Quando si evocano i grandi “numeri 7” della storia della Fiorentina, si ricordano in primis due giganti: Júlio Botelho, detto Julinho, e Kurt Hamrin.
L’amato Júlio, la sua classe e i suoi cross vincenti furono protagonisti del magnifico – e magnifico è dir poco – primo scudetto viola, conquistato con ben cinque giornate di anticipo; mentre l’imprendibile Uccellino, in nove stagioni fiorentine, segnò oltre 200 gol, alzando al cielo svariate coppe ed effettuando più o meno un milione di dribbling…
Ma se perfino i più giovani ultras della Fiesole sanno chi sono stati Julinho e Hamrin, e se è certo che tante altre ali viola (Chiarugi, Bertoni, Salah, etc.) hanno entusiasmato i tifosi, è altrettanto sicuro che troppo spesso, e quasi paradossalmente, Firenze calcistica dimentica uno dei suoi figli più cari: Romeo Menti.
Meo, vicentino di nascita ma fiorentino di adozione, è stata una delle ali più forti di tutti i tempi. Dotato di un dribbling stretto e rapido, e di un tiro secco e preciso (micidiali i suoi calci di punizione), approdò non ancora diciannovenne in riva all’Arno dove contribuì, con ben 17 sigilli in 29 partite, al ritorno in Serie A dei toscani nella primavera del 1939.
Nella stagione successiva, che culminò con il primo trionfo in Coppa Italia della Fiorentina, Menti, nonostante molti fastidi a un ginocchio e varie gare saltate, fu nuovamente il capocannoniere della squadra, che l’anno seguente, spinta ancora dai suoi gol, si classificò al terzo posto dietro al Bologna e all’Ambrosiana.
La sua carriera, a eccezione di un torneo di Guerra con lo Stabia e di un breve ritorno tra le file gigliate, proseguì con il Torino, dove debuttò in Nazionale (bagnò l’esordio con una tripletta contro la Svizzera a Firenze) e vinse scudetti a raffica, prima di morire, insieme ai suoi compagni granata, nel terribile schianto di Superga.
Questa, in estrema sintesi, è l’illustre e decorata parabola calcistica di Romeo Menti; eppure oggi troppi tifosi viola non conoscono il suo nome, e la sua classe non viene ricordata quanto quella di Julinho o di Hamrin, con i quali egli condivideva l’amore per la nostra città (il corpo martoriato di Meo fu riconosciuto solo grazie al distintivo della Fiorentina che portava sulla giacca il giorno dell’incidente).
E’ per questo motivo che chi scrive, con l’intento di lanciare un monito a tutti i tifosi fiorentini, ha deciso, per formulare il titolo del presente articolo, di scomodare il sommo Dante scopiazzando l’epitaffio del suo cenotafio nella basilica di Santa Croce.
Tutti coloro che trepidano per la Fiorentina, non ce ne vogliano i dantisti più appassionati, si ricordino dunque, ogni qual volta ce ne sarà l’occasione, di celebrare l’altissimo Romeo, di trasmettere la memoria della sua classe e di lasciare un fiore viola sulla sua tomba nel cimitero dell’Antella.
Flippo Luti