L’insostenibile leggerezza del pregiudizio

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Il brillante incedere della Fiorentina in questa serie A 2024-25 – negli ultimi venti anni ci risulta che solo nella stagione 2005-06 con Prandelli (29 punti alla tredicesima) sia stata conseguita una media punti superiore a quella di oggi – non può non farci ritornare ai giudizi che solo qualche settimana fa avevano salutato la campagna acquisti e l’avvio della stagione sportiva con le prime in verità deludenti partite tanto in Campionato che in Conference.

Giudizi che bollavano come fallimentare il mercato, bocciando uno per uno, con l’esclusione del solo Gudmundsson, i nuovi acquisti, dal portiere (sigh, c’è chi ha discusso pure lui!) “fermo da due anni e dismesso dal Manchester United”, a Gosens “il meglio di sé l’ha dato all’Atalanta ormai un ex”, a Valentini “sarà anche bono ma viene a gennaio e tra problemi di lingua ed adattamento non sarà utile”, a Pongracic “Corvino ci ha rifilato una sola”, a Adli, Cataldi e Bove “mezzi giocatori e scarti di Milan Lazio e Roma che si sarebbero tenuti fossero stati boni”, sino ad Amir Richardson “leggerino”, Colpani “una maglia troppa pesante quella della Fiorentina per le sue spalle” e Moise Kean “indisciplinato e inaffidabile e poi non segna da tre anni”.

E la cosa che più stupisce è che a profferire tali taglienti e definitivi giudizi non erano i soliti rosiconi, o quei tifosi che muovono da posizioni preconcette nei confronti della società che sbaglia sempre e comunque, o ancora quelli la cui voce si sente solo quando le cose vanno male.

No, del coro facevano parte anche quei tifosi, e ce ne sono tanti, che sanno di calcio, lo seguono da sempre e ne conoscono la complessità soprattutto quando si tratta di avviare una squadra completamente rinnovata ed affidata ad un nuovo tecnico e, ahinoi, buona parte degli addetti ai lavori che sono arrivati a prefigurare una crisi tecnica e l’allontanamento di Palladino facendo addirittura circolare dei nomi per il nuovo allenatore.

Eppure, anche senza tenere in alcun conto le circostanze sopra richiamate, nuova squadra e nuovo allenatore, complicate da un mercato che oggi si sovrappone al campionato con rose che si completano a stagione iniziata ed un precampionato affrontato con giocatori che poi escono dai radar diventando marginali al progetto tecnico definitivo o che addirittura finiscono per cambiare maglia, bastava semplicemente soffermarsi sui recenti trascorsi di ciascuno dei nuovi arrivati per capire che questa volta i dirigenti del comparto sportivo, per usare il gergo dellavalliano, si erano ben mossi, allestendo una squadra migliore di quella del triennio di Italiano e che si trattava soltanto di aspettare un po’ per vedere i primi risultati.

Scelte che non sappiamo ancora se tutte azzeccate, ma scelte tutte con un loro senso ed una giustificazione tecnica.

A cominciare da David De Gea, dodici stagioni al Manchester United, nella storia dei red devils il giocatore con più presenze tra i non britannici, autentico top player nel suo ruolo con un’anagrafe che per un portiere è ancora quella della maturità sportiva, atleta la cui dimensione assoluta non poteva essere certo scalfita da una stagione di inattività.

E che dire di Robin Gosens, grande personalità tecnica e non solo, fondamentale nell’Atalanta di Gasperini, non altrettanto è vero nell’Inter ma per la concorrenza di un vero top player quale è Federico Di Marco, esploso proprio in coincidenza dell’arrivo del nostro, ma pur sempre reduce da una stagione in Bundesliga nell’Union Berlino con ben 30 presenze e 6 gol.

