di LORENZO MAGINI – 34° puntata
tratto dall’originale stampato nel n° 6 Anno IV di Alé Fiorentina del Febbraio 1969
Aumenta il distacco!
Giunti a questo punto i viola potevano anche riprendere un po’ di fiato: otto punti di vantaggio sulla immediata inseguitrice, il Milan, erano davvero tanti! Per questo, quando la squadra viola si trova di fronte squadre decise a tutto, cerca di contrastarle con criterio, senza esporsi a rischi inutili. Ma più che la bramosia di battere i viola, è il fermo proposito a rimanerne imbattuti quello che prevale negli inseguitori. Per taluni rimanere imbattuti è una questione di orgoglio, per altri questione di necessità di classifica. È questo il caso dei bolognesi che, penultimi in classifica, con soli 16 punti scendono al Comunale di Firenze l’11 marzo. Non vogliono infrangere la serie positiva iniziata due domeniche prima e puntano decisamente ad un pareggio. Ci riescono; e proseguendo poi nella rimonta arriveranno a concludere il campionato senza più subire sconfitte alcuna, mettendo insieme nelle restanti 12 partite ben 20 punti!
Anche a Bergamo di fronte a un pubblico impressionante che per assistere alla partita si sistemava ai bordi del campo, la Fiorentina non andava oltre il pareggio. Assente Virgili per infortunio, il suo posto veniva preso da Julinho che anche nell’inconsueto ruolo di centravanti riusciva a dare una dimostrazione lampante del suo valore di fuoriclasse.
Ma dove Julinho metteva in mostra tutto il suo enorme bagaglio tecnico era nella partita disputata a Firenze col Lanerossi Vicenza.
Scatti, dribbling, finte diaboliche, varietà impensabili di manovra: tutto un susseguirsi di fuochi d’artificio che mandava in delirio gli spettatori presenti al Comunale e frastornava talmente gli avversari da lasciarli addirittura ingiucchiti. Pavinato, che allora era uno dei più promettenti terzini e che in seguito confermerà queste sue promesse diventando uno dei più continui e spietati francobollatori di ali (Hamrin in seguito ben difficilmente riuscirà ad averne ragione), certamente ricorderà ancora il fenomenale Julinho di quel giorno!

Con la vittoria sul Lanerossi la Fiorentina stabiliva un nuovo record: 24 partite consecutive senza sconfitta. Veniva in tal modo superato quello dell’Udinese, che nel campionato precedente era riuscita a non perdere per 23 giornate e precisamente dalla dodicesima alla trentaquattresima.
Restava ancora in piedi però quello stabilito dal Milan nel campionato 1950-51 con il girone a 20 squadre. Questo veniva uguagliato la domenica successiva a Torino, dove i viola battevano i granata, e addirittura sorpassato con la vittoria successiva sul Novara al Comunale, dove al posto dello squalificato Prini debuttava in campionato Scaramucci.
La consacrazione della squadra prodigio si aveva la domenica successiva. Distaccato di ben nove punti si presentava al Comunale il Milan di Nordhal e Schiaffino per disputarvi quella che i giornalisti il giorno successivo avrebbero chiamato «la partita della consegna dello scudetto». I nove punti di distacco diventarono 11. Tre gol finivano nella rete difesa da Buffon, neppure uno in quella difesa da Sarti, rientrato in squadra, dopo il già descritto infortunio alla mano, proprio con questa partita. Veramente, nella rete di Sarti, un gol c’era finito, ad opera di Schiaffino; ma Orlandini aveva detto di no. Due delle reti viola le metteva a segno Pecos Bill, una l’utilissimo Prini. Con quelle messe a segno in questa partita Virgili raggiungeva quota 19: Pivatelli dall’alto dei suoi 21 gol cominciava a temere il sorpasso. Per i selezionatori della squadra azzurra invece, quelle due reti di Virgili erano come una iniezione di speranzosa fiducia per l’incontro prossimo contro la nazionale brasiliana, venuta in Europa con uno scopo ben preciso anche se non confessato: quello di studiare il gioco delle nazionali che probabilmente avrebbe incontrato ai futuri campionati del mondo in Svezia.

