di LORENZO MAGINI – 33° puntata
tratto dall’originale stampato nel n° 5 Anno IV di Alé Fiorentina del Gennaio 1969
Nella stessa giornata in cui la Fiorentina conquistava il primato in classifica, una invasione di campo senza precedenti, turbata per di più da luttuose conseguenze, si verificava al Vomero di Napoli in occasione di Napoli-Bologna. A venti minuti dalla fine il Napoli conduceva l’incontro per 3 a 0; a un minuto era ancora in vantaggio per 3 a 2. Proprio all’ultimo minuto l’arbitro Maurelli decretava contro il Napoli un calcio di rigore: tiro di Pivatelli e gol. Di punto in bianco il terreno di gioco si tramutava in una bolgia infernale. Aveva inizio la caccia all’uomo vestito di nero in un susseguirsi di scene western, costellate da colpi d’arma da fuoco tra polizia e invasori: un povero venditore di bibite finiva all’ospedale in fin di vita con la bocca trapassata da un colpo di revolver. Napoli viveva una serata d’incubo; le vie della città venivano pattugliate dalla polizia in pieno assetto di guerra.
L’arbitro veniva scortato sino a Formia e qui fatto salire su un direttissimo per Roma; i giocatori bolognesi lasciavano alla spicciolata il campo del Vomero ed uno alla volta, a piedi, si recavano all’albergo, per evitare di esser riconosciuti e sottoposti all’ira dei tifosi. Senza dubbio la pagina più nera dello sport napoletano! Molto più nere però le pagine dei quotidiani d’Italia il giorno successivo. La mania dello scandalismo sportivo, alimentata da un’arroventata polemica partitica, prendeva lo spunto da quanto accaduto al Vomero per ingigantire le colpe e trarne conclusioni più o meno apocalittiche. Moralisti a buon mercato e parlamentari in cerca di clientele elettorali da sfruttare vivevano in quei giorni il loro quarto di ora di notorietà.
Il caso Vonlanthen… Julinho e Vinicio.
A tutto questo s’aggiungeva il caso Vonlanthen, che proprio nei giorni precedenti aveva suscitato sulla stampa un vespaio senza precedenti. Il centravanti era stato ingaggiato dall’Inter nonostante il «veto» Andreotti nei confronti degli atleti stranieri. Era un atto di forza da parte della società nerazzurra nei confronti della Federazione che aveva concesso il regolare tesseramento come oriundi ai giocatori Julinho e Vinicio.
Il «veto» Andreotti subordinava il tesseramento di atleti stranieri alla concessione del visto di soggiorno incondizionato da parte delle autorità di polizia: visto, che non poteva esser concesso a calciatori se questi non avessero presentato regolare documentazione di una discendenza italiana, cioè, in una parola, previa dimostrazione di essere «oriundi». Fiorentina e Napoli avevano presentato questa documentazione; regolarmente la Federazione aveva concesso il tesseramento, non potendo invalidare documenti che le autorità di polizia avevano ritenuto regolari. Moratti, che proprio in quell’anno aveva assunto la presidenza della società nerazzurra, non potendo esibire una documentazione di discendenza italiana per uno svizzero autentico, aveva aggirato lo scoglio assumendo Vonlanthen come impiegato in una delle sue aziende petrolifere. La polizia poteva negare il visto a un calciatore, ma non poteva rifiutarsi dal concederlo a un impiegato di un’azienda d’interesse nazionale. Il visto veniva concesso. Una volta in possesso del visto di polizia, l’Inter chiedeva il tesseramento di Vonlanthen facendolo passare a tutti gli effetti come puro dilettante. Chiaro il cavillo legale cui si era ricorsi, ineccepibile però da un punto di vista formale la richiesta dell’Inter. La Federazione però, incerta sul da farsi, nicchiava e soprassedeva al tesseramento di Vonlanthen. Si scatenava allora la stampa del nord contro Federazione e Governo; veniva riportato in ballo il tesseramento come «oriundi» concesso a Julinho e Vinicio in base a tutta una documentazione falsificata, e una interrogazione veniva rivolta da un deputato al Ministro degli Interni Tambroni, col preciso intento di «promuovere indagini atte ad accertare chi sono i responsabili della redazione dei notoriamente falsi documenti anagrafici concernenti i giocatori Julinho e Vinicio».
