvenuta, recuperandone la salma, gli trovarono addosso, fra gli effetti personali, un santino della Madonna del Santuario di Monte Berico (protettrice della “sua” Vicenza sin dai tempi della peste del 1426-1428) e la tessera di calciatore della Fiorentina, portata “religiosamente” – si potrebbe quasi osar dire, visto il contesto drammatico in cui Armando aveva voluto averla con sé – fino al tragico epilogo della sua esistenza. Che, cominciata nelle lontane terre dell’Indiana, spesso attraversate dai devastanti tornadi ed uragani tipici delle grandi pianure del Mid-West, trovò la sua fine nell’infernale uragano bellico di quella seconda guerra mondiale scatenata dai fascismi d’Europa. Una storia che a nostro parere meritava di essere raccontata più nel dettaglio di quanto non fosse fin qui avvenuto e di essere contestualizzata in quel mondo fatto di forti passioni ed emozioni, di vittorie e di sconfitte, che – anche per i suoi intrecci storici, sociali, culturali – può essere considerato per più versi una metafora della vita: il mondo dello sport, il mondo del pallone.
Redazione Alé Fiorentina