El matador del Brasile
Di fronte ad oltre centomila spettatori, brillava sul terreno dello stadio di S. Siro la stella di Pecos Bill, vero matador della giornata: certamente la più radiosa e indimenticabile vissuta dal giovane centravanti viola. Spiccio e scattante, vera spina nel cuore della retroguardia brasiliana, il cui terzetto estremo era formato dai futuri campioni del mondo Gilmar, Dialma Santos e Nilton Santos, un Virgili di dimensioni addirittura insospettate siglava due gol con la freddezza e l’astuzia tipica di un Meazza dei tempi d’oro: il primo con un pallonetto beffardo che scavalcava Gilmar in uscita, il secondo con un rasoterra preciso prendendo in contropiede il portiere precipitosamente uscito per chiudere lo specchio della porta al nostro centravanti. Una partita memorabile di tutta la squadra azzurra con sette viola alla ribalta. Nessuno avrebbe mai immaginato che con quegli uomini saremmo stati esclusi dal torneo finale della Coppa del Mondo; parimenti impensabile sarebbe stato il fatto, che a distanza di meno due anni, di quegli undici azzurri, due soltanto sarebbero stati inclusi nella formazione da opporre a Belfast all’Irlanda del Nord nella disastrosa partita che ci costò l’eliminazione (Montuori e Segato). Erano i tempi purtroppo in cui la nazionale italiana era come nave senza nocchiero, avendone troppi ma senza idee, o tutt’al più molto peregrine.

Campioni d’Italia!
Durissima si dimostrò la partita immediatamente successiva al trionfo azzurro di San Siro. A Roma la squadra viola rischiava la sua prima sconfitta. La tensione nervosa per la partita col Brasile l’aveva quasi svuotata d’energie, A soli tre giorni di distanza la stanchezza era anche umanamente ammissibile. «Ma anche stanca – scriveva Rizieri Grandi – la Fiorentina è sempre una grande squadra»; e proprio per questo riusciva nella impresa di rimanere imbattuta anche al l’Olimpico, anche se aiutata da una decisione arbitrale piuttosto discutibile presa dall’arbitro Liverani, che al 42′ del secondo tempo annullava per un fuorigioco di posizione un gol segnato da Giuliano con un gran tiro da oltre 30 metri.
Col pareggio conquistato a Trieste la domenica successiva la squadra viola raggiungeva la matematica certezza del titolo di campione. A cinque partite dalla fine il suo distacco sulla seconda in classifica, sempre il Milan, era infatti di undici punti; anche perdendole tutte e cinque lo scudetto sarebbe stato suo! Nonostante questa certezza, la Fiorentina continuava nella serie impressionante delle sue partite senza sconfitta: il giovedì successivo, festa del grillo, pareggiava a Firenze con un Napoli tutto arroccato in difesa per necessità di classifica, e la domenica dopo andava a vincere a Ferrara con un gol del debuttante Carpanesi. E dopo il contestato pareggio di Genova con la Sampdoria, che a sei minuti dalla fine si era vista trafitta da Virgili su azione conseguente a calcio d’angolo, ma che l’arbitro graziava annullando la rete di Pecos Bill in un bailamme derivato anche dal fatto che la giacca nera era un austriaco, la Fiorentina si accomiatava dal suo pubblico esultante con l’ultima partita interna con la Lazio. Si decretava in quella splendida domenica di maggio l’apoteosi ai nuovi campioni d’Italia. Tutta Firenze, tutta la Toscana era rappresentata sugli spalti dell’aereo capolavoro di Nervi. E mentre i figuranti del calcio in costume sfilavano lungo la pista rossa dell’atletica rullando i loro grossi tamburi e sventolando i loro cinquecenteschi cappelli, e i tifosi laziali scesi a Firenze lanciavano in aria manifestini biancoazzurri inneggianti ai campioni viola, i giocatori laziali col loro presidente Tessarolo in testa consegnavano agli atleti viola lo scudetto tricolore da cucire sulle maglie. Il risultato conseguito sul campo dai viola (4 a 1) portava l’entusiasmo ai sette cieli. La generale invasione di campo a fine partita, il trionfo decretato ai giocatori issati sulle spalle dei tifosi, l’abbraccio in campo fra Befani e Bernardini, le mal represse lacrime

Venenum in cauda
Quando ormai tutti si aspettavano che la squadra viola riuscisse a terminare il campionato imbattuta, ecco invece, sull’ostico campo di Marassi, la beffa della unica sconfitta.

