Se dicessimo che la Fiorentina di oggi è una squadra in crisi, certamente non diremmo un’eresia. Anche se la classifica piazza i viola – nel momento in cui scriviamo – al settimo posto e tra le squadre battute in questa stagione ci sono quasi tutte le big del nostro campionato. Potrebbe sembrare un qualcosa d’impossibile, ma la squadra di Palladino è riuscita fin qui a fare tanto bene in un certo periodo dell’anno e tanto male negli altri. Al punto che verrebbe da chiedersi qual è la vera Fiorentina (e quale il vero Palladino). Rispetto allo scorso numero di Alé Fiorentina, nel quale appunto ci ponevamo domande che, per loro natura, non possono trovare risposta su queste pagine, un mese dopo ci troviamo nelle stesse condizioni, anzi peggiori: nel mese di febbraio, Kean e compagnia bella hanno collezionato 2 vittorie, in casa contro Genoa e Lecce, e la bellezza di 3 sconfitte, contro Inter, Como e Verona. Proprio queste ultime due brutte batoste hanno fatto traballare la panchina di Raffaele Palladino. Non soltanto per il risultato, di per sé molto grave e oltremodo deludente, ma anche e soprattutto per le prestazioni: questa squadra non sembra avere nel proprio bagaglio un’identità definita. O meglio, non sembra avere un’identità di gioco che possa soddisfare il palato fino della tifoseria viola, che possa rispecchiare gli umori della città, che possa far divertire e portare punti. Perché anche nelle giornate più positive, la Fiorentina è parsa passiva, attendista, più preoccupata a non “buscarne” e che a creare occasioni. Una Fiorentina, e un calcio, d’altri tempi in cui anche i giocatori dotati di maggior estro e tecnica sembrano limitati dalla (apparente?) predisposizione del mister alla difesa. E quando alcuni calciatori – Cataldi prima, Folorunsho poi -, rivolgendosi all’allenatore gigliato, chiedevano spiegazioni sul da farsi, la mente è corsa veloce ai tempi in cui al Franchi risuonava un enigmatico “Gioca, gioca!”. Perché la Viola nell’ultimo periodo è stata, più o meno, quella di Beppe Iachini. Più forte tecnicamente, è ovvio, ma ugualmente confusa e priva di idee quando l’avversario, la partita o il frangente richiedeva di tirar fuori dal cilindro qualcosa del proprio. Una squadra spesso in balia dell’avversario di turno, sovrastata agonisticamente e a livello di motivazioni. Per cui, oltre che l’identità, viene spontaneo domandarsi: ma i leader, questa Fiorentina, li ha? Chi sono quei giocatori che, in campo, dovrebbero dare la scossa ai compagni, gestire i momenti della gara, fare da megafono alle parole dell’allenatore in panchina? Per esperienza e caratura del giocatore, come primo nome, viene in mente Gosens. Poi Ranieri o Kean, che certamente non pecca di scarsa personalità e ha dimostrato ampiamente di sapersi caricare la squadra sulle spalle. Poi? Fatichiamo a trovarne altri, dal momento che due dei più forti tecnicamente, Adli e Gudmundsson, faticano a trovare continuità. È importante dunque lavorare sull’identità di gioco, trovando un equilibrio tra il timore di subire e la necessità di giocare al calcio, ma è altresì di primaria importanza trovare (o ritrovare) i leader di questo gruppo. Solo così la Fiorentina può pensare di salvare una stagione che, ad un certo punto, sembrava poter regalare sogni incredibili e che oggi sembra destinata a scivolare via senza lode e senza infamia.
Tocca a Palladino, quindi, salvare la sua panchina (e, in parte, la sua carriera). La sensazione diffusa è che non avrà ancora molti bonus da giocarsi, per cui dovrà esser bravo a riciclare il suo calcio, a ricompattare il gruppo, a riconquistare la fiducia e l’entusiasmo della tifoseria. E dovrà farlo piuttosto velocemente, perché alle porte c’è la doppia sfida da dentro o fuori con il Panathinaikos. Una sfida, quella, che non può essere sbagliata né dal punto di vista del risultato né da quello della prestazione.
C’è bisogno infine anche della società. Perché se la squadra è sembrata senza identità, l’allenatore è apparso senza alcun sostegno. Palladino ha dato l’impressione di essere un uomo solo nel bel mezzo del mare in burrasca. Oltre a perdere partite francamente inspiegabili, per valori in campo, ha dovuto gestire le dichiarazioni di dirigenti che, anziché appoggiarlo e “proteggerlo” pubblicamente, come si dovrebbe sempre fare con il proprio mister, non hanno fatto a meno di sottolineare le sue responsabilità (escludendo, conseguentemente, le loro). Anche su questo aspetto c’è molto da lavorare perché, da fuori, quello viola non sembra certamente un ambiente sereno e unito.
Identità, leader e unione, quindi. Tre punti-chiave sui quali la Fiorentina deve cambiare marcia per provare a rendere questa stagione un qualcosa da ricordare.