Perdere bene per tornare a vincere meglio
Sono un tifoso da sempre, ho festeggiato per mia fortuna lo scudetto del 1969 ed ho seguito la squadra con la passione e la partecipazione che contraddistinguono i fiorentini nel loro amore per Firenze e la Fiorentina.
La squadra, ancora una volta chiamata a fare un salto di qualità per attestarsi nell’olimpo delle grandi (nel quale è assente da anni) ha dimostrato tutta la sua pochezza e inconsistenza perdendo in casa contro l’Empoli nel solito modo: lenta, timida, fragile, nervosa, immatura.
Si dice da più parti, ed è sicuramente vero, che quella sconfitta è figlia di una rosa di giocatori e di un allenatore non abituati a giocare sfide determinanti con forti pressioni emotive, una rosa fragile sul piano psicologico e non preparata a vincere ad ogni costo.
Ma la mia storia di tifoso mi dice che la Fiorentina è sempre stata questo: in ogni occasione che faceva presagire l’aggancio in vetta, il passaggio del turno di Coppa, la consacrazione di un filotto di risultati, la squadra si scioglieva come neve al sole, il più delle volte di fronte ad avversari modesti, mettendo in luce tutte le sue fragilità.
Quindi non è una colpa di Italiano e della rosa attuale: quando occorre scendere in campo con il coltello tra i denti, quando ci piacerebbe vedere nei giocatori l’occhio della tigre, la squadra viola, almeno negli ultimi 50 anni, ha quasi sempre clamorosamente toppato, esaltando le qualità dell’avversario e ridimensionando i sogni dei tifosi.
La sconfitta con i carciofai ha irritato tutto l’ambiente: l’allenatore si è risentito, in parte giustamente, rivendicando che se in campo i giocatori commettono errori madornali (e con l’Empoli Milenkovic ne ha commessi una lunga serie) non può essere solo colpa sua. Ma è sul modulo di gioco e sulle scelte degli attori che invece occorre concentrarci. Fare il centravanti nella Fiorentina di Italiano non è facile: i due esterni, schierati rigidamente a piedi invertiti, tendono ad accentrarsi e nessuno va sul fondo a crossare per il centravanti. Così come scelte rigide nei cambi (se gioca Beltran non gioca Nzola, si cambiano solo attori mai ruoli) denotano una difficoltà della panchina a leggere la partita in corsa, rivoluzionando gli schemi e provando soluzioni alternative.
Questo senza niente togliere a Italiano, che ha indubbiamente tanti meriti, non ultimo quello di aver dato una identità alla squadra e di aver promosso giovani talenti a fianco dei super titolari.
Ma se tutti i giocatori scendono in campo con l’occhio annebbiato, senza determinazione, nonostante gli appelli e d i proclami di massima attenzione e volontà di imporsi, allora forse il problema va oltre i singoli e investe tutta la Società: che in Coppa infatti, tre giorni dopo, un segnale l’ha dato.
La partita di Coppa con il Cukaraki, pronto riscatto dopo la delusione con l’Empoli, ha evidenziato che la Fiorentina ha giocato con 5 giovani prodotti del vivaio viola (Kayode, Ranieri, Comuzzo, Pierozzi e Sottil) con risultati esaltanti, nonostante la pochezza degli avversari.
La novità, infatti, rispetto alla storia della Fiorentina, è che la squadra reagisce compatta dopo una caduta fragorosa, e riprende un cammino virtuoso che la riporta al nuovo obiettivo da superare. Dopo il 6 a 0 di Coppa, con il rilancio di Beltran come bomber di razza (per me giocherebbe titolare sempre) la squadra ha infiammato i cuori dei tifosi con un’altra prova maiuscola a Roma con la Lazio: un primo tempo da grande Fiorentina, con un calo nel secondo tempo dovuto anche ai cambi in corsa, ed una sconfitta al 94’ per un rigorino determinato ancora una volta da un errore di Milenkovic, ultimamente responsabile della maggior parte delle reti subite dalla squadra. E’ facile dare i giudizi dopo il fischio finale, ma certi segnali sono sotto gli occhi di tutti ed un allenatore dovrebbe coglierli in anticipo.
Ed ancora una volta ci troviamo a recriminare per un risultato ingiusto, figlio di un errore di un singolo, di una scarsa attenzione arbitrale nei confronti della Società che, nonostante i suoi svolazzi in Lega, continua a contare pochissimo e a non avere nessuna influenza. Continuiamo ad essere trattati come nullità, quasi che il muro invalicabile del salto di qualità che già i giocatori e la squadra affrontano come tale, fosse ripetutamente mostrato in faccia, a conferma della volontà di mantenerci al posto assegnato.
In ogni caso una cosa è perdere in questo modo contro la Lazio, con grinta, sfortuna, sbadataggine dei singoli e protervia arbitrale, altra cosa è non scendere in campo con un avversario modesto come l’Empoli, il cui valore è stato confermato dal secco 0-3 rimediato con l’Atalanta, senza coraggio, senza “garra”, senza fiducia, senza temperamento, senza…
Ora vogliamo risalire, consapevoli che questa maledizione continuerà a perseguirci finché non alzeremo tutti la voce, fino a quando tutti i protagonisti non avranno nel sangue quella identità con la maglia che è caratteristica di chi tifa e che significa anche accettare le sconfitte, ma lottando fino all’ultimo e con squadre di caratura superiore.
Ognuno faccia la sua parte.
Fabio Fallai – Viola Club Franco Nannotti