A questa interrogazione indirettamente rispondeva la Federcalcio per mezzo del seguente comunicato: «Dal punto di vista federale il tesseramento dei due giocatori è da considerarsi del tutto regolare. A noi è pervenuta una documentazione in base alla quale Julinho e Vinicio debbono esser considerati oriundi. Le autorità comunali che hanno compilato i certificati in questione si sono premurate di dissipare in proposito ogni dubbio. Tutto è a posto: bolli, firme, e qualsiasi altra cosa del genere. Se un presunto falso vi è stato, esso non riguarda perciò i documenti in tale senso, bensì quel corredo di notizie che, essendo state avallate dagli uffici competenti, hanno assunto un valore documentativo. La Federazione è quindi assolutamente in regola e non può che restare in attesa, semmai, delle eventuali indagini che il Ministero degli Interni potrebbe predisporre».
La manovra dell’Inter, che in seguito andrà in porto, non era dovuta a una pura e semplice questione di principio. Speravano i nerazzurri, con l’innesto di Vonlanthen in prima linea, di poter contrastare con successo il passo alla Fiorentina: soltanto due punti dividevano l’Inter in classifica dalla compagine viola. E ad uno soltanto questi si riducevano nella giornata successiva. Mentre infatti i nerazzurri andavano a vincere a Bologna, la Fiorentina, a Novara, in una giornata di scarsa vena, specialmente in Segato e Chiappella – quest’ultimo addirittura indisponente per i continui falli perpetrati su Bronée, – non andava oltre il pareggio, sebbene gli azzurri novaresi fossero privi di Arce e di Savioni.
Nuovo incontro coi magiari.
La deludente prestazione dei laterali viola induceva i responsabili della Nazionale, presenti al S. Gaudenzio, ad escluderli dalla rosa dei convocati per la disputa della partita internazionale coi magiari a Budapest. Una partita particolarmente attesa e per la cui preparazione si arrivava addirittura a sospendere per una domenica il campionato. Tale preparazione avveniva a Firenze, dove, per oltre una settimana, Marmo e Foni studiarono il modo migliore per erigere davanti a Puskas e Kocsis quelle barricate difensive che venivano messe in atto a Budapest. Barricate che resistevano 80 minuti. Poi l’uno due di Puskas e Toth mandava a carte quarantotto tutte le fantasiose (non si può dir meglio) speranze dei nostri tecnici. I quali, come logico, venivano poi messi sotto accusa da tutti i giornalisti presenti al Nepstadion e addirittura tartassati dai giudizi espressi dai giocatori magiari dopo la partita. «Lo stile degli azzurri non ha nulla a che vedere con il calcio», rispondeva seccato Puskas all’intervistatore; a lui faceva eco Kocsis con un lapidario «quello non è gioco del calcio» e l’allenatore Tiktos con queste parole: «Quello cui ho assistito non è certo il gioco italiano di quando l’Italia era campione del mondo (insieme a Sarosi era stato lui l’autore dei due gol magiari nella finale dei campionati del mondo a Parigi, vinta dall’Italia per 4 a 2). Non è una tattica degna di una squadra nazionale quella di evitare deliberatamente di attaccare per concentrare tutti, o quasi, i suoi uomini nella propria area di rigore».
Dei giornalisti italiani, quello che più di tutti centrava il bersaglio, era Vittorio Pozzo: «La politica del “vivere alla giornata” è stata quella del salvare il risultato dell’incontro a qualunque costo. Abbiamo perso però, bisogna dirlo, oltre al risultato anche il credito. L’ente che regge il movimento calcistico nel nostro paese ha deprecato a più riprese la pratica delle tattiche ostruzionistiche e demolitrici nel campionato. Alla prima gara internazionale però, e per di più in terra straniera, ne ha fatto la sua divisa ufficiale. Non è certo battendo questa via, che noi riusciremo a conferirci nuovamente una linea e a ridarci un tono».
La Fiorentina meglio della nazionale
A riconciliare gli sportivi col «vero» gioco del calcio ci pensava la Fiorentina battendo seccamente il Milan a San Siro, benché priva del suo gioiello Julinho.