David De Gea e Robin Gosens

Dei tre nuovi difensori che sono andati ad arricchire un reparto privato del solo Nikola Milenkovic e che oggi, dopo l’opzione per la difesa a quattro, risulta quasi sovradimensionato, Matias Moreno, anche se tutto da scoprire, è un 2003 e un ventunenne vale una scommessa, Marin Pongracic, nelle sue prime apparizioni deludente forse anche causa l’assetto della difesa (poi corretto) in cui si è trovato ad agire prima di essere bloccato dai guai muscolari, reduce da una brillantissima stagione a Lecce che gli ha aperto le porte della nazionale croata nella quale è stato titolare ad UEFA Euro 2024, infine Nicolas Valentini, l’intrigante novità viola del prossimo mese di gennaio, accompagnato dall’unanime apprezzamento di chi segue il calcio argentino dopo essersi imposto nonostante la giovane età (22 anni) come pilastro della difesa del Boca Junior prima di essere messo ai margini per questioni di ordine contrattuale. E con lui, quando verrà il suo momento e questo non fosse brillante, sarà bene andare piano con le facili stroncature ricordando il tormentato girone d’andata nel campionato 1982-83 di un autentico fuoriclasse come Daniel Passarella, allora già capitano dell’albiceleste e campione del mondo e non giovane all’inizio della carriera con una manciata di presenze in Primera Divisiòn.

Marin Pongracic , Matias Moreno e Nicolas Valentini

Il centrocampo poi è stato completamente rivoluzionato, il solo Mandragora è rimasto in rosa, possiamo dire, ad un terzo di campionato, con esiti sin qui lusinghieri.

Una felicissima idea quella di Edoardo Bove, un 2002 con già 65 presenze nella Roma di Mourinho e De Rossi, ed un vero colpo averlo strappato ad un club come la Roma, oltretutto un prodotto del suo vivaio, centrocampista totale o todocampista come oggi suol dirsi; il suo gol alla Roma la sera di domenica 27 ottobre, un gol che è di pochi, lo certifica.

Edoardo Bove, Yacine Adlì e Danilo Cataldi

E come definire scarti Adli e Cataldi? Il primo un 2000 con un bagaglio ricco di 100 partite in Ligue 1 nel Bordeaux e due stagioni al Milan di Pioli dove trova sempre più spazio e minutaggio totalizzando nel campionato scorso 24 presenze in serie A e 7 presenze tra Champions ed Europa League. Il secondo con una milizia di lungo corso in una Lazio spesso ai vertici della serie A, con quasi duecento partite sotto la conduzione di diversi allenatori (Pioli, Inzaghi, Sarri), trovando sempre spazio, 28 presenze nel campionato scorso, nonostante la concorrenza di centrocampisti di valore assoluto come Marco Parolo, Lucas Biglia, Sergej Milinkovic Savic, Lucas Leiva, Luis Alberto, Matias Vecino, Mattéo Guendouzi.

L’unico appunto sul nuovo centrocampo, completato col tesseramento centrocampo di Amir Richardson, un 2002 per cui valgono le stesse considerazioni fatte su Moreno, riguarda semmai il dato quantitativo: cinque elementi per una stagione nella quale si può arrivare a disputare sino a 60 partite come peraltro già successo due anni fa, non ci sembrano sufficienti. E qui è auspicabile a gennaio un intervento per colmare la lacuna, maggiore forse di quella del vice Kean, ed affrontare meglio attrezzati la seconda parte della stagione.

Passando al reparto offensivo con l’acquisto di Albert Gudmundsson si è perfezionata l’operazione più importante dal punto di vista tecnico (ed ovviamente la più onerosa economicamente), l’unica che ha incontrato l’apprezzamento di stampa e tifoseria trattandosi del calciatore che aveva rappresentato forse la migliore novità del campionato scorso oggetto di interesse anche di un club come l’Inter stando a quello che è stato scritto.

E per uno dei paradossi che è capace di offrire il calcio, gioco che per questo non finisce mai di stupire, la brillante Fiorentina di questo primo scorcio di stagione si è vista privata del contributo proprio del suo miglior calciatore, solo tre partite (la presenza col Lecce non è da computare) se pur con un apporto quasi sempre determinante (3 gol). E vengono le vertigini ad immaginare quella che potrà essere la Fiorentina con un Gudmundsson stabilmente in formazione ed al 100%.