Una sconfitta immeritata e ingiusta che vale la pena di ricordare nei suoi particolari.

Andata in vantaggio al 24 del primo tempo con un gol di Gratton che riprendeva una centrata di Julinho dalla destra, fino al 15′ del secondo tempo la Fiorentina aveva controllato a suo piacere la situazione: il Genoa pareva ormai rassegnato. A questo punto però si aveva la svolta dell’incontro. Montuori scattava con perfetta scelta di tempo, saltava il terzino De Angelis filando verso la porta avversaria. Vistosi perduto, il terzino si aggrappava ai calzoncini di Miguel, il quale, sebbene frenato, entrava in area di rigore sempre con l’antagonista aggrappato ai suoi calzoncini. Non sentendo nessun fischio da parte dell’arbitro, Miguel divincolandosi tentava il tiro mentre usciva Gandolfi. In quelle condizioni il tiro risultava tutt’altro che efficace. Ionni considerava l’accaduto come regolare: vane le proteste dei gigliati. La partita da quel momento si arroventava. In un contrasto con Chiappella, Carapellese finiva a terra in area di rigore: immediato fischio dell’arbitro e calcio di rigore. Trasformava Gren; era il 29′. Mancavano ancora 16 minuti alla fine: senza dubbio i soli di tutto un campionato giocati con la testa nel sacco dalla squadra viola. Anziché contentarsi del pareggio, inveleniti per il modo col quale l’arbitro si era comportato, si lanciavano a testa bassa all’attacco persino coi terzini. Di questo ne approfittava il Genoa che negli ultimi cinque minuti riusciva ad infilare ancora due volte Sarti, prima con Frizzi e poi con Carapellese, Indescrivibile l’entusiasmo dei giocatori e del pubblico genoano. Magli, il bravo e modesto Magli, che anche in quell’anno si era rivelato come un esperto salvatore di squadre pericolanti, veniva issato sulle spalle dai suoi giocatori.
Il linguaggio delle cifre
Il miracolo di terminare il campionato imbattuta non si era dunque compiuto. Troppo bello, splendido ed unico, sarebbe stato un simile traguardo. Il campionato vinto dalla Fiorentina resta comunque, ancora oggi, uno dei più gloriosi ed eccezionali di tutta la storia del calcio italiano. Non bisogna scordare infatti che in questo campionato la stessa nazionale, l’ossatura della compagine viola, tornava ai fastigi di un tempo. Ma ancor più appare eccezionale e glorioso considerando i record raggiunti dalla squadra viola.
Sette furono i nuovi primati assoluti stabiliti; rammentiamoli uno per uno.
- Maggior sequenza di partite senza sconfitta: 33; precedente primato: del Milan, imbattuto nella stagione 1950-51 per 24 partite (dalla 13a alla 36a partita).
- Migliore serie iniziale di partite: 33; precedenti primati: del Bologna (1931-’32) e dell’Inter (1952-53), ambedue con 19 partite.
- Maggior vantaggio sulla seconda classificata: 12 punti; precedente primato: della Juventus (1932-33) con otto punti (sempre nei campionati con girone a 18 squadre; il Torino del 1947-48 aveva inflitto alla seconda un distacco di 16 punti ma in un girone a 21 squadre).
- Minor numero di sconfitte complessive: 1: precedente primato dell’Inter (1953 ’54) con tre sconfitte.
- Minor numero di sconfitte in trasferta: 1; precedente primato: dell’Inter (1953 *54) con due.
- Minor numero di reti subite: 20; pre cedente primato, della Juventus (1932’33), quella per intenderci del trio Combi, Rosetta, Caligaris, con 22.
- Minor numero di reti subite in campo proprio: 6; primato precedente della stessa Fiorentina (1932-33′) con 7.
Primato uguagliato, quello relativo al maggior numero di punti conquistati in trasferta (24) raggiunto in precedenza dalla Juventus del 1930-31.