«Gioco aperto, partita scintillante. Lo spettacolo di una squadra che gioca con un portiere, due terzini, tre mediani e cinque attaccanti è diventato ormai tanto inconsueto in Italia da far gridare al miracolo. La maggior parte degli allenatori e dei «grandi tecnici del gioco del calcio sono soliti imporci settimanalmente la visione di compagini che, rapportate alla figura umana, sono mostriciattoli con tre teste, con un braccio e una gamba. Siamo sicuri che se l’allenatore della Fiorentina fosse stato uno di quei tali signori che hanno rovinato la reputazione del nostro calcio a Budapest, la partita di San Siro sarebbe stata un obbrobrio. Mancando Julinho, e con Virgili in precarie condizioni fisiche, i «grandi» tecnici avrebbero prescritto senza esitazione il catenaccio, puntando tutto sulla partita pari… e con ogni probabilità avrebbero perso la partita. Una vigorosa stretta di mano, in un mondo di Frossi e di Foni, per Fulvio Bernardini è più che doverosa».
Ancor più esplicito di Pegolotti era Boccali su «Calcio Illustrato»; «La Fiorentina ha migliorato il suo primato in classifica offrendo uno spettacolo esemplare. Così si serve veramente la causa dello sport, si riscattano le colpe altrui, si collabora alla rivalutazione e qualificazione della tecnica ortodossa. Così, e solo così, si postula e si prepara un domani migliore al nostro calcio, che ne ha tanto bisogno».
Con una nuova dimostrazione di gioco scintillante la squadra viola piegava anche la Roma al Comunale il giovedì successivo (8 dicembre), e portava il suo distacco sulla seconda classificata, l’Inter a tre punti; a San Siro infatti, i nerazzurri incappavano in una brutta sconfitta interna ad opera dell’Atalanta, nella ripetizione della partita sospesa alcune domeniche prima per la nebbia (ed anche allora gli atalantini conducevano per 3 a 0). II portiere giallorosso Panetti, che due domeniche prima aveva incontrato l’Inter, dopo la partita coi viola non poteva fare a meno di dire: «Meglio giocare due partite di seguito contro l’Inter che mezzora contro questi mostri della Fiorentina».
Un blocco non più di brocchi
Il blocco della Fiorentina ha tenuto il campo superbamente decidendo il risultato (Bardelli su «Stadio»); «La vittoria appartiene per nove decimi a una vecchia e gloriosa conoscenza del calcio italiano, cioè al sestetto della Fiorentina» Mario Zappa su «La Gazzetta dello Sport»: «Alleluja! La Fiorentina con Quattro riserve ha battuto i campioni del mondo» (Bruno Slawitz sul «Guerino sportivo»); «Il quintetto difensivo della Fiorentina, più Viola, è stato nettamente superiore all’attacco tedesco anche nei momenti migliori dell’offensiva avversaria. Cervato elastico come se fosse di gomma; Rosetta, freddo, tempista, elegante come sempre; Magnini faceva sfoggio dei suoi numeri migliori; Chiappella e Segato sempre pronti negli scambi, alla copertura automatica, alle manovre di sollievo e di costruzione; il blocco violazzurro era meraviglioso!» (Carlin su «Tuttosport»).
Questi i commenti che si potevano leggere il giorno successivo alla vittoria della nazionale azzurra sulla Germania campione del mondo. Con la stessa disinvoltura, due anni prima, ci si era scagliati contro questi atleti generosi, gratificandoli dell’attributo di «brocchi»! Il malcostume dei pennaioli tutt’ora imperante, ha purtroppo lontane origini. E si deve proprio a questo malcostume se giovani in erba vengono anticipatamente stroncati altri eccessivamente osannati; molte forze vitali vengono così destinate ad una prematura scomparsa ed altre troppo presto vanno a morder la polvere delle illusioni stupidamente in loro suscitate!