Albert Gudmunsson, Andrea Colpani e Amir Richardson

Riguardo Andrea Colpani, sin qui sempre presente ma al di sotto delle aspettative per quanto in lenta costante crescita nelle ultime uscite, è doveroso concedergli ancora un’apertura di credito non solo per le performances nelle sue ultime due stagioni a Monza (65 presenze e 12 gol), ma anche e soprattutto per la considerazione di cui gode presso Palladino che ben lo conosce e che lo ha fortemente voluto.

Infine Moise Kean, il nuovo arrivato che con i suoi puntuali gol in campionato e in coppa ha per davvero messo le ali alla Fiorentina di oggi, il centravanti che ci mancava dai tempi ormai lontani di quindici anni di Gilardino salvo le parentesi della meteora Kalinic e del giovane Vlahovic.

Moise Kean

Anche questa una grande intuizione ad onore e merito di coloro che ne hanno perseguito l’ingaggio sin dall’inizio della campagna acquisti nonostante un esborso non indifferente (13 milioni più 5 di bonus) per un giocatore che a gennaio sarebbe stato svincolato ma sul quale, per le sue indubbie potenzialità, si sarebbero potuto rivolgere le mire di altri club anche stranieri.

Su Kean gravavano è vero delle riserve riconducibili a fattori più di ordine umano che tecnico, non tanto quindi il suo insufficiente rendimento, in particolare nell’ultima delle sue tre stagioni alla Juve peraltro condizionato dagli iniziali guai fisici, ma piuttosto una certa etichetta confezionatagli dai media dopo l’esclusione dalla Nazionale nella fase finale di Euro 2021 da parte di Mancini e di Euro 2024 dall’attuale CT Spalletti; ma è altresì vero che i suoi esordi, giovanissimo nel calcio professionistico, da tutti salutati come quelli di un predestinato e l’esperienza positiva in un top club come il Paris St Germain a venti anni dove aveva trovato comunque spazio, potevano indurre alla scommessa, una scommessa che sicuramente deve aver richiesto del coraggio ma che oggi pare vinta.

Insomma i giudizi che hanno accompagnato la Fiorentina sino alla partita col Milan si sono rivelati affrettati ed infondati perché la squadra era stata nel complesso rinforzata, e non di poco come dimostra con evidenza lo stesso undici di base delle 7 vittorie consecutive nel quale si contano due soli titolari dello scorso anno, Dodo e Luca Ranieri, tutti gli altri scesi nella gerarchia tra le seconde linee, e si trattava soltanto di dare un po’ di tempo ai nuovi per il giusto ambientamento e soprattutto all’allenatore perché trovasse la quadra sia dal punto di vista delle scelte che da quello tattico.

Un plauso quindi ai dirigenti dell’area tecnica allenatore compreso ed alla società che ne ha avallato le scelte, a cominciare da Daniele Pradè, in passato spesso aspramente criticato talora sino all’irrisione e non sempre a ragione.

Daniele Pradè

Il campionato è lungo, non siamo nemmeno al giro di boa, ed anche se si possono immaginare ancora dei margini di miglioramento, basti pensare a quello che potrebbe essere l’effetto del solo pieno e definitivo recupero di Gudmundsson, la concorrenza di agguerritissime competitrici e l’imperscrutabilità del calcio ci inducono al realismo e a non farci soverchie illusioni sulla capacità della squadra di mantenere l’attuale straordinaria cadenza, una cadenza che ci porterebbe ad afferrare quel sogno che da troppi anni ci sfugge.

Sarà quel che sarà, ma intanto godiamoci questa Fiorentina, che è una buona squadra, fiduciosi per la presa d’atto che è stato finalmente intrapreso un percorso virtuoso nel quale le intenzioni di crescita verso sempre più alti obbiettivi in verità mai rinnegate dalla società per la prima volta stanno trovando corrispondenza nel gioco e nei risultati, la sola benzina in grado di alimentare la passione dei tifosi.

Marco Pieri – Viola Club Franco Nannotti

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