I protagonisti
Diciotto erano stati i giocatori schierati dalla Fiorentina in questo campionato e precisamente in ordine di presenze: Giulio Gratton (34), Armando Segato (34), Sergio Cervato (33), Giuseppe Chiappella (32), Ardico Magnini (32), Michelangelo Montuori (32), Giuseppe Virgili (32), Julio Botelho (31), Maurilio Prini (26), Giuliano Sarti (25), Francesco Rosetta (20), Alberto Orzan (18), Riccardo Toros (9), Claudio Bizzarri (6), Bruno Mazza (4), Giampiero Bartoli (2), Aldo Scaramucci (2), Sergio Carpanesi (2). Il maggior peso del campionato era stato sostenuto dai primi tredici; ma anche quando per infortuni o squalifiche si dovette ricorrere alle riserve, nessuno squilibrio né cedimento si era manifestato nella compagine viola. Gli schemi tattici erano stati assimilati così bene da tutti i componenti della rosa, che la Fiorentina poté inserire la riserva Orzan al posto dell’infortunato Rosetta proprio nel momento più cruciale del campionato, e cioè nella vittoriosa partita con l’Inter a S. Siro, facendogli ricoprire quel ruolo fino alla conclusione del girone di ritorno. Lo stesso Carpanesi, pur disputando soltanto due partite poteva rendersi protagonista della vittoriosa trasferta di Ferrara realizzando il gol decisivo.

Sarebbe una nota stonata cercar di individuare i migliori in un complesso simile. Non si può tuttavia negare che la trasformazione avvenuta nella squadra viola, fu dovuta in gran parte all’inserimento dei due fuoriclasse sudamericani, che ricchi d’estro sì, ma anche di una intelligenza calcistica notevolissima, seppero sfrondare il loro gioco dei fronzoli tipici della scuola sudamericana, riducendolo all’essenziale e amalgamandolo e mettendolo al servizio delle doti dei loro compagni, primo fra tutti Virgili, senza rinunciare, quand’era necessario, all’assolo entusiasmante, segno inconfondibile di limpida classe.
Gli artefici del miracolo
Sarebbe facile dire immediatamente: Bernardini-Befani Giachetti. Ma insieme a loro noi vogliamo inserire un quarto personaggio: Luigi Ferrero. Si deve certo a Fulvio Bernardini la definitiva fisonomía della squadra campione d’Italia, ma non bisogna dimenticare che quando Befani lo volle a dirigere la Fiorentina (gennaio 1953), il nuovo allenatore aveva trovato pressoché intatto il sestetto difensivo sul quale costruire il suo capolavoro. E questo sestetto era stato voluto e amalgamato da Ferrero: Cervato, Magnini, Rosetta, Chiappella erano venuti a Firenze per volere di Ferrero, Segato per volere di Magli.
Mancava forse di funzionalità quel sestetto, non certo di potenza. Allorché su quel troncone fosse stata inserita una prima linea di pari valore, il gioco sarebbe stato fatto.
Il merito di Bernardini fu proprio quello di dare una nuova funzionalità al sestetto difensivo e quello di creare una prima linea capace di sviluppare un gioco efficace quanto quello della difesa. Gli ci vollero tre anni, ma alla fine il successo fu raggiunto. Tre anni in cui rifulse tutta l’abilità e la sagacia di Befani, che dando la sua completa fiducia all’allenatore, sapendo attendere e ingoiare anche delusioni amare, metteva la premessa necessaria al conseguimento di quel successo. Giachetti infine con la sua bonomia apparente e la astuta intelligenza dei pratesi, completa il terzetto. Prodigandosi in un’opera oscura ma d’importanza basilare, quella delle public relations, Giachetti riusciva tramite un’accortissima politica a portare la squadra ad una altissima valutazione internazionale. In campo nazionale poi, d’ora in avanti, la squadra viola non sarà più la comprimaria in caso di gloria, ma la protagonista da battere ad ogni costo. Alla conquista dello scudetto la Fiorentina non c’era arrivata né per ragioni politiche né per compiacenti intrallazzi; c’era arrivata per la sua forza e per il suo valore. Una forza ed un valore che sulla carta prometteva lo inizio di una serie pluriennale di successi e che invece, purtroppo, rimarrà un successo isolato, anche se splendido.
(Foto dall’album di Aldo Polidori)