Cosa questa che fortunatamente non capitava ai nostri atleti. Soddisfatti della rivincita che si erano presi, con ancor maggiore impegno concentravano tutte le loro forze nel campionato. Tutti erano ormai convinti di potercela fare, ed ogni giorno di più si rendevano conto delle loro possibilità: i più forti erano loro. Tutto stava nel saper distribuire bene le forze, a seconda dell’avversario da incontrare. Per questo, nella partita disputata il giorno di Natale contro la Triestina al Comunale, segnato un gol con un tiro magistrale di Julinho, i viola tiravano i remi in barca senza spingere a fondo, contentandosi di comandare le file del gioco a metà campo. Nello stesso giorno di Natale, a Genova, dopo tanti tira e molla tra Federazione e Ministero degli Interni, l’Inter poteva far scendere in campo il suo Vonlanthen. La sconfitta subita ad opera del Genoa stava a dimostrare che un solo uomo non sarebbe bastato a raddrizzare la già compromessa barca nerazzurra. Ed ecco all’ultimo momento utile, il 30 dicembre, sbarcare alla Malpensa l’argentino Oscar Massei. Si giubilava inoltre Campatelli e si allacciavano trattative col mister inglese Carver, che firmato a Coventry un contratto con l’Inter, prendeva l’aereo per l’Italia scendendo a Ciampino e mettendosi a disposizione della Lazio! Nelle brume lombarde si sperava ancora, nonostante i sette punti di distacco tra la squadra nerazzurra e quella viola, in una defaillance di quest’ultima!
Ma questa Fiorentina continuava imperterrita per la sua strada e all’Olimpico, nella partita anticipata all’ultimo dello anno, surclassava il Napoli, costretto a giocare in campo neutro per la squalifica del Vomero. Su tutti, all’Olimpico, svettava Montuori. «Montuori ha veramente sbalordito – scriveva sulla Nazione Sergio Valentini. Ha un dribbling facile ed essenziale, mai sciorinato per divertimento ma per uno scopo decisivo. Punta diritto alla rete giocando alla svelta: gli basta un Virgili con cui scambiare per giungere fino al portiere avversario. E se qualche volta si concede un periodo di sosta, in altri momenti retrocede fino a metà campo per il raccordo dell’azione: una mezzala di punta che fa la spola». E Giordano Goggioli: «E’ un pezzo ormai che Montuori gioca bene. A forza di migliorare è arrivato alla partita di ieri a Roma, la sua più bella da quando è in Italia: una rivelazione assoluta per chi ancora non lo conosceva, una conferma per gli altri che lo conoscevano. Ora Montuori ha spiccato il volo, e il suo caso è forse il più felice dell’attuale calcio italiano, che ha trovato in lui il vero oriundo che si andava cercando». Nessuna meraviglia quindi, se la sera stessa alla stazione di Santa Maria Novella, una folla gioiosa di sportivi, che avevano avuto la fortuna di vedere la partita per televisione, fosse ad attendere Miguel per issarlo sulle spalle: giusta ricompensa e riconoscimento alla sua modestia e al suo grande valore.
Ma cos’è questa crisi?
Nella partita col Napoli la squadra aveva espresso il più bel gioco messo finora in mostra. Tutto lasciava prevedere che il futuro sarebbe proseguito sulla stessa falsariga. Improvvisamente invece la squadra sembrò accusar la fatica e un certo annebbiamento d’idee. Tre pareggi consecutivi, due in casa (Spal e Sampdoria) ed uno sul campo della Lazio, suscitavano un certo allarme tra i tifosi fiorentini, speranze in quelli milanesi, incertezze tra la stampa. Nessuna delle squadre inseguitrici sapeva però approfittarne: cinque erano i punti di distacco tra Fiorentina e seconda classificata dopo la partita col Napoli, e cinque rimanevano anche dopo la serie dei tre pareggi consecutivi.
Quando tutti ormai parlavano di crisi e tutti si aspettavano la prima sconfitta, la Fiorentina tornava perentoriamente alla vittoria contro il Genoa guidato da Gren. «Ma cos’è questa crisi? – si domandava Pegolotti. Tutti hanno cercato di scoprirne la natura e nessuno l’ha trovata. Vuol dire che la crisi della Fiorentina è quella cosa che consente di non perdere mai e qualche volta di vincere». Nella partita col Genoa ancora alla ribalta Montuori, del quale Gren ammirato diceva: «Montuori è senza dubbio uno dei più grandi attaccanti del campionato: la vittoria del la Fiorentina è legata al suo nome. Ha segnato un gol molto bello e ne ha fatti segnare due. Ha messo in mostra un repertorio di scatti, di finte, di dribbling ubriacanti. Un giocatore completo».
Con questa partita si chiudeva il girone di andata. La Fiorentina lo concludeva isolata in testa. Dieci erano state le vittorie (sei interne e quattro esterne); sette i pareggi (tre interni e quattro esterni); trentuno le reti segnate, soltanto dieci quelle subite.
Montuori in azzurro
Il girone di ritorno s’iniziava con la partita interna contro i tigrotti della Pro Patria, ultimi in classifica, staccati di ben 22 punti dalla squadra viola. Un ottimo allenamento per i viola, con Montuori imperversante per il campo a conferma del suo magico momento, in tutto assecondato da Virgili che metteva a segno due splendidi gol. Il giorno successivo otto viola venivano convocati in azzurro come titolari, e un nono (Sarti), come riserva, per la partita internazionale da disputarsi contro la Francia al Comunale di Bologna. Montuori rivestiva per l’occasione la sua prima maglia azzurra (bianca per dovere di ospitalità in quell’occasione); Sarti invece, per un infortunio subito in allenamento (frattura del terzo metacarpo della mano sinistra), doveva rinunciarvi con grande amarezza, anche se la sua partecipazione sarebbe stata soltanto nominale (il titolare era infatti Viola).
Il debutto di Montuori in azzurro, su un terreno ancora semicosparso di neve e gelato in più punti, suscitava incondizionati consensi. «Si deve senz’altro identificare nel costante, sbalorditivo ambientamento e progresso di Montuori, che aveva mostrato delle incertezze nel periodo iniziale, il fattore determinante della riscossa e quindi del successo azzurro. Montuori ha pienamente corrisposto alla fiducia ed è stato per l’attacco azzurro quel che è in quello fiorentino: il cervello e le gambe» – questo il commento di Boccali; e quello di Pozzo: «un secondo tempo spettacoloso e un magnifico adattamento alle esigenze del terreno; astuto sfruttatore degli errori altrui molto spesso da lui medesimo provocati!».
Tre vittorie in sette giorni!
L’ondata eccezionale di freddo imperversante in Italia, con temperature giunte in alcune località ad oltre 25° sotto zero, nevicate dell’ordine di metri e un impressionante numero di morti (oltre 57), impediva la domenica successiva lo svolgersi di gran parte delle partite in programma: tra queste anche la partita che la Fiorentina doveva disputare a Padova e che veniva rinviata al 29 febbraio. Con questo rinvio la Fiorentina si vedeva costretta a giocare nella settimana dal 26 febbraio al 4 marzo ben tre partite: Juventus in casa, Padova e Inter in trasferta; un trittico da far veramente tremare le vene e i polsi, un tour de force senza precedenti. Furono invece tre trionfi!
Trascinata alla vittoria contro la Juventus da un grandissimo Montuori, vittoriosa a Padova di fronte a un pubblico che, non riuscendo a trovar posto sugli spalti, si sistemava ai bordi del terreno di gioco, concludeva il suo forcing a San Siro con una dimostrazione così perentoria di forza e di stile da lasciare di stucco i centomila spettatori presenti. Incassato infatti, senza batter ciglio, un gol ad opera di Veleno al 38′ del primo tempo, ad un minuto dal riposo pareggiava con Virgili che, ricevuto il pallone a seguito di un’azione ubriacante di Julinho, lo scagliava al volo all’incrocio dei pali. Nella ripresa, prese in mani le redini dell’incontro, con Montuori e Julinho in vena di prodezze, la squadra viola concretizzava la sua superiorità con altre due reti, uscendo dal terreno sotto un diluvio di applausi. La polemica Vonlanthen-Julinho di tre mesi prima si era dissolta in quegli splendidi 90 minuti di gioco.
Particolare interessante: sia contro la Juve che contro il Padova, la Fiorentina, oltre che senza Sarti (sostituito da Toros), aveva giocato senza Julinho; contro l’Inter Orzan aveva sostituito Rosetta, per il quale l’incidente subito a Padova dovrà rivelarsi tanto grave da impedirgli di scendere ulteriormente in campo nel prosieguo del campionato. Dopo queste tre vittorie il distacco in classifica sulla seconda aumentava ad otto punti: lo scudetto poteva ormai già considerarsi cucito sulle maglie viola!
(Foto dall’album di Aldo Polidori)